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La maggior parte dei finanziamenti proviene dal meccanismo dell'otto per mille, corrispondente nel 2004 a circa 940 milioni di euro. Le offerte dei fedeli attraverso la dichiarazione dei redditi, istituite nel 1989, sono state pari nel 2003 a circa 18 milioni di euro. A questa somma bisogna aggiungere i proventi delle questue.
Come tutte le confessioni religiose che hanno firmato intese con lo Stato, infine, la Chiesa cattolica beneficia di alcune agevolazioni fiscali: gli edifici destinati a scopo di culto sono esentati dall'Imposta sul Valore Aggiunto (IVA) e dall'imposta sui terreni. Inoltre, il "Decreto fiscale" legato alla legge finanziaria per il 2006 ha stabilito l'esenzione dall'Imposta Comunale sugli Immobili (ICI) a tutti gli immobili di proprietà delle confessioni che hanno firmato intese con lo Stato, a prescindere dalla natura commerciale (in precedenza l'esenzione riguardava esclusivamente gli edifici adibiti a scopo di culto). L'importo di tale esenzione è stato stimato dall'ANCI in 600-700 milioni di euro e dalla Conferenza Episcopale Italiana (CEI) in oltre 1 miliardo di euro.
Inoltre vi sono delle altre fonti di finanziamento o dei privilegi fiscali di varia natura:
- deducibilità di circa 1000 euro (al massimo) mediante la dichiarazione - fondo speciale per il pagamento pensioni al clero - esenzione fiscale totale, comprese imposte su successioni e donazioni, per le parrocchie e gli enti ecclesiastici - finanziamenti alle scuole private, tra cui sono comprese quelle cattoliche oneri di urbanizzazione destinata agli edifici di culto - contributi agli oratori Ma andiamo avanti. Dall'Avvenire: L’ESENZIONE ICI La norma contestata è quella che esenta gli immobili nei quali gli enti non commerciali svolgono alcune specifiche e definite attività di rilevante valore sociale, cioè quelli «destinati esclusivamente allo svolgimento di attività assistenziali, previdenziali, sanitarie, didattiche, ricettive, culturali, ricreative e sportive, nonché delle attività di cui all’articolo 16, lettera a) della legge 20 maggio 1985. n. 222 [le attività di religione o di culto]» (art. 7, c. 1, lett. i, del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504). La norma, quindi, richiede il contestuale verificarsi di due condizioni: gli immobili sono esenti solo se utilizzati da enti non commerciali e se destinati totalmente all’esercizio esclusivo di una o più tra le attività individuate; inoltre, come stabilito dopo le modifiche apportate al testo originario, l’esenzione «si intende applicabile alle attività [...] che non abbiano esclusivamente natura commerciale». (cfr. c. 2-bis dell’art. 7 del D.L.. n. 203/2005, come riformulato dall’art. 39 del D.L. 223/2006). Rileggendo attentamente: "l’esenzione «si intende applicabile alle attività (…) che non abbiano esclusivamente natura commerciale». L'avverbio «esclusivamente» è fondamentale, e infatti non è stato messo lì a caso. Faccio un esempio pratico che ritengo plausibile ( chiunque provi a smentirmi sulla NON fattibilità della cosa ): un grande istituto religioso vicino casa, comprensivo anche di chiesa (non parrocchiale) e di oratorio, affitta stanze ad una trentina di universitari fuori sede a 400 euro al mese, ma siccome la struttura non ha «esclusivamente» natura commerciale – dal momento che c'è anche la chiesa e l'oratorio – non paga un centesimo di ici (ma incassa circa 12mila euro al mese di affitto dagli studenti )". Sappiamo quanto una parola nelle leggi possa modificare di molto la sua applicabilità. Nulla da dire sullo sconto IRES, che mi sembra ( spero ) sia equamente conceso agli enti No Profit ( che la chiesa poi in talune circostanze sia un ente No Profit potrebbe essere oggetto di discussione, ma tralascio di creare ulteriori polemiche ). Anche se: Secondo le nostre leggi, per l'iscrizione all'anagrafe delle Onlus bisogna documentare di rivolgere le proprie attivita' esclusivamente verso soggetti svantaggiati, e non mi sembra che gli studenti di alcuni lussuosi pensionati religiosi rientrino in questa categoria. In piu' se non erro ( qualora sbagliassi comunicatemelo e sarò lieto di rettificare ) se una normale Onlus ha delle attivita' commerciali che superano il 44% degli introiti, perde il suo status di Onlus con tutte le agevolazioni fiscali ad essa correlate. Anche questo andrebbe verificato, credo. A voi i commenti.
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