AGGREDITO, PICCHIATO perché “CICCIONE”

Creato il 11 gennaio 2011 da Ilsegnocheresta By Loretta Dalola

Nello studio del contenitore pomeridiano di Canale 5, Pomeriggio 5,  l’esuberante “bislacca conduttrice” ospita il giornalista Mario Adinolfi che difende gli obesi e chi è sovrappeso, spesso discriminati a causa della loro diversità.

La sua recente disavventura lo ha reso protagonista di una brutale aggressione a Roma, da parte di un gruppo di 8 ragazzi, anzi, ragazzini, in cerca di sballo che, al grido di:”andiamo addosso al ciccione della Tv”, lo hanno insultato, fermato, impaurito, aggredito e picchiato con il casco del motorino.  Una vera missione con l’intento di “assaltare” la diversità, volendo fregiarsi di quella strana medaglia conquistata combattendo contro un grasso.

E proprio dal più bassino, quello che evidentemente deve dimostrare qualcosa agli altri e vuole raggiungere la stima del malinteso “coraggio” agli occhi del gruppo, che parte la violenza con  il casco mirata al volto del giornalista. Dolore, incredulità, sgomento, un fatto inconsueto, che lascia solo il brevissimo tempo per riflettere che non c’è via di ritorno e che proprio la  mole gioca a suo  favore, scoraggiando il proseguo dell’azione.  Poi la ritirata, tutti in sella ai loro quattro motorini e via. Gli aggressori però non hanno fatto i conti con il fatto che Adinolfi al loro tentativo di copertura della targhe coi i caschi ha capito di trovarsi di fronte ad un  gesto non improvvisato  e quindi è riuscito ugualmente a memorizzare la targa di un  mezzo, da qui  la denuncia ai carabinieri e la visita in Pronto soccorso: “Mi sono state riscontrate ecchimosi, edema, ferite lacero-contuse. Niente di terribile. Ma il turbamento è profondo”.

Qualsiasi atto di violenza che non può essere in alcun caso minimizzato o giustificato, ma quello che vorrei focalizzare in una chiave più ampia è che stando al racconto del giornalista,   il livello di rabbia espressa dal  ragazzino una volta scoperto sia collegata al fatto che, riteneva di  vivere  qualcosa di brutto che il sistema gli stava facendo,  non la conseguenza  per qualcosa di inaccettabile da lui commesso.

Gli esperti affermano che i  meccanismi della violenza scatterebbero perché ciascuno di noi nelle sue aspirazioni, nei suoi desideri, nelle sue speranze, in quello che ha di più intimo dentro di sé, in quello che ha di più originale ed autentico, deve sottomettersi, accettare molte volte passivamente idee, modi di pensare e di comportarsi, strutture ed istituzioni che ci vengono imposte dalla società. Tale accettazione, necessaria ai fini dell’ordinaria convivenza civile, è sentita dall’individuo stesso come qualcosa di alienante, di frustrante e tale da generare in lui ribellione più o meno palese, fino a giungere alle forme della violenza contro la società e le sue istituzioni, contro gli altri individui, contro se stressi…

Dunque, il sabato sera bisogna essere particolarmente euforici  e  giocare alla caccia al pedone per combattere la frustrazione di essere civili?  Dacci oggi la nostra violenza quotidiana è la maniera per sentirsi vivi?

La tendenza all’egocentrismo e al protagonismo, la difficoltà di rapporti con il mondo adulto, l’incoscienza e l’atteggiamento di sfida riguardo alle regole sociali, hanno sempre contraddistinto i comportamenti giovanili, ma, agli occhi di molti adulti, l’attuale è una generazione di giovani e di adolescenti che sembra non avere né punti di riferimento nè valori positivi forti, che mette in luce l’assenza di progettualità per il futuro, di regole e di limiti precostituiti, che sembra perdersi nella ricerca di situazioni e comportamenti irrazionali, confrontandosi con il limite estremo, il rischio non calcolato, l’esagerazione.

L’aggressività è dunque dentro di noi ed è fuori di noi. Influenza comportamenti e modi di pensare. Autocontrollo e regole sociali hanno il compito di arginarla ed eventualmente guidarla verso usi più costruttivi. La capacità di autocontrollo e i limiti sociali aiutano a guidare in maniera costruttiva la nostra naturale aggressività. E’ una questione che dipende molto dalla nostra capacità di autocontrollo e dalla valutazione.

Osservando i giovani e le loro manifestazioni posso in conclusione dire che sono in parte il prodotto di questa società, del suo grado di complessità, delle incertezze che vive, di un futuro che oggi ha pochi punti di riferimento stabili. La rispecchiano.

Più che di giusto o di ingiusto, è sempre questione di misure: di meschinità o di grandezza.


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