Claudio Sottocornola
Appuntamento martedì 31 marzo sul Canale CLDclaudeproductions di YouTube (con rinvio via link al sito dell’autore e a quello del Liceo Mascheroni di Bergamo) per la terza ed ultima parte delle lezioni -concerto sull’Unità d’Italia tenute dal Prof. Claudio Sottocornola con gli studenti del Liceo scientifico L. Mascheroni nel 2011, presso l’Auditorium della Provincia di Bergamo, nell’ambito del corso Una notte in Italia per la Terza Università di Bergamo, recentemente pubblicate su chiavetta USB.
Dopo La chiamavano Bocca di Rosa (Cantautori) del 31 gennaio scorso, e di Miss(ing) Italia (Immagine della donna), performance incentrata sull’evoluzione della femminilità nel costume e nella società attraverso la canzone e le sue interpreti (28 febbraio), ora è la volta di Adorable Sixties, che rappresenta l’occasione per entrare nel vivo del repertorio più amato da Sottocornola. Il filosofo del pop non ha mai nascosto infatti di considerare quel mitico decennio, per lui anagraficamente associato agli anni dell’infanzia, un periodo aureo e irripetibile della Storia del secondo Novecento, quando “si affacciavano alla ribalta… personaggi come Bob Dylan e Allen Ginsberg, Andy Warhol e Lou Reed, dove cinema, letteratura, rock e arte varia si fondevano nell’elaborazione di un modello culturale che sarebbe diventato planetario”.Anche se la musica che arrivava in Italia risultava edulcorata rispetto ai contenuti più caustici e corrosivi del rock anglosassone, dallo jé-jé al beat, dal flower power alla contestazione studentesca, il nostro Paese riuscì comunque ad elaborare in quegli anni una colonna sonora pop-rock e d’autore che sarà poi esportata in tutto il mondo. Sono gli anni del Boom economico, quando vi era la netta sensazione “che le cose andavano bene e sarebbero andate sempre meglio” e i giovani ne percepivano gli ormai prossimi mutamenti di costume, aprivano la strada ai nuovi balli (suggestivo e di forte impatto il medley composto da Let’s Twist Again, La partita di pallone, Il ballo del mattone), intuendo la nuova immagine femminile delineata da Rita Pavone, così diversa dalla diva tradizionale, capace di esprimere efficacemente i primi tormenti amorosi giovanili (Cuore), inedito contraltare del candido Non ho l’età espresso da Gigliola Cinquetti qualche anno prima, ed apprezzando, infine, il ruspante proto-femminismo di Caterina Caselli (Insieme a te non ci sto più). Sono sempre loro, i giovani, intorno alla seconda metà del decennio, ad esprimere tutta la loro insoddisfazione verso un mondo che incominciava ad andargli stretto: una volta che iniziavano ad avvertirsi i tuoni lontani della contestazione giovanile, con il Maggio francese ormai alle porte, cantanti come Gianni Morandi venivano man mano visti come emblema del disimpegno, tanto da essere quasi costretti ad allontanarsi dalla loro leggerezza, spostandosi verso tematiche più impegnative (C’era un ragazzo che come me) e complesse, con attenzione alle nuove istanze critiche (Dio è morto; L’isola di Wight), preannuncio di quella svolta che sarà espressa dai cantautori a partire dagli anni ’70, ispirandosi ai colleghi francesi nell’amore manifestato verso il testo, rivolto alle istanze silenziose degli emarginati, degli offesi dalla vita, di quanti sono vittime delle istituzioni, guardando al passato per metaforizzare il presente. In Inghilterra invece troverà consacrazione definitiva il “rock progressivo”, nato sul finire degli anni ’60, corrente il cui obiettivo è perseguire una finalità estetica, andando oltre il puro intrattenimento, con richiami alle sonorità proprie della musica classica e del jazz. Sottocornola si sofferma quindi sull’inestricabile intreccio fra canzone e società, storia e costume, quotidiano ed epocale, tracciando ritratti dei grandi personaggi della canzone riletti come icone di un’intera generazione: pagine d’ intensa emozione, tutte giocate sulla stretta attualità in cui il filosofo-performer rilegge, ricolloca e reinterpreta i suoi brani prediletti, con piglio malinconico e risentito quanto basta per fa passare il messaggio che quelli erano davvero, per lui ma forse anche per noi, giorni migliori. In vista del suddetto conclusivo appuntamento è ora possibile tirare le somme e valutare concretamente l’estrema attualità del discorso storico- artistico-filosofico di Claude, l’alter ego, moderno cantastorie, del professore di Filosofia, nel voler fornire un’inedita visualizzazione del ‘900, sia nella sua portata tragicamente storica (le due Guerre Mondiali, i totalitarismi, la nascita della democrazia, le istanze giovanili, la crisi dei valori) che concretamente sociologica, foriera di cambiamenti per le generazioni che man mano si sono susseguite.
La musica più che stile di vita diviene per Claude una nuova modalità d’interpretare l’esistenza, spinto com’è tanto dalla passione che dalla volontà di mettere in scena attraverso le canzoni gli anni della propria giovinezza, con le sensazioni e i ricordi visualizzati sul palco a farsi efficaci tavole viventi. Il tutto nell’essenzialità scenica a lui cara, avvalorata da modalità di ripresa arricchite da un montaggio funzionalmente accurato nel collegare la scaletta alle diverse esibizioni, garantendo un’estrema scorrevolezza all’indagine metodologica che si palesa come un efficace punto d’incontro tra la Storia e la “sua” storia, con il proprio vissuto personale. Claude diviene “cercatore”, attraverso la storia delle note, di quella verità insita nell’uomo e che si fa tutt’uno con esso: sfrutta capacità affabulatorie e abilità vocale nell’individuare le caratteristiche di ogni canzone, proposta e reinterpretata rispettandone l’ispirazione originaria, dando valenza al testo colto in ogni sua sfumatura quale pista ideale da cui far decollare i propri sentimenti, i propri i ricordi, le più intime suggestioni. Ecco che la figura del cantastorie e del filosofo diventano un magico ensemble, nella salvaguardia, all’interno di un raffinato afflato pop, delle nostre radici e della nostra identità, esprimendo la necessità di contestualizzare il nostro patrimonio musicale perché non vada perduto, recuperando il passato per meglio comprendere il presente, un richiamo a ciò che siamo stati, ai nostri cambiamenti, alla continua rappresentazione messa in scena da tutti noi su quel variegato palcoscenico che è la vita.