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Adriano Barone: Zentropia

Creato il 08 maggio 2012 da Fabriziofb

Adriano Barone: Zentropia
Accendi il sistema.
Apri il programma.
Apri il documento”
(1).

Si apre così, su un incipit che è una sorta di citazione anonima, riportata in corsivo, apparentemente avulsa dalla narrazione principale e che calca sull’ambiguità dei termini “sistema”(2) “programma”(3) e “documento”(4), il romanzo Zentropia di Adriano Barone.
E, forse, il modo migliore per affrontare Zentropia -oggetto letterario deformato e “difforme”, difficile da afferrare, e ancora di più da commentare, in quanto quasi totalmente privo di trama (perché, nel momento in cui la narrazione si apre, tutto ciò che (non) doveva accadere è già accaduto, e all’autore non resta altro che tratteggiare una serie di scene isolate del “dopo”)- è proprio concentrarsi sulle queste ambiguità.
Innanzitutto il “sistema”: tutto quel che conta è già successo. Il tempo zero della narrazione è “pochi minuti nel futuro”(5). Il luogo è l’Italia. Un Italia “post-guerra civile”, che somiglierebbe in tutto e per tutto alla nostra, se le contraddizioni con le quali quotidianamente ci scontriamo non fossero messe allo scoperto, amplificate, esposte, portate alle ultime conseguenze.
Il “sistema” pare essere il nostro: (iper)invasivo ma invisibile, impersonale, inattaccabile e del tutto indifferente. Non c’è traccia di politici, in Zentropia, solo i segni rivelatori di un progetto autoritario andato a buon fine e, per unica opposizione, “Terza Linea”, un gruppo frazionato in cellule spesso in reciproco disaccordo, nelle cui file militano rivoluzionari da cartolina pronti a riproporre, nostalgicamente, le formule abusate e ormai inservibili del terrorismo anni ’70, o a perdersi in cervellotici, vani, progetti di emancipazione sessuale(6).
A far da sfondo a questi dissidi, un’Italia allo sfascio, isolata dal resto d’Europa e ridotta a una sorta di enorme lager, con elicotteri e mitragliatrici a sorvegliare il confine Svizzero, e recinzioni elettrificate a ostacolare il passagio in Francia.
Un’Italia nella quale un qualunque “progetto”, tanto rivoluzionario quanto politico, è assolutamente impossibile, impensabile; tanto è vero che, tolta l’inutile resistenza di “Terza Linea”, le uniche alternative a un “lasciarsi vivere” che, complice la paura, somiglia quanto mai a un “lasciarsi morire”, sono entrare a far parte degli “asomatici”(7), cercare rifugio in uno dei tanti gruppuscoli di ragazzini “nazichic”(8) malati di techno e di violenza, o diventare “retroambulanti”(9) (“scelte” che, a ben vedere, si traducono nella rinuncia alla volontà personale, in favore del gruppo, in vista del nirvana, o per spendere se’ stessi in una nostalgica e impotente contemplazione del passato).
Tutto questo in un “romanzo” che vuol essere “documento” -e arriviamo così alla terza parte dell’incipit-, non solo nel senso “informatico”: il termine, che preso in questo senso dà a Zentropia un tocco polverosamente fantascientifico (“polvere” ampiamente giustificabile: pare ovvio che i riferimenti dell’autore siano da ricercare nel romanzo distopico novecentesco, più che nella fantascienza contemporanea), letto nell’altra accezione -che ricade nel circolo semantico della “testimonianza”, come a voler dire che quella espressa nel romanzo non è una “profezia” (previsione fondata su una valutazione morale del presente), ma una pre-visione vera e propria, a fronte della quale il veggente (vedente) può considerarsi a tutti gli effetti testimone di quanto avverà “pochi minuti nel futuro” a un paese nel quale, “dopo la fine”, “in sostanza le cose restano come prima. Solo peggio.”(10)- dà senso al romanzo, e legittima il suo inserimento all’interno della collana “Inchiostro Rosso”(11).
Certo, a definire “noir” il libro di Barone ce ne vuole… e non tanto perché la quasi totale assenza dei caratteri distintivi del genere(12), ma perché Zentropia è un oggetto letterario talmente disgregato, che difficilmente ci si azzarda a chiamarlo romanzo.
E proprio qui, forse, sta la sua forza: a ricondurre il tutto a una forma “finita”; a voler tirare i fili in qualche modo; a ricomporre i frammenti in una totalità compiuta, espressione di un dissenso unilaterale, o di un preciso progetto politico-rivoluzionario, l’autore avrebbe rischiato di banalizzare e depotenziare una serie di scene o quadri isolati violenti e di grande effetto, che funzionano, oltre che per il linguaggio crudo, disturbante e secchissimo nel quale sono tracciati, proprio in ragione della loro esemplare episodicità: che senso ha la progettualità, e qual’è la via di scampo da un mondo privo di continuum, di logica e in fondo anche del rapporto di causa ed effetto?
E di fronte alla vanità di ogni nostro sforzo e progetto, nell’assoluta incommensurabilità tra testo e contesto, non siamo forse indotti a considerare il mondo come privo di logica, ed estraneo al rapporto di causa ed effetto?

Zentropia, di Adriano Barone è edito da Agenzia X nella collana “Inchiostro Rosso – Noir di rivolta”.

(1) Adriano Barone, Zentropia, Agenzia X, Inchiostro rosso – noir di rivolta, Milano 2011, p. 7.
(2)Sistema come “sistema informatico”, che può essere acceso o “avviato”, o come “esablishment” da “accendere”/incendiare, per scongiurare l’avverarsi della situazione prevista dallo scrittore.
(3)Programma come software, o programma rivoluzionario (o, ancora, autoritario, contro-rivoluzionario ecc.?).
(4)Documento come generica denominazione dei testi elaborati attraverso word processor o nel senso di testimonianza.
(5)Ivi, p. 9.
(6)Il progetto di Bea, apertamente ispirato al Manifesto contra-sessuale della teorica del queer Beatriz Preciado (citata in epigrafe, spalla a spalla con Caparezza, Fabri Fibra e un episodio della terza stagione di Boris).
(7)Gli asomatici cercano una forma tecnologicamente supportata di piacere catastematico; un nirvana al quale si accede previo rinuncia a tutti i beni terreni a favore del fondatore della setta, amputazione degli arti, e sprofondamento in una sorta di coma farmacologico indotto attraverso l’immersione in un misterioso “gel trasparente” (Ivi, p. 12).
(8)Privi di passato (“Ma chi cazzo sarà mai questo Hitler”, pronuncia uno di loro in Ivi, p. 27) e, pronti a tutto per perdersi in un eterno presente di insignificante violenza: persino a smettere di sognare, di pensare, di parlare ecc.
(9)Mi sembra assolutamente superfluo sottolineare l’aspetto fortemente simbolico del fare dei “retroambulanti”, che guardano in avanti (al futuro?) e camminano all’indietro (tentando di sottrarsi a quel che vedono?), salvo poi trovarsi attaccati anche alle spalle (il passato che ritorna, o solo il presente che non lascia scampo?).
(10)Ivi, p. 126.
(11) È solo in virtù di questo carattere di “pre-testimonianza”, anticipazione di un futuro prossimo nel quale il paese “diventa Z” (si sarebbe tentati di tirare in ballo V di Pynchon, se il senso della frase “Tutto diventa Z”, tanto spesso ripetuto nel testo non divenisse, proprio nella ripetizione, così chiaro), che, in quanto “testimoniato” si fa presente, che Zentropia può essere inserito in una collana che, per linea editoriale, pubblica “noir a sfondo politico per ribellarsi al presente”.
(12)Non solo manca uno svolgimento che permetta qualunque “svelamento”: qui, persino il momento morale, nella totale vanità di ogni progetto, viene trascurato, in quanto il contenuto della scelta è destinato a rivelarsi assolutamente indifferente.


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