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Acqua di cometa, acqua sbagliata

Creato il 10 dicembre 2014 da Media Inaf

Come c’è arrivata, l’acqua, sulla Terra? La risposta ancora non la sappiamo, ma da oggi possiamo escludere che a portarcela siano state comete come 67P, quella dov’è atterrato il lander Philae lo scorso novembre. Non che sia assente, lassù, l’acqua: per esserci c’è, ma è un’acqua strana, del tutto incompatibile con quella che riempie i nostri oceani e che esce dai nostri rubinetti. È un’acqua troppo pesante.

L’acqua, c’insegnano a scuola, ha come formula chimica H2O: due atomi d’idrogeno e uno d’ossigeno. In realtà, a voler essere pignoli, ogni 3200 molecole siffatte se ne incontra una la cui formula è piuttosto HDO: un solo atomo d’idrogeno, uno d’ossigeno e uno di deuterio, l’isotopo dell’idrogeno con un neutrone nel nucleo. Questo perché, nei nostri oceani, l’abbondanza isotopica del deuterio, rispetto all’idrogeno, è di un atomo ogni 6400. Questo rapporto è una sorta di firma inalterabile, l’impronta genetica (o meglio, isotopica) dell’acqua terrestre: dolce o salata, liscia o frizzante, qui sul nostro pianeta è sempre uguale.

Eau de comète

Ma altrove nel Sistema solare le cose stanno diversamente. È il caso, appunto, della cometa 67P, dove gli atomi di deuterio presenti nelle molecole d’acqua sono circa tre volte più abbondanti. Ad accorgersene è stato lo strumento ROSINA a bordo della sonda dell’ESA Rosetta, in orbita attorno a 67P. Grazie ai suoi due spettrometri di massa, un team di ricercatori guidato dalla principal investigator dello strumento – Kathrin Altwegg, dell’Università di Berna – è riuscito ad analizzare l’abbondanza isotopica d’un campione del vapore acqueo emesso dalla cometa. I risultati, pubblicati oggi online su Science, parlano chiaro: lassù il rapporto fra deuterio e idrogeno è pari a circa 0.00053: grosso modo, un atomo di deuterio ogni duemila atomi d’idrogeno.

Non che questa differenza la renda meno potabile. L’acqua pesante ha un effetto citotossico, è vero, e può portare alla sterilità o addirittura alla morte. Ma solo in quantità molto elevate, tali da alzare la concentrazione di molecole con deuterio presenti nell’organismo fino al 25 percento e oltre, dunque ben al di là di quanto riscontrato sulla cometa.

Molto più interessanti, invece, le implicazioni per quanto riguarda l’origine dell’acqua terrestre. Già le prime analisi dell’abbondanza isotopica del deuterio sulla cometa di Halley, eseguite negli anni Ottanta dalla sonda europea Giotto, avevano evidenziato valori incompatibili con quelli terrestri. Suggerendo dunque che non fossero state le comete – perlomeno, non quelle provenienti dalla remota Nube di Oort, come appunto la cometa di Halley – a rifornire d’acqua il nostro pianeta. Nel 2011, però, le analisi spettrali effettuate dal telescopio spaziale Herschel dell’ESA su Hartley 2, una cometa ritenuta fra quelle della Fascia di Kuiper, sembrarono aprire un nuovo spiraglio: in quel caso il rapporto fra deuterio e idrogeno era assai più compatibile con quello riscontrato sulla Terra.

Cherchez l’astéroïde

Forse, dunque, le portatrici d’acqua potevano essere sì comete ma d’origine più prossima alla Terra, com’è appunto la Fascia di Kuiper (situata al di là dell’orbita di Nettuno) rispetto alla Nube di Oort, migliaia di volte più lontana? L’ipotesi aveva un senso, visto che proprio le temperature estremamente basse tendono a favorire la formazione di ghiaccio con una maggiore concentrazione di acqua pesante.

Ma la scoperta odierna ottenuta grazie a Rosetta analizzando il vapore acqueo di 67P, anch’essa appartenente alla famiglia delle comete gioviane come Hartley 2, torna a far pendere l’ago della bilancia a favore di un’altra origine per la sorgente d’acqua del nostro pianeta: gli asteroidi. «I nostri risultati», dice infatti Altwegg , «sembrano favorire quei modelli che contemplano gli asteroidi come mezzo di trasporto principale per gli oceani della Terra».

Per saperne di più:

  • Leggi su Science l’articolo “67P/Churyumov-Gerasimenko, a Jupiter family comet with a high D/H ratio”, di K. Altwegg, H. Balsiger, A. Bar-Nun, J. J. Berthelier, A. Bieler, P. Bochsler, C. Briois, U. Calmonte, M. Combi, J. De Keyser, P. Eberhardt, B. Fiethe, S. Fuselier, S. Gasc, T. I. Gombosi, K.C. Hansen, M. Hässig, A. Jäckel, E. Kopp, A. Korth, L. LeRoy, U. Mall, B. Marty, O. Mousis, E. Neefs, T. Owen, H. Rème, M. Rubin, T. Sémon, C.-Y. Tzou, H. Waite e P. Wurz

Fonte: Media INAF | Scritto da Marco Malaspina


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