Gli interventi pubblicati dal Corriere erano tutti orientati a caldeggiare l’urgente riparazione di un ipotetico torto, subìto dalle persone omosessuali per i cosiddetti diritti civili negati.
In base a tali illuminati interventi, l’Italia, in quanto cattolica, impedirebbe l’avanzare della civiltà dominante del nord Europa, che ha concesso la gioia del matrimonio alle coppie omosessuali. Quasi che il nostro Paese sia una landa incivile e arretrata perché gli omosessuali non possono sposarsi. Anche la citazione del card. Martini appare strumentalizzata, per convertire alla più moderna fede omosessualista quella “parte reazionaria del popolo cattolico” che non l’ha ancora abbracciata.
Ma sono davvero negati, questi diritti? E quali? Il diritto ad amarsi? Il diritto a convivere? Il diritto a non avere i propri redditi assommati nel computo delle imposte? Il diritto a nessun obbligo giuridico di mantenimento verso alcuno? Sarebbe invece più serio evidenziare che oggi le coppie omosessuali hanno molti meno obblighi rispetto alle coppie sposate: possono avere due prime case senza problemi fiscali, sono trattate con inusuale riguardo da fisco, pubbliche amministrazioni, aziende, mass media, istituzioni. Anche la richiesta di estensione di strumenti come la reversibilità delle pensioni o la quota di “legittima”, in termini di eredità, sono connessi, nelle proposte in discussione oggi, come nuovi diritti, totalmente scollegati da quei doveri di reciprocità, di stabilità, di fedeltà, di assistenza e cura, che la famiglia invece esige. Il progetto di legge Galan per le “unioni omoaffettive”, per esempio, chiede tutto ciò, ma consente di sciogliere tale unione dopo soli tre mesi di separazione. Bell’impegno, per chi poi pretende reversibilità permanente della pensione!
Stupisce che questi “paladini” dei cosiddetti diritti civili siano gli stessi che rimangono drammaticamente e costantemente silenziosi di fronte all’urgenza di dare finalmente una mano alle famiglie che ogni giorno costruiscono l’Italia, curano i propri figli, li preparano ad essere cittadini di domani, assistono i propri anziani e disabili, garantiscono la coesione sociale, subiscono sistematicamente un fisco che penalizza i carichi familiari, mentre sono abbandonate nei loro bisogni, senza nulla in cambio che una quotidiana diffamazione, perché la famiglia pare solo il luogo della violenza.
È invece evidente a tutti che l’Italia ha retto alla crisi soprattutto grazie alle famiglie, che hanno saputo gestire di generazione in generazione i propri risparmi a beneficio dei figli e dei nipoti, sostenere i propri giovani disoccupati, accudire i propri figli disabili e genitori anziani. Altro che Italia arretrata, reazionaria, etc., Proprio sulla centralità della famiglia fondata sul matrimonio tra uomo e donna si fonda questa meravigliosa rete di solidarietà che tiene insieme il Paese.
Come opportunamente ricordava Francesco D’Agostino (Avvenire, 8 giugno) “il matrimonio non esiste per garantire la sensibilità dei coniugi, ma per consentire la costruzione di comunità familiari, alle quali la società (per mezzo dello Stato) affida i progetti intergenerazionali di convivenza”. Custodire i diritti individuali delle persone si può e si deve, con gli strumenti giuridici necessari. Attaccare la famiglia eterosessuale e genitoriale per questo è invece pessima scelta, che i movimenti di persone omosessuali per primi dovrebbero riconoscere come perdente. E anche il prezioso tema della lotta all’omofobia e a ogni discriminazione non deve essere brandito come un’arma per gli interessi di pochi, ma diventare terreno di confronto e di condivisione per il bene di tutti.