Se anche l'acqua diventa terreno di scontro e contrapposizione ideologica e retorica, questo la dice lunga sullo stato di questo Paese. Al referendum del 12 e 13 giugno io voterò "sì", per l'abolizione delle norme del decreto Ronchi che permettono di affidare anche ai privati la gestione - non la proprietà - del servizio idrico e prevedono che le tariffe siano determinate in base al capitale investito. Non si tratta di privatizzare del tutto l'acqua, ma io appartengo alla schiera di quelli che preferisce che l'acqua rimanga davvero un bene pubblico, un bene comune ed essenziale su cui non speculare o fare profitti. Conosco le ragioni dell'una e dell'altra parte e rispetto tutte le idee e le posizioni. Poi è lecito che a destra e a sinistra (perché tanto sempre lì andiamo a finire) e anche tra le associazioni dei consumatori ci siano distinguo e posizioni diverse. A me basterebbe in realtà che la mia intenzione di votare "sì" sia rispettata dagli amanti del mercato e del liberismo tanto quanto è legittima la loro idea che il privato salverà la gestione dell'acqua in Italia. Che ci siano disservizi nel pubblico, soprattutto al sud, è cosa nota. Invece al nord ci sono ottimi esempi di efficienza. Però per questo c'è il referendum: si vota sì o no, astenersi è legittimo ma la propaganda per il non-voto è una tattica vigliacca.
Ma qui vorrei dire un paio di cose sull'acqua in Sicilia. Nella mia regione, su nove Ato idrici provinciali sei sono a gestione privata. Una lezione interessante per chi ha deciso di votare "no". Nel 2007 l'allora presidente della Regione Totò Cuffaro varò la privatizzazione dell'acqua. Le proteste non mancarono, neanche a destra e nello stesso partito di Cuffaro, l'Udc. Sindaci, consiglieri, deputati, comitati, semplici cittadini si unirono nella lotta contro l'affidamento della gestione ai privati. Non nego che in alcuni casi ci fosse una chiara strumentalizzazione politica. I sindaci "ribelli" però ci sono ancora. Dall'Ato di Palermo ora arriva ad alcuni di loro un avvertimento: chi non ha ancora voluto conferire l'acqua alla società di gestione, se ne assumerà le responsabilità. A Catania c'è la Servizi idrici Spa, illegittima perché ottenne l'appalto senza gare e fuori tempo massimo: la società è bloccata ma i costi di gestione sono aumentati. La Acque Potabili Siciliane (Aps) riceveva contributi regionali in caso di mancati utili, ma ora non li riceve più ed è in liquidazione. Come succede in questi casi, oltre a "capitalizzare i profitti" si devono anche "socializzare le perdite". Traduzione: per coprire il deficit di Aps, i soldi dovrebbero metterli i comuni. Otto milioni di euro. Per non parlare dei costi di trattamento (cloro) e dello stato degli acquedotti siciliani: ogni anno si perde più della metà dell'acqua della rete regionale.
La situazione peggiore è sicuramente quella della provincia di Agrigento. La Girgenti Acque vinse la gara nel 2007 ma da allora non ci sono stati investimenti. Nota bene: si dice che l'affidamento al privato serve per migliorare l'offerta dei servizi. Invece ad Agrigento il servizio è sempre peggio. Tra l'altro la gara per la provincia girgentina fu indetta alle ore 23 del 23 dicembre 2007. Si sapeva già chi avrebbe partecipato, e dunque vinto? Prendiamo il comune di Bivona. Da lì partono 250 litri d'acqua al secondo verso il capoluogo, dove però "l'oro blu" viene erogato tre ore al giorno, ogni tre giorni e per una tariffa tra le più care d'Italia: 450 euro l'anno. L'acqua dunque ci sarebbe pure in provincia. E anche buona. Altrimenti non si spiegherebbe perché la Nestlé ha trovato la sua bella miniera sui monti Sicani a Santo Stefano Quisquina. Lì c'è la sorgente Santa Rosalia. Che ora è l'acqua Nestlé Vera Santa Rosalia. Nel 2007 la Regione Siciliana ha concesso alla multinazionale di aumentare la produzione fino a 250 milioni di litri in cinque anni. Prima c'era la Platani Rossini srl, acquisita dalla San Pellegrino, a sua volta controllata dalla Nestlé. Il problema è che quell'acqua - buonissima - finisce imbottigliata con il marchio di Nestlé Vera e non negli acquedotti agrigentini. Gli stessi comuni del circondario di Santo Stefano, che quell'acqua la bevevano già prima dell'arrivo della multinazionale, ora vedranno quelle falde sempre meno ricche. E comunque quell'acqua è stata lanciata a un prezzo competitivo, 33 centesimi a bottiglia. Sommando la spesa, in un anno una famiglia agrigentina media spenderebbe circa 900 euro all'anno. Il doppio della tariffa stabilita dalla Girgenti Acque. Privata, come la Nestlé.