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Addio a Nagisa Ôshima

Creato il 15 gennaio 2013 da Af68 @AntonioFalcone1
Nagisa Ôshima (da Wikipedia)

Nagisa Ôshima (da Wikipedia)

E’ morto oggi a Fujisawa il regista giapponese Nagisa Ôshima, tra i più importanti autori cinematografici del XX secolo, profondo innovatore del cinema nipponico, il maggiore rappresentante di quella “nuova onda”, coeva appunto alla Nouvelle Vague francese, volta a rappresentare realisticamente (spesso sullo sfondo di un rapporto Eros-Thanatos tra i protagonisti), le trasformazioni in atto nella società giapponese degli anni ’60, avviata, dopo gli orrori del secondo conflitto, verso una veloce fase d’industrializzazione e di assimilazione delle influenze occidentali.

Il contrasto tra antichi valori e le sempre presenti differenze di classe, di cui veniva simboleggiata l’impossibile intesa, sono elementi che iniziano ad affacciarsi prepotentemente, accanto ad un evidente rigore formale, di “compostezza” dell’immagine, già dal primo film, Il quartiere dell’amore e della speranza (Ai to kibō no machi, ‘59), girato dopo una serie di esperienze come aiuto regista una volta assunto dalla major Shōchiku, cui seguirono Racconto crudele della giovinezza (Seishun zankoku monogatari, ’60) e Il cimitero del sole (Taiyō no hakaba, stesso anno). Queste opere crearono una serie di contrasti con la citata casa di produzione, anche per i risultati commerciali non particolarmente esaltanti, sino alla rottura definitiva, dopo il ritiro di Notte e nebbia del Giappone (Nihon no yoru to kiri), pellicola dalla forte connotazione politica, in cui vengono affrontate le polemiche conseguenti al trattato nippo-americano.

Ôshima allora fondò insieme alla moglie (l’attrice Akiko Koyama), una propria società di produzione, la Sozosha, riuscendo a girare in piena autonomia titoli come L’addomesticamento (Shiiku, ’61), ma dovette anche adattarsi, sempre mantenendo il consueto stile, a lavorare per la televisione (il film in costume Amakusa Shirō Tokisada, ’62), dedicandosi ad una serie di documentari, per fare ritorno sul grande schermo nel ’65 (Il godimento, Etsuraku), cui si aggiunsero numerosi altri titoli, come L’impiccagione (Kōshikei, ’68) col quale partecipò al Festival di Cannes, dove dieci anni dopo vincerà il Premio per la Migliore Regia, con L’impero della passione (Ai no bōrei).

Il grande successo internazionale per Ôshima, dopo una serie di problemi finanziari che lo costrinsero a chiudere Sozosha, arrivò nel ‘76 con Ecco l’impero dei sensi (Ai no korīda), una coproduzione francese, basato su una storia realmente accaduta nel 1936, e, al di là dello “scandalo” suscitato, una sorta di compendio delle tematiche care al regista, a partire da quel rapporto tra Eros e Thanatos già presente, forse con più cruda efficacia, nelle sue prime opere, come scritto ad inizio articolo.

Altra coproduzione, con l’Inghilterra, giunse nell’83, Furyō (Senjo no merii kurisumasu, Merry Christmas Mr. Lawrence), tratto dal romanzo The Seed and The Sower di Laurens Van der Post, che vede interpreti principali David Bowie e Ryuichi Sakamoto (autore anche della colonna sonora) ed incentrato, oltre che sul tema della contrapposizione tra due diverse culture, sull’attrazione omosessuale tra Celliers-Bowie e Yonoi- Sakamoto, dalle estreme conseguenze.

Seguì nell’86 Max mon amour, film a cavallo tra surreale ed erotismo (non a caso la storia porta la firma di Jean-Claude Carrière, sceneggiatore di molti film di Luis Buñuel) e un lungo periodo d’inattività dovuto a problemi di salute, sino al’99, quando Ôshima realizzò e presentò al Festival di Cannes, Tabù – Gohatto, “campo di battaglia” dove si scontrano per l’ultima volta, “l’un contro l’altro armati”, amore, politica e morte.


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