Sì, ma perché se non ce n'è necessità?
In effetti saremmo tutti portati più facilmente alla ricerca della stabilità, che già di per sé è così difficile da raggiungere.
Affrontare un cambiamento, anche uno di modesta portata, significa dover fare una volta di più i conti con la necessità di adattarsi alle circostanze, di sperimentare capacità differenti da quelle che eravamo abituati ad utilizzare, di affrontare situazioni nuove, confrontarci con persone diverse, gestire spazi e tempi che non ci appartengono, a cui non siamo abituati, e una volta di più sentirci inadeguati o fuori contensto, avere la sensazione di dover ricomnciare da capo.
Se penso alla mia infanzia ricordo come un evento sconvolgente il trasloco della mia famiglia dalla nostra vecchia casa, dov'ero cresciuta, ad un'altra più spaziosa e a poche centinaia di metri di distanza, che venivasi a trovare appena fuori dal mio abituale raggio d'azione infantile, ma pur sempre lo sentivo come un abbandono di una fase della vita, quasi come uno spartiacque tra la mia infanzia spensierata e la mia adolescenza arrovellata.
Crescendo il cambiamento a periodi ben scanditi è diventato quasi un'esigenza vitale, un'urgenza di svecchiamento, un'occasione per pormi traguardi nuovi e diversi e per dimostrare di "poterlo fare", di "essere in grado". Così leggo alcune mie scelte di vita un po' avventate alla luce di questa "esigenza di cambiare" nè rimpiango l'averlo fatto, se effettivamente sono convinta che esse mi abbiano portato a vagliare le mie capacità fino ad allora inespresse e ad acquisire una maggior sicurezza delle mie potenzialità, di me come individuo indipendente, di me nelle relazioni sociali, lavorative, di studio, di me che mi metto a fare cose mai fatte prima in vita mia, come vivere sola, cambiare città, cercare casa, abitare con altre persone, trovare un lavoro serale o estivo da poter conciliare con gli studi universitari, decidere di punto in bianco di avere un'esperienza di studio all'estero.
Dunque io credo che per me il cambiamento sia sempre stato associato ad un'idea di crescita personale, e che io lo abbia cercato soprattutto in quei momenti in cui maggiormente sentivo questa esigenza di "crescere", di emanciparmi dal mio ruolo, dalle mie irresponsabilità e dalle mie consuetudini acquisite, che facevano presto a divenirmi odiose.
Quando ho scoperto di aspettare un figlio/a il cambiamento in quel momento arrivava ad aprirmi altri orizzonti di realizzazione personale, in un momento in cui mi sentivo estremamente bloccata e impantanata in un'assenza di obiettivi spiazzante.
Ciò che forse non avevo messo in conto sin da subito era il fatto che questo cambiamento, tanto determinante per la mia vita, non fosse in realtà che il punto di partenza per una serie di nuovi percorsi, e non certo un punto di arrivo.
E ora vedo cambiare lei, mese dopo mese, e continuamente devo adeguarmi a nuove esigenze e nuovi modi comunicativi e mi accorgo che qualsiasi equilibrio di vita insieme non può che essere dinamico.
Se penso a come mi affannavo, durante i suoi primi mesi di vita, nel tentativo di dare ritmi stabili, abitudini ben scandite a sonni e veglie, pasti e passeggiate, a come entravo in crisi quando qualcosa saltava e si preannunciavano terribili esplosioni di isterie neonatali che ero sicura di non riuscire ad arginare, sotto le quali ero certa di soccombere, mi rendo conto che forse la mia stessa paura di sconvolgere quei ritmi e quelle abitudini contribuiva in parte (in parte) a creare un terreno buono al proliferare di quegli stessi scoppi di rabbia infantile che tanto temevo.
Ora che sono forte di un rapporto un po' più maturo con mia figlia, posso azzardarmi a dire che la sicurezza e la stabilità emotiva di un bambino può nutrirsi, prima ancora che di orari fissi e routine azzeccate, anche e soprattutto della serenità e della sicurezza che un genitore gli trasmette quando lo coinvolge nelle proprie iniziative, che sia un'uscita di casa imprevista o un periodo di permanenza in visita a casa della nonna, un viaggio in treno di quattro ore, o una trasvolata intercontinentale con arrivo incerto...
Certo, indolore non può essere mai del tutto. Soprattutto perché le esperienze che facciamo insieme toccano me per prima, la mia emotività, la mia capacità di adattamento a situazioni impreviste, che non sempre risponde all'istante.
Del resto mi sono accorta col tempo che ogni cambio di residenza, ogni nostro spostamento logistico e assetto casalingo diversamente strutturato, corrispondevano ben presto ad un nuovo assetto di abitudini e ritmi biologici di lei, che ben presto si adattavano alla nuova condizione, per poi tornare com'erano prima, al nostro rientro, al ripristino dello status quo.
Affrontare un grosso cambiamento in compagnia di una bambina di nemmeno due anni continua ad essere per me un qualcosa che mi richiede un grande sforzo mentale e una straordinaria concentrazione di forze psicofisiche, inutile negarlo. Ma tre le ordinarie difficoltà che il cambiamento porta con sé, mi rendo conto di dover riuscire a limitare e a eliminare la preoccupazione insidiosa che sia lei a non reagire bene al cambiamento, di volerla proteggere e salvaguardare da strapazzi e sconvolgimenti, perchè subdolamente finisce per generarsi una reazione a catena di ansie e cattive risposte.
Andare invece incontro al cambiamento, al diverso, come a qualcosa da scoprire insieme, proporlo a lei come una realtà alternativa e altrettanto valida a quella presente, qualcosa che ancora non conosciamo, ma che potremmo ben presto fare nostra e amare, portandocela poi dietro come un piacevole ricordo.
L'immagine di lei che vola attaccata con una manina alla mia e con l'altra a quella del padre, mentre ci muoviamo all'interno del grande aeroporto di Tunisi e poi per le strade della città, a metà del nostro viaggio, alle spalle lasciandoci l'Italia, e davanti a noi l'incognita di un Paese che ancora non conosciamo, la Libia: ecco l'immagine ideale di come vorrei vederla andare incontro ai cambiamenti della sua vita.
Oggi Mens Sana propone un'ultima competenza su cui riflettere, e questa è proprio, come avrete intuito, la capacità di affrontare i cambiamenti.
Potevo io, dopo aver creato un tag apposito che ha la presunzione di chiamarsi "educare (chi: io?)", mancare a questo appuntamento?
Certo che potevo, del resto ho mancato i restanti primi sette. Ma non sottilizziamo, e soprattutto: rimedierò, seppur con i miei tempi. Vi invito per intanto (chi fosse interessato) a scorrere questo interessante percorso suggerito da Palmy: cosa serve ai nostri figli, cittadini di domani, per affrontare il mondo adulto? Quali sono le competenze che dobbiamo aiutare loro a sviluppare?
Ecco l'elenco dei temi affrontati:
- fare domande;
- risolvere problemi;
- affrontare progetti;
- coltivare passioni;
- indipendenza;
- esser contenti con se stessi;
- compassione;
- tolleranza.