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Adobe ci spia: da lettori a cavie

Creato il 15 ottobre 2014 da Diletti Riletti @DilettieRiletti

È stata la curiosità di un utente a far emergere in questi giorni la notizia che Digital Editions 4, l’app per ebook di Adobe, spia i suoi utenti. Attraverso un software gratuito di monitoraggio, Nate Hoffelder si è accorto che i dati personali del suo e-reader venivano trasmessi ad un IP appartenente ad Adobe. Titoli dei libri letti, autori, percentuali di lettura e così via, dati inviati in chiaro e quindi intercettabili poi da chiunque altro avesse voglia di accedervi. E la privacy? Beh, la privacy cede il passo -così si è giustificata la Adobe- alla lotta alla pirateria. Piuttosto che combattere dunque contro le piattaforme da cui scaricare illegalmente le opere si interviene sull’utente, spiandolo.

Chi di voi possegga un Kobo, come me, saprà che spesso l’apparecchio assegna dei premi in base alle ore in cui si legge, quanto, con quale frequenza. Quando mi capita di vedermene assegnare uno la mia reazione è sempre di un certo sbigottimento: che l’apparecchio mi monitori mi mette a disagio, soprattutto perché non esiste alcuna funzione da attivare o disattivare, così è se vi pare. Pensare dunque che una app, senza richiedere da parte mia alcun consenso, acceda ai miei dati e li divulghi in un certo senso, visto che non è stata presa alcuna precauzione nella fase di trasmissione dei dati, è aberrante a dir poco.

Combattere la pirateria digitale piratando i dati personali è un vero e proprio paradosso. Tra i motivi addotti per un comportamento così scorretto vi è anche il monitoraggio dei prezzi dei libri dei vari paesi. Non dunque lettori con il sacrosanto diritto di leggere con un apparecchio pagato di tasca propria per quello scopo, ma campioni di riferimento senza diritto di scelta.

Il passo successivo, la creazione di un database utente per utente non pare poi così azzardato, come pure non pare campata in aria l’idea che oltre alla privacy lo scopo sia quello di accedere gratuitamente ai dati di consumo per realizzare una vera e propria indagine di mercato coatta. Che i nostri dati siano oramai alla mercé di chiunque è cosa risaputa, al di là di qualsiasi ipotesi di complotto, come quando utilizzando facebook ci si rende conto che le inserzioni laterali sono cucite appositamente su di noi e sulle nostre ricerche in rete, o sarà un caso che, mentre scrivevo un racconto su dei pensionati, e avendo fatto alcune ricerche mirate in rete, il social mi abbia più volte consigliato inserzioni pubblicitarie sui cateteri?

Il passo verso la segnalazione come utente pericoloso, perché magari voglio scrivere un giallo e faccio delle ricerche sugli esplosivi e su come fabbricare una bomba in casa, pare niente affatto lontano. La regola è chiaramente sempre la stessa, ricordarsi che ogni volta che un computer viene connesso alla rete diventiamo vulnerabili: fu a causa di un social non più in uso che mi ritrovai alle prese con uno stalker, quando la parola stalker non esisteva nemmeno (ma il tizio sì, e come!).


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