Lezioni condivise 73 – L’espansione coloniale portoghese
Non c’è espressione più ambigua di “popolo americano”. Esiste un popolo americano? e se esiste qual è? chi legittimamente può definirsi “americano”? i popoli nativi al limite, non i coloni, un coacervo di genti provenienti prevalentemente dall’Europa e di origine ancora distinguibile.
La “democrazia” amerikana per ogni diritto che concede, un altro legittimo ne nega. Gli USA (…e getta) ad esempio, concedono cittadinanza ai nati sul loro suolo, ma la negano da sempre ai popoli nativi, sono uno stato fondato sull’illegalità, sulla violazione dei trattati da essi stessi imposti.
Agli albori dell’Alto medioevo gli spostamenti di interi popoli hanno dato luogo nel mondo antico a nuove nazioni, pressoché omogenee sotto il profilo culturale ed etnico. Non si può dire la stessa cosa per i diversi flussi di migrazione nelle Americhe, il massimo dell’eterogeneità e che iniziano un millennio dopo in terre ove sono stanziati altri popoli, altre nazioni, con la loro civiltà e la loro cultura, che verranno emarginati, rimossi, sterminati, cancellati.
Nelle Americhe, pertanto, insieme a quel che rimane dei popoli nativi, vivono porzioni di popolo inglese, spagnolo, portoghese, tedesco, italiano, francese, cinese, giapponese e via dicendo. Non si tratta di radici così solide da permettere che si parli di un’altra nazione, siamo di fronte a poche generazioni di immigrati europei. La storia è testimone del genere di persone che furono mandate via dall’Europa per popolare gli USA e cacciare nelle riserve le nazioni indigene. Un’eredità riconoscibile nella violenza ancora imperante, nella disuguaglianza sociale estrema, nel razzismo, nella la facilità con cui anche i ragazzi possono armarsi e compiere stragi degne della più dissoluta barbarie, altro che democrazia!
Ancora oggi si discute tanto sulle modalità della scoperta del nuovo mondo, sull’identità di Colombo, sulla falsificazione di molti documenti per ragion di stato.
Il Portogallo fu il primo stato europeo ad avere mire coloniali fuori dal Mediterraneo. Affacciato sull’Atlantico, chiuso dalla Spagna, trovò naturale spingersi verso l’Africa occidentale e le terre costiere dell’oceano indiano.
Il primo impulso venne dalla dinastia di Aviz (1385) che successe alla decaduta casa di Borgogna, ma anche tutta una serie di coincidenze favorì il Portogallo. L’espansione, almeno per i governanti, obbediva a ragioni di tipo commerciale. La strategia era quella di occupare territori poco abitati che venivano dati in feudo al comandante della nave che li scopriva.
Le terre occupate, considerate res nullius (terra di nessuno), appartenevano a chi le abitava, non vi era organizzazione statale, gli indigeni non avevano leggi scritte.
Veniva adottato lo stesso criterio degli spagnoli durante la Reconquista, le terre redente venivano concesse come diritto di conquista a chi le liberava e analogo principio fu applicato nei regni della corona riconosciuti dal papa. Chi si opponeva a questa legge veniva fatto schiavo e perdeva ogni diritto.
Quando si conquistava un territorio si procedeva ad organizzare le vilas dal punto di vista politico, ma anche religioso, l“evangelizzazione” era una missione imposta dalle bolle papali; la Guinea, ad esempio, divenne cattolica (con quali mezzi? è lecito chiedersi).
Si era formata una popolazione di meticci in prevalenza di lingua portoghese che garantiva i contatti con i nativi dell’interno destinati alla schiavitù. Questa prevedeva anche il metodo della gradazione di colore, distinguendo tra neri, mori, moreni e via dicendo.
Le truppe portoghesi presero Ceuta nel 1415 con una poderosa squadra navale, agli ordini del re Giovanni I del Portogallo. L’avanzata fu portata avanti dal principe Enrico il Navigatore.
Nel 1434 il primo gruppo di schiavi venne portato a Lisbona ed il loro commercio divenne presto l’affare più importante del Portogallo e riguardò intorno alla metà del Quattrocento principalmente Guinea, Senegal, Capo Verde, Sierra Leone.
Con le bolle Dum Diversas del 1452 e Romanus Pontifex del 1454, il papa Niccolò V (questa è bella! ma abbiamo già visto per il regno di Sardegna e Corsica) riconobbe al re portoghese il diritto ai territori conquistati in Africa e Asia e lo autorizzava ad attaccare, conquistare e soggiogare i Saraceni, i pagani e gli altri nemici della fede, a catturare i loro beni e le loro terre; a ridurre gli indigeni in schiavitù perpetua. Con la bolla Inter caetera, Callisto III (1456) sancì il diritto di cristianizzare i territori, di nominare vescovi e parroci.
Dopo il 1492, scoperto il “nuovo mondo”, Alessandro VI (Rodrigo Borgia) ritenne necessaria una revisione delle sfere di influenza di Spagna e Portogallo, emanò così diverse bolle, tra cui le due Inter Caetera del 3 e 4 maggio 1493, sulla navigazione, la sovranità sulle terre scoperte, i diritti sui sudditi. Egli spagnolo, favorì notevolmente la Spagna. In particolare nella seconda bolla tracciò una linea retta (raja) al largo di Capo Verde che collegava il Polo artico al Polo antartico e in qualche modo divideva la sfera d’influenza dei due stati, l’ovest del meridiano spettava alla Spagna e l’est al Portogallo, escluso di fatto in questo modo dalla conquista di terre nel nuovo mondo.
Per evitare una guerra tra i due stati cattolici si raggiunse un compromesso con il Trattato di Tordesillas del 7 giugno 1495, che modificava le delimitazioni autorizzate dal Papa, spostando la raja in modo che al Portogallo spettasse almeno la conquista del Brasile.
Tutto ciò naturalmente all’insaputa delle civiltà là insediate dei Maya, Aztechi e Incas, per citare le maggiori a noi note e candidate allo sterminio.
Chi ne è capace si ponga nel loro tempo.
Uno studente ebbe un moto di disgusto verso la barbarie dimostrata dai colonizzatori e lo esplicitò; la prof fece presente forse in maniera troppo sbrigativa che si era a lezione di storia e non di etica. Tuttavia non condivisi. Se l’osservazione dello studente poteva apparire ingenua – le crudeltà di certe epoche storiche sono note – non per questo vanno giustificate per il fatto che siano accadute in tempi remoti. Sarebbe come se nel 2500 o nel 3000 si arrivasse a giustificare il nazifascismo. Se poi si fa attenzione, in tutte le epoche passate, antica, medievale, moderna, accanto alle crudeltà più efferate, c’è sempre stato chi le ha combattute e chi avrebbe voluto farlo, ma non ne ebbe il coraggio, la forza o gli strumenti. Ancora oggi prendiamo lezioni di morale dai filosofi greci e latini; Gesù Cristo è vissuto 2000 anni fa e ancora non abbiamo assimilato il suo messaggio di pace, carità e uguaglianza; Cesare Beccaria scriveva a metà settecento per l’abolizione della pena di morte e ancora oggi in stati che si ritengono esempio di democrazia persiste questa barbarie; la Rivoluzione francese è avvenuta nel settecento e abbiamo perso tanti dei suoi valori, registrando un regresso su molti aspetti…
Il problema della razza tuttavia non era molto sentito allora, i contatti erano stati molto rari prima. Il termine razza aveva un significato culturale, più che come è inteso oggi. D’altra parte ogni popolo si considerava migliore dell’altro, anche tra i bianchi vi era un certo odio.
Il mondo moderno considerava barbari coloro che non avevano leggi, consuetudini, ordinamenti simili ai propri. Musulmani ed ebrei in particolare, erano odiati per la loro religione, non per la razza, soprattutto perché conobbero il cristianesimo e lo rifiutarono. Quando i musulmani si convertivano veniva dato loro un nome cristiano. La conversione affrancava dalla schiavitù, rendeva “liberi”.
I neri, che non avevano conosciuto il cristianesimo, erano più tollerati. Anche se erano considerati una razza inferiore. Quando rifiutavano di convertirsi, diventavano schiavi, come accadeva ai prigionieri di guerra, che tuttavia erano considerati vinti, mentre i neri no.
All’inizio del cinquecento dunque Spagna e Portogallo avevano il monopolio legale dei traffici con l’Occidente atlantico.
Per la Spagna l’operazione fu portata avanti da stinchi di santo come Cortes e Pizzarro, con patenti di spietatezza proverbiali; loro omologo portoghese era Pedro Álvares Cabral.
Il Brasile venne scoperto da questi nel 1500, e la colonizzazione vera e propria iniziò intorno al 1530. Benché all’inizio fosse considerato meno importante dei territori asiatici, il Brasile, divenne poi la colonia più importante dell’impero, dalla quale i portoghesi potevano esportare oro, gemme preziose, zucchero, caffè e altri prodotti agricoli e così si intensificò la tratta degli schiavi dalle colonie africane.
Tra il 1575 e il 1583 questo monopolio venne attaccato da inglesi e olandesi in una vera “guerra di corsa” (da cui i corsari, cioè coloro che agivano autorizzati da lettere di corsa emesse da governi nazionali) condotta nelle colonie da mercanti-pirati, che miravano a sottrarre alla Spagna il monopolio delle importazioni di metallo prezioso (il motto era “contro i papisti per Eldorado”, il paese dorato, la regione ricchissima di oro di cui si favoleggiava l’esistenza in America Latina.
Dal 1580 al 1640 il Portogallo cadde in mano agli Asburgo di Spagna, questi non si curavano delle colonie portoghesi facendo il gioco di Inghilterra e Olanda che in poco tempo ridussero notevolmente l’impero portoghese. Riuscì a salvarsi il Brasile e nel Pacifico Macao e Timor Est. Nel 1661 persero anche l’India, conservando solo piccole basi.
Dall’Europa iniziò la migrazione volontaria verso il Brasile che si popolò notevolmente e raggiunse l’indipendenza nel 1822 ad opera di Pedro I, principe portoghese.
L’attacco portato dai filibustieri può essere letto come l’inizio di una fase violentemente competitiva nel commercio a lunga distanza e gli olandesi invocavano la libertà di navigazione, il “mare liberum”. Un concetto molto amerikano: si è sempre molto liberali per ottenere le proprie libertà, prescindendo dal fatto che esse per altri siano causa di schiavitù, oppressione, tirannia.
(Storia moderna – 19.2.1997) MP
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