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Acquisizione delle norme sociali: processi di sviluppo (1 parte)

Da Psychomer
by Paola Sacchettino on ottobre 1, 2012

“Anche quando avremo messo a posto tutte le regole, ne mancherà sempre una: quella che dall’interno della sua coscienza fa obbligo a ogni cittadino di regolarsi secondo le regole” (I. Montanelli).

Tra la fine del 1800 e l’inizio del 1900, il concetto di cultura viene definito con rigore scientifico.

Nasce dagli studi antropologici e da scuole sociologiche come quella di Durkheim, quella di Chicago e da autori come Weber.

Il concetto di cultura è rivelatore della storia intellettuale della società occidentale, è uno strumento che nasce in stretta relazione con l’esperienza e con il linguaggio entro un dato contesto storico-sociale, con il compito di farci comprendere qualcosa di noi e degli altri.

Il termine cultura ha un’origine latina, dal verbo colere, ed era usato presso i romani in senso proprio, per indicare il lavoro della terra ed in senso figurato (Cicerone ed Orazio), per sostenere che con l’educazione e la filosofia si può agire sull’animo umano ingentilendolo, raffinandolo, nutrendolo, trasformandolo da incolto a colto, così come si fa con i campi.

È in questo senso figurato che il termine cultura ha contribuito a formare la concezione umanistica (humanitas) che si diffonde nel XVIII secolo e che arriva fino all’Illuminismo; spesso era seguito da una specificazione: “cultura delle arti”, “cultura delle lettere”, ecc.

La concezione antropologica della cultura ha la sua origine nel Settecento, quando alcuni pensatori tedeschi hanno contrapposto all’universalismo dei Lumi la particolarità, la varietà e la concretezza della cultura di ogni singolo popolo. Herder (1774) sostiene la diversità tra le culture: la storia per lui non consiste nell’avvento di una ragione astratta e identica ovunque, ma nell’intreccio e nel contrasto tra diverse individualità culturali, ciascuna delle quali costituisce una comunità specifica, un Volk, in cui l’umanità esprime ogni volta in modo del tutto unico un aspetto di se stessa.

Nel XIX secolo, i pensatori tedeschi del Romanticismo legheranno in maniera molto stretta la cultura all’idea di Nazione. La cultura è descritta come un insieme omogeneo di tradizioni, disposizioni morali e conquiste intellettuali che esprimono lo spirito più profondo e autentico di un popolo: è questo patrimonio comune che fonda l’unità della Nazione; si fa avanti l’idea che la Nazione culturale preceda e fondi la Nazione politica.

Più recentemente alcuni antropologi hanno spostato la linea di demarcazione cultura/natura individuandola non nella semplice capacità di apprendere, ma nella specifica capacità di apprendere al livello simbolico. Solo gli esseri umani avrebbero la capacità di utilizzare una comunicazione simbolica, un linguaggio che produce un significato anche in assenza del referente (Sciolla 2007).

Facendo un passo avanti, la sociologia ha dovuto sviluppare un proprio concetto di cultura, che rispetto al termine antropologico risulta meno comprensiva; in questo periodo la sociologia si afferma in parte accettando le prospettive antropologiche, in parte rifiutandole.

Per Peterson la sociologia è un insieme di norme, valori, credenze, simboli. Da questa definizione risulta che nella cultura rientrano moltissimi aspetti della vita: le norme contenute nel codice civile, le credenze di natura religiosa, la filosofia, la teoria scientifica, ecc.

Per lui la cultura ha carattere normativo; viene definita come insieme dei modelli di comportamento che la comunità sociale ritiene validi, comportamenti che i membri di quella società devono rispettare e trasmettere alla successiva generazione. L’aspetto normativo, dunque, implica che la cultura tocca componenti motivazionali dell’azione, dando agli individui i criteri in base ai quali orientare il proprio comportamento; una funzione regolativa del comportamento, che deve basarsi su un proprio grado di coerenza e di organizzazione, deve fondarsi cioè su un sistema di valori.

Si registra anche un avvicinamento tra sociologia e psicologia, necessaria per studiare le leggi che sono alla base dei processi cognitivi precoscienti (Sciolla, 2007).

I valori

Nel linguaggio comune il termine valore ha due significati diversi: al singolare indica qualunque cosa ritenuta importante, che si desidera ottenere o si teme di perdere; al plurale, indica gli ideali cui tendere e cui fare riferimento per formulare giudizi (pace, onestà, onore ecc.).

Attraverso tali principi si stabilisce ciò che è giusto o sbagliato quando si giudicano modi di agire, di pensare e di sentire e si indica una dimensione normativa (ciò che dovremmo desiderare). I valori forniscono spesso la motivazione di un comportamento: in questo senso orientano l’agire sociale.

Per le scienze sociali il valore non è costituito dall’oggetto dell’interesse, ma dal criterio della valutazione, il principio generale in base al quale approviamo o disapproviamo qualcosa. Il concetto di valore si distingue dunque da quello di preferenza: la preferenza indica un qualcosa che è desiderato, il valore indica ciò che è desiderabile; è la sua dimensione normativa, indica un dovere, ciò che dovremmo volere.

Nella società moderna è l’individuo il valore indiscusso. I valori mutano storicamente e geograficamente, non appartengono ad un mondo assoluto e trascendente.

Le dimensioni dei valori sono:

-   Affettiva: il desiderabile. Vengono coinvolti affetti e sentimenti; conformarsi ai valori è ritenuto una cosa buona. Se sono stati interiorizzati suscitano sentimenti di colpa e vergogna; a chi se ne discosta seguono sanzioni.

-   Cognitiva: una cosa o un’azione sono buone, giuste e belle; ci sono delle argomentazioni in merito.

-   Selettiva: i valori orientano l’agire sociale, fornendo le motivazioni dei comportamenti.

Le regole

Sono le modalità attraverso le quali le persone organizzano il proprio e altrui comportamento:

-   Proscrittive: quali comportamenti evitare

-   Prescrittive: quali comportamenti adottare

-   Facoltative: quali comportamenti dipendono dal codice di comportamento individuale

 La finalità delle regole sociali spesso non è chiara e comunque non è mai univoca. La prassi le rende meno rigide e in parte violabili, perché se applicate alla lettera renderebbero impossibile la vita sociale: sia le regole, sia il modo per violarle sono culturalmente  determinati.

Ancora più complesso è stabilire le finalità del codice d’onore, nel quale l’osservanza di una regola può addirittura essere dannosa.

Le norme

Sono più specifiche e socialmente imperative rispetto ai valori; anche sul piano linguistico di solito una norma viene enunciata sotto forma di obbligo o di imposizione (es: è vietato calpestare il prato); sono regole attraverso le quali si applicano i valori. Una norma viene enunciata sotto forma di obbligo o di imposizione.

Per essere efficace una norma deve presentare un’eventuale sanzione e deve essere rinforzata da forme di controllo esterno del comportamento: punizione (sanzione negativa) o premio (sanzione positiva).

I valori vengono interiorizzati e appresi molto presto nella vita, le norme vengono apprese nel corso del ciclo vitale.

Searle distingue tra norme costitutive e norme regolative: le norme costitutive definiscono e creano una pratica che non esisteva prima delle regole e che la mettono in essere (ad esempio le regole dei giochi: se metto una pedina in modo non consentito dal gioco della dama, mi metto automaticamente al di fuori di questo gioco); le norme regolative disciplinano pratiche già esistenti (la maggioranza delle norme).

Vi sono norme statuite, che promanano da un’autorità riconosciuta, in genere in forma scritta e molto vincolanti a livello sociale; vi sono norme consuetudinarie, che si sviluppano spontaneamente e solitamente non in forma scritta, spesso senza avere un vero e proprio apparato di applicazione.

Importanti sono le norme deontologiche che definiscono le etiche professionali.

Continua…


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