Roma, 390 a.C.
I Galli assediano la città, cercando di penetrare in Campidoglio. L’unico che può salvare la situazione è Marco Furio Camillo, grande condottiero che però, ovviamente, non c’è. E’ad Ardea, ridente località di mare appena fuori Roma. La storia ci dice che è lì in esilio, più verosimilmente giace tramortito dall’ennesimo Mojito sul divanetto di qualche locale sulla spiaggia. Fatto sta che Roma ha bisogno di lui e lui ha bisogno di svariate ore di sonno e qualcosa per il mal di testa.
La situazione è disperata: gli assediati sono allo stremo delle forze e un messaggero viene inviato ad Ardea per chiedere aiuto a Marco Furio Camillo.
Il messaggero parte furtivo e silenzioso, per sfuggire allo sguardo del nemico. Arriva ad Ardea e inizia a cercare il nostro eroico condottiero. Lo cerca in tutti i locali del litorale, lo trova, lo convince a tornare a Roma per salvare la città dall’invasione dei Galli e torna indietro. Furio Camillo ha capito sì e no la metà del problema esposto dal messaggero, ciò non di meno decide di intervenire. “Ok, facciamo così: tu torna a Roma” dice Furio Camillo “io raduno il mio esercito e arrivo”. L’esercito, ma questo i testi di storia non lo riportano, per metà giaceva inerte sui divanetti del privé, e per metà ballava sui cubi.
Il messaggero, però, che si era fatto offrire un paio di drink da Furio Camillo, sulla via del ritorno fu meno cauto che all’andata. Le spie nemiche lo seguirono e trovarono il modo di entrare in Campidoglio. I romani, che storicamente hanno sempre avuto il sonno pesante, non si accorsero di nulla e dovettero intervenire delle oche. Suddette oche erano praticamente gli unici animali che i romani non s’erano mangiati durante l’assedio, in quanto sacre a Giunone. Fatto sta che starnazzarono al punto da svegliare l’ex console Marco Manlio, che prese il comando dei soldati e fronteggiò i Galli. Il nemico stava già subendo pesanti sconfitte quando, con tutta calma, l’esercito di Furio Camillo arrivò barcollando da Ardea, in ritardo dato il traffico sulla litoranea, nonché piuttosto infastidito dal clangore delle spade che peggiorava il mal di testa post-bagordi.
E fu così che, ironia della sorte, i Galli vennero sconfitti grazie alle oche. Il console Marco Manlio, che al momento dell’ingresso del nemico in Campidoglio dormiva che è un piacere, venne pregiato del titolo “il Capitolino” per aver salvato la città, a Furio Camillo, che era arrivato con tutta calma, venne dedicata una fermata della linea A della metropolitana e, ancora oggi, una romana particolarmente svampita e stupida viene identificata come “oca del Campidoglio”. E’proprio vero che la storia la fanno gli uomini…
Cina, provincia di Xinjiang, 2013 d.C.
Le oche hanno la loro riscossa. La polizia, infatti, le ha messe a guardia della loro stazione. Pare che, infatti, non solo siano molto vigili, rumorose e dotate di udito finissimo ma sono anche meno soggette dei cani ad essere insidiate da bocconi avvelenati. Questa difficoltà ad avvelenarle nasce dalla loro pessima vista: di notte non vedrebbero i bocconcini. Non solo: a guardarle non si direbbe, ma in presenza di estranei sono anche piuttosto bellicose. Pare che le oche della polizia abbiano già stoicamente adempiuto al loro dovere: hanno infatti fermato un contadino che si era intrufolato nella stazione di polizia per riprendersi la moto che gli era stata sequestrata.
E così, oltre 23 secoli dopo, le oche ebbero finalmente la loro riscossa e venne riconosciuto loro il loro talento da animali da guardia!