I veri nemici del contingente italiano sono a Roma dove in un intrico di contraddizioni, incapacità, servilismi portati all’estremo, lampi di idiozia per induzione, si continuano a spendere valanghe di soldi che non ci sono per una guerra già persa, disumana e dannosa e in cui ai soldati non si danno mezzi più sicuri, come era stato ventilato, promesso e spergiurato, ma si cerca solo di alzare la posta della rappresaglia. Un altro morto e la certezza che non appena andate via le truppe occidentali il governo corrotto di Kabul sarà sommerso dagli insorti: a darne la plastica certezza è la dinamica dell’ultima azione in cui ha perso la vita il capitano La Rosa per mano, come sembra, nonostante i tentativi di smentita, di un ragazzino di 11 anni. Una dozzina di anni di guerra, un numero di morti incredibile per una missione di pace, ma anche di guerra visto che in rapporto al numero di uomini abbiamo avuto più caduti degli americani, una quantità enorme di denaro sprecato per seguire Bush in una delle sue visionarie imbecillità.
Sarebbe persino consolante sapere che siamo lì per motivi che non vengono rivelati all’opinione pubblica, per interessi del tutto diversi e più consistenti delle quattro demenziali chiacchiere politichesi sul terrorismo, che ci siamo per il controllo delle riserve energetiche e minerarie dell’Asia centrale. Invece siamo lì senza nessuna ragione, necessità o mira: ci siamo perché Berlusconi voleva far piacere a Bush, perché ai nostri politici subalterni piace ricevere medaglie ora da Washington, ora da Berlino, come accade da ottant’anni, perché ai generali faceva piacere sperimentare il nuovo modello di forze armate, perché in ogni caso piovevano soldi su un apparato militare che in vista di queste “missioni” pretende miliardi di nuovi giocattoli. Perché questo Paese ha sempre rifiutato le responsabilità della sovranità, in Afganistan come sull’euro.
E del resto da anni ormai gli Usa hanno dichiarato ufficialmente l’inutilità della guerra e annunciato il futuro ritiro, sapendo bene che il sedicente esercito afgano è destinato sfasciarsi il giorno dopo. Anni di crisi profonda nei quali sarebbe stato doveroso, ma anche facile sottrarsi alla morte inflitta e subita e alla commedia della missione di pace. Invece supinamente siamo rimasti in un territorio che non ci vuole, solo per permettere alle amministrazioni Usa di nascondere la sostanziale sconfitta e – come vediamo con chiarezza in questi giorni – per perpetuare il feticcio del terrorismo e mantenere in vita il Patriot Act, la vera posta in gioco, il calco sul quale modellare i “nuovi rapporti” tra potere e cittadini.
Siamo andati non per esportare democrazia, ma per perderne un po’, secondo la visione delle oligarchie liberiste. E visto che la crisi economica ha reso del tutto marginale l’Afganistan in questo disegno, persino De Bortoli, il ciambellano col ciuffo di tutto questo, osa dire che forse sarebbe il caso di andarsene, dopo 12 anni e dopo che già gli americani cominciano a sbaraccare. Oh molto meglio i talebani di questi.