Agata Azzolina.

Da Suddegenere

(in foto Niscemi)

di Danila Cotroneo.

Agata Azzolina

Niscemi , quasi 30 mila abitanti, carciofeti a perdita d’occhio, e serre per la coltura delle primizie: pomodori e melanzane, peperoni e insalata. Cento chilometri da Catania. Due ore e mezza di treno, con la strada provinciale per Gela, quasi sempre interrotta per frane . 

Un incendio ogni due giorni: macchina o portone, per sgarri o vendette, roghi assicurati, perché i pompieri qui non esistono. Bisogna aspettare che salgano da Gela, mezz’ ora quando va bene. E naturalmente nella denuncia si mette la parola “autocombustione”. Il sud si sa è caldo, così l’ assicurazione paga, così non si è costretti a fare i nomi di nessun nemico.

Dall’ 89 al ’91 sono 30 i morti ammazzati. Si è nel mezzo di una guerra tanto feroce quanto sconosciuta. Dalla piana premono quelli di Gela, da Catania quelli di Nitto Santapaola, il vero padrone della città. Le cosche locali scelgono da che parte stare con il mitra in mano. E poi incendi, bombe, case bruciate. Non esiste un commissariato di polizia, solo una stazione dei carabinieri che, rigorosamente, al tramonto chiude i battenti. Nei primi anni 90, in metà del paese che è abusivo la luce non arriva, il piano-regolatore non esiste, le strade sono bucate, le abitazioni sono casacce, tirate su senza nemmeno il parere del geometra. L’acqua arriva una volta ogni ventisette giorni e per far fronte al bisogno, ogni tanto gli abitanti si ribellano davanti al Comune, ma intanto si forniscono da autobotti private.

Nel frattempo, nessuno si cura di Niscemi, ma alcune grosse banche sì. La sede del Banco Ambroveneto è la seconda nella classifica italiana per depositi bancari: gestisce quasi 400 miliardi di vecchie lire di risparmi locali. Perché qui si lavora, e in silenzio si mette da parte quasi tutto, nessuno si fida di avviare un’ attività, perché si è lasciati soli come cani Nel 1992 il Comune viene sciolto d’autorità per infiltrazioni mafiose. L’amministrazione viene retta da commissari del governo nazionale fino al giugno 1994, quando si rivota e vince la coalizione progressista.

Inizia l’epoca che verrà definita “primavera niscemese” Il 21 marzo 1997, Niscemi, per un giorno è la capitale dell’antimafia. Sulla piazza colma di persone parlano il presidente del Consiglio Prodi e il presidente della Camera Violante.Si inagura una scuola elementare, si leggono, dal palco, centinaia di nomi di vittime della mafia

Due giorni dopo, Niscemi è di nuovo sui giornali: la signora Agata Azzolina, titolare di un negozio di gioielli e pellicce, si toglie la vita impiccandosi. Il racket ha ucciso cinque mesi prima il marito Salvatore e il figlio Giacomo Frazzetto, in un raid “mascherato” in un primo momento, come un tentativo di rapina. Era il 16 ottobre del 1996 Maurizio e Salvatore Infuso, due fratelli con qualche precedente penale si presentano a volto scoperto nella gioielleria “Papillon”. Cosi si chiama l’attività della famiglia Frazzetto avviata da qualche anno. Salvatore l’ha costruita con le sue mani dopo aver lavorato 15 anni nell’edilizia.

Li conosce bene Agata, i fratelli Infuso: già in passato hanno preteso di comprare senza pagare .Questa volta vogliono acquistare, “ a credito”, dicono loro, due vere nunziali L’ipotesi è che si tratti di un pizzo “camuffato”, riscosso in beni e non in contanti. Invece del passaggio da una mano all’altra dei soldi, gli emissari della criminalità organizzata si servono direttamente dagli scaffali Quella sera, Agata dice no . La colpiscono con uno schiaffo. Alle sue grida , accorrono il marito ed il figlio . Il ragazzo quando si rende conto della situazione non perde tempo: prende la pistola che il padre custodisce in un cassetto.

Ma Giacomo non ha dimestichezza con le armi e se la fa strappare da uno dei banditi. Seguono, una raffica di pallottole, prima contro Salvatore Frazzetto, 46 anni, poi sul ragazzo, Giacomo 23. Muoiono sul colpo. Muoiono davanti agli occhi atterriti di Agata, madre e moglie, testimone di una strage. I due assassini, vengono fermati cinque ore dopo: in una borsa, hanno ancora la pistola.

Lei si salva a stento, ma da quel giorno comincia a spegnersi. Il dolore si trasforma in rabbia e poi arriva anche la paura. Paura per le aggressioni e le minacce che subisce quotidianamente. Un giorno la seguono fino al cimitero. Sta pregando sulla tomba dei suoi cari quando qualcuno si avvicina :“non finisce qui” si sente dire. Agata prova ad andare avanti, lo fa per la figlia, Chiara, 21 anni. Vuole portare avanti l’attività non vuole cedere. Ma le intimidazioni continuano. : “Devi pagare…devi pagare…”, si sente ripetere. Denuncia tutto alla polizia. Fa nomi e cognomi .Al commissario parla anche di certi traffici di oro, di uomini che si muovono nell’ombra Vuole giustizia e la vuole subito. Vuole provare a far vivere a sua figlia una vita normale. Vuole andare avanti, lo deve a Chiara, ma è sconvolta è terrorizzata. La sera di San Silvestro viene addirittura picchiata da un paio di ragazzi che entrano ancora una volta nella sua gioielleria.

Qualche giorno dopo – a gennaio – le giurano che avrebbe ricevuto un’ altra “visita”. Arriva anche una lettera anonima . Minacciano di uccidere anche la figlia. Non ce la fa più Agata vittima del suo dolore la notte del 22 marzo 1997 si impicca con una corda di nylon nella sua cucina. Lascia un biglietto alla figlia: “perdonami “ le scrive . Il giorno seguente il sindaco Salvatore Liardo proclama il lutto cittadino. “Agata si sentiva sola e noi non siamo riusciti a coprire quel vuoto immenso con il nostro affetto e la nostra solidarieta”, sussurra Liardo mentre gli attacchini del paese cominciano a fare il giro per strade e piazze con i manifesti fatti preparare dal Comune, “Questa vita spezzata cosi’ tragicamente – si legge – richiama si’ la nostra reazione, ma anche una seria riflessione sui valori della vita, della legalita’, dell’amore, della civile convivenza”.

Danila Cotroneo”


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