Con le parole Stato, repubblica, califfato o comunque lo si voglia chiamare, non si scherza. L’abbattimento dell’aereo civile Malaysian Airlines MH17 è avvenuto sul territorio dell’autoproclamata «Repubblica popolare di Donetsk,» («DNR»), che, insieme all’autoproclamata «Repubblica popolare di Lugansk» («LNR»), forma il non riconosciuto «Stato federativo della Nuova Russia.» I nostri nonni, dopo la Seconda guerra mondiale, avevano capito che all’origine dei conflitti più disastrosi c’è il dispregio dei confini degli Stati. Gli Stati possono avere tutti i difetti di questo mondo, ma restano sinora il soggetto più credibile delle relazioni internazionali.
Mettere in discussione i confini di un Paese, invadendone il territorio o smembrandolo per via di secessione, causa squilibri e reazioni esplosive. Per questo motivo, nella Carta delle Nazioni unite, siglata nel 1945 dopo due disastrose guerre mondiali, il sacrosanto principio di autodeterminazione dei popoli è bilanciato dal principio di integrità territoriale: non si modificano i confini di uno Stato senza il consenso dello Stato stesso. Ciò non impedisce a una parte di quello Stato di aspirare all’indipendenza, se la vuole, ma deve sedersi intorno a un tavolo e negoziare una separazione consensuale. Difficile? Mai nessuno ha detto che sia facile, ma la guerra è peggio.
Questa volta, a esplodere, sono state 298 persone, in buona parte turisti che forse non sapevano neppure dove sarebbe, la «DNR.» Li ha abbattuti un missile di tipo Buk. Qualche giorno fa i miliziani indipendentisti filorussi avevano vantato di essersi impossessati di uno di questi sistemi missilistici. Nell’immediatezza del disastro, un portavoce dei miliziani aveva comunicato l’abbattimento di un Antonov militare ucraino, del quale però non c’è traccia. Ci sono, invece, i resti fumanti di un aereo civile, come discutevano due miliziani in una telefonata intercettata dalle autorità ucraine. Indizi che andranno verificati, certo, ma assai univoci. Resta una domanda: chi ha fornito ai miliziani filorussi i tecnici capaci di far funzionare quei missili, sebbene con una tragica imprecisione di puntamento?
Non basta organizzare un referendum e autodichiararsi indipendenti. Uno Stato e il suo territorio sono una cosa seria. Il Presidente russo Vladimir Putin, in un teso intervento subito dopo l’abbattimento dell’aereo Malaysian, ha dichiarato che il disastro è avvenuto in territorio ucraino, pertanto dovrà risponderne l’Ucraina. Un’argomentazione che non fa una grinza, dal punto di vista del diritto internazionale. Le autoproclamate «DNR» e «LNR,» infatti, per il diritto internazionale non esistono, tanto meno lo «Stato federativo della Nuova Russia.» Ma proprio la Russia di Putin è l’unico Stato al mondo che riconosce di fatto queste «Repubbliche,» fornendo loro, ormai è certo, sostegno logistico e militare, senza il quale le azioni dei miliziani separatisti non sarebbero neppure pensabili. Giornali e TV russi citano questi «Stati» autoproclamati senza usare le virgolette e senza aggettivi che ne indichino il mancato riconoscimento da parte della comunità internazionale. Intervistano i loro «presidenti» e «ministri» come se fossero autorità legittime di Stati riconosciuti, e con queste informazioni distorte bombardano non solo gli abitanti di quei luoghi ma tutto il mondo di lingua russa.
Per questo, la dichiarazione di Putin fa correre un brivido lungo la schiena, poiché fa uso paurosamente strumentale di un principio lapalissiano del diritto internazionale. E chiaro per tutti che l’aereo è caduto in territorio ucraino, ma la Russia riconosce di fatto gli «Stati» autoproclamati e lo smembramento del territorio di Donetsk e Lugansk. Ora che la frittata è fatta, riafferma candidamente un principio giuridico da manuale scolastico, come se nulla fosse stato. In Europa, dopo esserci giocati due generazioni in due Guerre mondiali, non possiamo permetterci questi giochi delle tre carte.
Se qualcuno aveva ancora dei dubbi sul perché il conflitto ucraino debba interessarci, ecco un paio di argomenti. Il più banale: su quell’aereo poteva esserci chiunque di noi, per nulla interessato alle vicende della «DNR,» ma desideroso di andare in vacanza o in viaggio di lavoro. Il meno scontato: anche in Europa occidentale, ad esempio in Spagna o nella vicina Italia, si parla di autoindetti «referendum per l’indipendenza» di intere regioni. Parole in bocca a leader politici in cerca di voti, la cui imprudenza è pari solo alla loro ignoranza, nel senso più pieno di quest’ultimo sostantivo. Nessuno vieta a una parte di uno Stato di dividersi dal resto, se lo vuole, ma ci sono regole da rispettare, scritte da chi prima di noi è sopravvissuto a due guerre. Si può fare? Certo. La Scozia voterà a breve per la propria indipendenza dall’Inghilterra, con il consenso dell’Inghilterra stessa, e nessuno avrà nulla da dire, quale che sarà l’esito della consultazione, poiché la separazione, se sarà, sarà consensuale. Ma se si inizia ad agire fuori dal quadro giuridico internazionale, con le autoproclamazioni, i referendum fatti per gioco che gioco non è, ecco che gli «Stati» autodichiarati frutto di queste avventure qualcuno che fornisce loro armi prima o poi lo trovano di sicuro, e gli altri non stanno a guardare.
Altro e finale argomento: con i toni di un imprenditore dell’hinterland milanese e l’inglese di un vitellone da spiaggia, il capo del Governo italiano sta sostenendo a spada tratta, per la carica di Alto rappresentante per gli affari esteri dell’Unione europea, la candidatura di una mite signora romana contro la quale, sul piano personale, non si può contestare nulla, per carità. E’ forse bene però che questa signora, indiscutibilmente ben preparata e assennata, continui a occupare il posto che occupa, dove, pur se farà qualche errore d’inesperienza, non potrà arrecare gran danno. La morte di 298 persone innocenti nei cieli ucraini possa almeno servire a convincere Bruxelles che a dirigere gli affari esteri dell’Unione ci vuole qualcuno che, verso Est, sappia mettere, come si dice in linguaggio comune, dei bei paletti. Non è proprio cosa da tutti.
©2014 | >Luca Lovisolo