Secondo i pro-life dell’Istituto Elliot (un ente no-profit che si occupa di problemi conseguenti all’aborto) questi risultati dimostrano che l’interruzione di una gravidanza indesiderata è tutt’altro che la soluzione di un problema psicologico, ma anzi “ha un impatto grave e duraturo sulla vita delle donne e sulla costruzione del futuro delle loro famiglie” e propongono le loro consulenze come necessarie per l’equilibrio mentale di queste donne.
Una semplice lettura del fenomeno “statistico” può indicare che la pratica dell’aborto volontario abbia sconvolto la mente di queste donne rendendole più aggressive verso la loro prole. Tuttavia, il fatto che le 518 donne fossero tutte economicamente limitate, non significa che fossero tutte moralmente povere e mi sembra naturale pensare che coloro che sono ricorse volontariamente all’aborto avessero già in partenza meno rispetto che le altre per la vita e per i bambini, tanto da arrivare più frequentemente a maltrattarli.