L’intervista è lunga e densissima di spunti, quindi evito di amareggiarvi con uno dei flussi di coscienza dei quali tendo a cadere vittima quando parlo di gruppi ai quali sono particolarmente legato dal punto di vista emotivo e passo subito il microfono a Giulio, voce e mente dei Cripple Bastards, con il quale abbiamo parlato, tra le altre cose, dell’edizione rimasterizzata di Misantropo a senso unico e della gestazione di quello che resta uno dei dischi più dolorosi della storia del grind, di cinema di genere (sia italiano che serbo) e dell’imminente nuovo album Nero in metastasi…
Vi ho visti dal vivo a Roma poco tempo fa. La scaletta, oltre che ovviamente da Misantropo, pescava molto da Variante, trascurando Desperately Insensitive. C’è una ragione precisa dietro questa scelta? Io vedo una sorta di continuità tra i due dischi, hanno entrambi una forte coerenza interna, come se il primo rappresentasse lo scontro con la realtà di una persona ancora troppo giovane per rassegnarsi del tutto allo schifo del mondo e il secondo esprimesse quella fredda e cinica accettazione della realtà che arriva con l’età adulta, un’accettazione che però rende meno indifesi, più capaci di contrattaccare, penso al testo di ‘”Sangue Chiama”’…
Per noi la continuità tra Misantropo a senso unico e Variante alla morte in una scaletta live sta nel fatto che entrambi gli album contengono pezzi molto dinamici e “nervosi” che riescono a tenere alto il livello di velocità e tensione senza abbassare mai la guardia. Desperately insensitive era un album di transizione, il primo che ci ha permesso di rodare la line-up che è andata avanti fino ad oggi, contiene svariati pezzi che abbiamo suonato dal vivo per un’eternità (“Being ripped off”, “Get out and bite them”, “When immunities fall”, “I hate her”) e altri che, pur avendo un buon impatto nel contesto di quel disco, riproposti live rischiano di frenare e “sedere” un po’ l’attenzione rispetto all’effetto valanga che vogliamo creare. Sul discorso invece più esistenziale tra Misantropo e Variante alla morte, io non ci sto a riflettere su più di tanto, ciascuno è lo specchio del periodo in cui è stato scritto e di quello che in quei precisi momenti mi andava di ritrarre, non è che uno ha più rabbia adolescenziale e l’altro è più riflessivo, semplicemente la vita va avanti e la realtà intorno si modifica, è naturale che uno non si fossilizzi sempre sullo stesso stile, gamma di parole e argomenti, se no diventerebbe un’imitazione di sé stesso.
Desperately Insensitive sembra invece un disco più vario e frammentato. Perché decideste di cantarlo quasi tutto in inglese? Peraltro i miei pezzi preferiti sono proprio quelli in italiano: ‘Odio a prima vista’ e ‘Partner della convenienza’, mi viene quasi da pensare che tu li abbia voluti cantare in italiano proprio perché sapevi che erano tra i migliori e che l’inglese avrebbe tolto loro forza…
Desperately insensitive è un album scritto e registrato in una fase molto complessa e delicata nella storia dei CB. Da non molto avevamo radicalmente cambiato la line-up e con alle spalle il buon feedback che stava ricevendo Misantropo a senso unico la nostra attività live era diventata piuttosto fitta, iniziavamo a suonare a festival più di rilievo ecc… Insomma, c’è stato un momento in cui realizzare il terzo album era diventato indispensabile sia per consolidare il nostro legame come band rinnovata, sia per far vedere che non volevamo riciclarci su un revival dei tempi passati ma che eravamo proiettati verso il far crescere/maturare ulteriormente i CB a livello di stile e composizione dei brani. Sta di fatto comunque che i tempi stringevano tra tour e contratto con l’etichetta che avevamo allora, al che abbiamo messo insieme una serie di brani nuovi composti dal 2000 al 2002 (alcuni già presenti in versione molto più grezza sullo split EP con i Regurgitate), il riarrangiamento di qualche classico che suonavamo costantemente dal vivo (“Being ripped off”, “Get out and bite them”, “I hate her”) più il primo esperimento di brano con riff scritti da Der Kommissar (“Fear in the squats of the dead”). Per quanto riguarda invece i due brani in italiano che hai citato, è un po’ un’anomalia, sono testi scritti d’impulso poco dopo l’uscita di Misantropo a senso unico che volevo assolutamente includere su Desperately Insensitive, un po’ per un senso di rivincita/vendetta personale, e quindi, anche se l’intenzione era di fare un album interamente in Inglese, abbiamo poi deciso di tornare alla linea di Your lies in check con una minoranza in italiano per via di questa impellenza. Musicalmente “Odio a prima vista” e “Partner della convenienza” li avevo scritti tra il 2000 e il 2002 adattandoli sulla linea vocale, contenevano comunque riff che avevamo nel cassetto da anni. Insomma, Desperately insensitive è stato un po’ il convergere di varie esigenze e il consolidarsi attraverso disco della formazione nata allora e sopravvissuta fino ad oggi. Il punto debole di quell’album rivisto a distanza di 11 anni non sta tanto nella frammentazione compositiva dei brani quanto nella produzione, molto sintetica e all’Italiana. Quegli stessi brani con una registrazione più d’impatto (pensa ad esempio al Soundlab di allora), più vicina alla sfera di quelli che erano i CB dal vivo in quegli anni, avrebbe reso sicuramente meglio.
Come è arrivata la decisione di rimasterizzare Misantropo? Quali sono le prime cose che ti vengono in mente se pensi al periodo in cui fu registrato il disco?
Non sono mai stato completamente soddisfatto del mix originale di Misantropo anche se indubbiamente è diventato così di culto. Sono sempre stato convinto che si potevano conservare quel suono, quella distorsione e quel grezzume portando alla luce un mucchio di dettagli che allora erano rimasti nascosti. Sia per quel che concerne la batteria, che per il muro di chitarra e basso. Conoscendo tutti i trucchi/accorgimenti che Alberto adottava in quel periodo, ero ad esempio conscio del fatto che un’intera linea di chitarra registrata in un modo molto particolare nel mix originale era rimasta soffocata. Insomma era sempre stato un sogno nel cassetto quello di provare a remixarlo ripartendo dalle tracce separate. L’occasione giusta è arrivata grazie allo studio cresciuto in parallelo alla FOAD Records, il Toxic Basement di Milano. Vedendo la cura e la passione per i supporti analogici che veniva impiegata da Carlo, il ragazzo che lo gestisce, ho pensato che fosse la persona adatta per seguire insieme a me questo lavoro, cercando solo di migliorare tutto quello che era stato negli anni apprezzato di Misantropo a senso unico senza snaturarne i suoni, la mole di distorsione e l’aggressività che lo caratterizzavano. Da qui segue una fase molto travagliata prima per recuperare le bobine dalla persona che l’aveva registrato, poi per trovare chi potesse ancora leggere quel particolare nastro, e molti altri ostacoli che non ti sto ad elencare. Ci sono voluti più di due anni per venire a capo di tutto il lavoro, e in alcuni momenti siamo stati vicini ad abbandonare il progetto. Il risultato finale secondo me è stupendo e ancora nessuno ci ha buttato in tavola la critica da die-hard sull’aver profanato il lavoro originale, proprio perché abbiamo dedicato una cura e un’attenzione maniacale a quelli che erano i suoni e la rabbia originale del disco. Affiorano molti dettagli in più e poi c’è l’aggiunta del bonus “Separati dal contagio” che mi ero completamente dimenticato fosse stato inciso su quelle bobine ed è stato una notevole sorpresa.
Tornando alla tua domanda, le prime cose che mi vengono in mente se penso al periodo in cui Misantropo è stato concepito… Beh, le difficoltà enormi nel trovarci e provare; la line-up di allora era già piuttosto divisa, abitavamo lontani (a parte io e Alberto). E poi tutta la negatività del contesto che ha motivato e fatto scaturire quei testi e quel genere di odio.
Oggi quanto ti rivedi nel Giulio che scrisse quei testi? Ti fermi mai a riflettere su quanta gente vi si riconosca, su quanto quel disco significhi per parecchie persone?
Oggi come allora mi ritrovo al 200% in quell’album e quei testi, così come mi ritrovo in quelli di Variante alla morte e dell’imminente Nero in metastasi. Sono inevitabilmente frammenti di vita, riflessi di quel che ho intorno, non sto a farci su molta filosofia, ho scritto quel che mi veniva di scrivere in quel preciso momento spinto da determinate sensazioni e impulsi. Non un passo indietro. Su quanto Misantropo a senso unico possa aver dato input ad altre persone, quanti possano essersi riconosciuti in quei testi… Sì ci penso spesso, rivedo un po’ me stesso quando agli inizi mi ritrovavo nei testi di band come Negazione, Declino, Kollettivo… Credo che abbia a che fare col fatto che la rabbia, la disperazione e l’istintività allo stato brado, se incanalate attraverso una forma di espressione congeniale alla persona che concepisce, lascino inevitabilmente un segno. Io ho avuto la fortuna di sfogarlo attraverso i Cripple Bastards. Aggiungerei però il fatto che in moltissime circostanze mi sono trovato davanti a persone che questi testi li hanno interpretati e vissuti in modo distorto e lontano dai sentimenti originari, e sono contento di aver deluso le loro aspettative nel momento in cui si sono poi confrontate direttamente con me.
Nel libretto della prima edizione del disco appare la frase “In ogni boia c’è una parte di me”. Che significato vi davi, all’epoca?
Ha a che fare con una visione di quel senso di liberazione e mancanza di vincoli che si può provare nel momento in cui ci si trova ad arrecare del male agli altri senza ostruzioni dettate da leggi e morale, anche sul nuovo Nero in metastasi ci sono riferimenti molto marcati su quest’ottica di purificazione attraverso la violenza.
Perché il tema della copertina era il lancio di sassi dal cavalcavia, un’usanza che allora andava abbastanza di moda?
In parte perché ci riportava indietro a pessime abitudini degli anni in cui da ragazzini avevamo dato vita ai Cripple Bastards, l’età che in seguito abbiamo ribattezzato come “Age of vandalism”, e in parte perché quella foto visivamente inquadrava bene il contesto in cui il disco è stato scritto e concepito, dopotutto i fatti di sangue legati ai lanci di sassi in quegli anni sono avvenuti non molto lontano da qui… Il grigiore delle nostre autostrade e l’assurdità della morte casuale di quegli episodi in qualche modo fanno pensare all’immaginario che si sviluppa attraverso i testi di Misantropo a senso unico, no?Parliamo un po’ di film. Sei notoriamente un grande appassionato di horror e, più in generale, di cinema di genere. C’è qualcosa nel cinema horror attuale che ti piace e ti stimola? Che ne pensi della moda del torture porn che ha caratterizzato gli ultimi anni?
Non mi interesso gran che del cinema attuale e non seguo affatto il torture porn. Una volta ero lanciato verso la ricerca del “cosa ci può essere di visivamente più estremo”, oggi preferisco concentrarmi sulla bellezza dell’atmosfera, della fotografia e dell’espressività che avevano certi film di genere anni Settanta e Sessanta (ma anche libri), l’aspetto che avevano allora determinati scenari, da quelli degli spaghetti western a quelli ambientati nelle nostre metropoli… Insomma mi perdo su questi dettagli. Di film attuali, giusto per tenermi aggiornato, ogni tanto passo in rassegna questa marea di remake e prequel e ho apprezzato qualche horror francese e orientale uscito nell’ultimo decennio.
Sempre parlando di cinema di genere, non posso non chiederti come mai nella vostra iconografia ricorra l’immagine di Giulio Sacchi…
Sono sempre stato ossessionato da “Milano odia…” e mi identificavo molto in quel genere di violenza e gusto nero verso l’ingiustizia fine a sé stessa. Ai tempi il film non era affatto inflazionato/creditato e non era ancora stato riscoperto dall’ondata di revival sul cinema di genere italiano che c’è stata subito dopo, quindi come per la foto del sasso dal cavalcavia, alcuni screenshot di Giulio Sacchi si abbinavano benissimo all’immaginario di “Misantropo a senso unico” e per questo li abbiamo inseriti. Fuori dal contesto di “Misantropo a senso unico” non mi sembra che sia stato utilizzato su altre grafiche, a parte magari qualche t-shirt stampata all’incirca in quel periodo.
‘Stupro e addio’ fu inclusa nella colonna sonora di ‘Morituris’, al quale in Italia è stato addirittura negato il visto censura. Tu sei riuscito a vederlo? Se sì, che ne pensi?
Sì l’ho visto. Ho un’opinione positiva a riguardo ma il suo punto debole sta nella recitazione piuttosto scarsa di alcuni attori, e i dialoghi. La storia di per sé è interessante, così come i richiami ai vecchi horror italiani. Con una fotografia più anni 70/primi 80 avrebbe reso il triplo però..
Date le tue origini serbe, do per scontato che tu abbia visto ‘A serbian film’…
Non so per quale motivo ma quel film non mi ha detto assolutamente nulla e l’idea di presentarlo con quel titolo per ironizzare sul fatto che il mondo vede i Serbi sotto una determinata ottica sanguinaria e spietata, secondo me è azzeccato fino a un certo punto. Ho apprezzato di più altri film con quegli attori e in generale del vero cinema Serbo vi consiglio vivamente “Rane/Wounds”, “Lepa sela lepo gore”, “La polveriera”, “Do koske”, “Normalni ljudi” e andando indietro nel passato il favoloso epidemiologico “Variola vera” che ci ha ispirato moltissimo.
E di produzioni come ‘The life and death of a porno gang’ e‘Klip’ che ne pensi? Dicono qualcosa sulla Serbia su cui valga la pena soffermarsi o è roba autoreferenziale?
Il primo si lascia guardare, grottesco e paradossale al punto giusto. Il secondo ce l’ho ma devo ancora vederlo. Non sono certo questi film comunque a dare un’immagine sulla Serbia o inquadrare la mentalità e il contesto sociale di quel paese.
Negli ultimi anni la quota di metallari nel vostro pubblico è aumentata a scapito di quella legata al giro HC classico. Ciò vi ha reso meno soggetti alle simpatiche controversie ideologiche che vi hanno sempre reso la vita non semplicissima in certi ambienti? Personalmente, da metallaro ho sempre avuto problemi a relazionarmi con i rigidi codici che mi sembra governino la scena HC…
Sono argomenti che non ci toccano, se vivi non pensando a minuterie come queste, vivi meglio. Io non sto neanche a guardare la mole di pubblico HC o Metal perso/guadagnato attraverso gli anni, faccio quello che mi sento e lascio che le cose vadano per il loro corso naturale, le chiacchiere e i pregiudizi consumano il tempo e l’energia che una persona ha per apprezzare la propria esistenza.
A tale proposito, ti dà ancora fastidio essere bollato come fascista, razzista, misogino, pastafariano o quel che è dalle zitelle bigotte del pensiero unico politically correct o non te ne fotte più niente?
Non me ne sbatte un cazzo di niente, vivo la mia vita facendo quello che preferisco e nel modo che ritengo più appropriato. Se qualcuno lo ricollega erroneamente a una presa di posizione politica sta solo sprecando il tempo in chiacchiere, se la cosa non lo lascia dormire la notte o ci affronta e la risolve, o è destinato a esaurirsi nel tempo come tutti i nostri detrattori… Il nocciolo del discorso è get a life.
Del prossimo disco che mi dici, sia a livello musicale che lirico? Come siete arrivati al contratto con la Relapse?
Il nuovo album “Nero in metastasi”, in uscita a metà febbraio… Lo lascio un po’ a sorpresa sia a livello musicale che per quanto concerne i testi. Ti dico solo che, se hai trovato un filo conduttore tra Misantropo a senso unico e Variante alla morte, questo è lo step successivo di quella progressione, a livello compositivo è probabilmente il disco più sudato e sofferto in 25 anni di Cripple, a livello di testi anche quello più doloroso quando ci ripenso sopra, perché abbina il nostro solito occhio cinico sulla realtà a delle tematiche scomode e estremamente difficili vissute come al solito da molto vicino. Rientra anche un po’ la componente “testo vendetta mirata” che su Variante alla morte era passato in secondo piano rispetto a lavori precedenti. Stop!
Con Relapse siamo stati in contatto per una vita, già dagli anni Novanta quando c’era ancora Bill. Li abbiamo conosciuti di persona durante il nostro primo tour negli States e da lì ha gradualmente preso piede questa collaborazione. Siamo partiti poi nel 2006 con lo split 7” con i Sublime Cadaveric Decomposition fino ad arrivare al contratto vero e proprio nel 2010. Da lì il singolo Senza impronte e ora finalmente questo album (un brano dal quale, la devastante “Malato terminale”, potete ascoltare qui, nda).
Direi di chiudere l’intervista con il video di un pezzo turbofolk da dedicare ai nostri lettori, così ampliamo i loro orizzonti culturali.
Ma devo proprio? Va be’, Mile Kitic resta sempre un’icona:
Piuttosto, questi sono i link ai siti dei Cripple Bastards:
http://www.cripple-bastards.com
http://www.facebook.com/cripplebastards
http://www.relapse.com/label/artist/cripple-bastards.html
http://cripplebastards.bandcamp.com/
Merchandising ufficiale per l’Europa:
http://www.scareystore.com/cripplebastards