di: Renzo Zambello
Domanda: Carissimo Dottore, l’ansia la fa da padrona per buona parte della mia giornata. Siccome molte volte mi tengo tutto dentro, potrebbe essere utile e di sollievo “mandare a quel paese” chi se lo merita? Oppure deve sempre vincere la diplomazia e far finta che va tutto bene SEMPRE! Grazie per la cortese risposta! A presto!
Riprendo la domanda di Francesco che mi è stata fatta in questi giorni sul Guestbook. Essa pone in maniera chiara il tema dell’aggressività e della sua gestione. Pensavo mentre rispondevo a Francesco di come, anche se non vorremmo, siamo intrisi di “moralismo”, non solo perché il contenuto della domanda me lo suggerisce ma soprattutto per la mancanza di informazione, quasi di silenzio che c’è attorno a questa pulsione vitale. Essenzialmente sono due le pulsioni che la natura ci mette a disposizione: la libido e l’aggressività. Sono i pilasti sui quali costruiamo la nostra vita. Pensate però a quanta attenzione per la gestione della prima e come invece siamo sommari per la seconda. Eppure non possiamo vivere senza aggressività e, se la neghiamo o la schiacciamo dentro di noi, come già avevano capito Freud e la Klein, andiamo sicuramente incontro alla depressione.
Intanto faremmo bene a non pensare che noi staremmo meglio se non ci fosse. Essa non solo è uno dei due motori propulsivi che ci spinge in avanti, ci fa crescere ma ha una base organica. Leonardo Ancona fin dagli anni 20 sperimentando in questo campo aveva identificato una regione della base encefalica, il nucleo niger come la “sede della collera” e studi successivi hanno dimostrato come vi siano formazioni neurologiche multiple che opportunamente stimolate determinano lo stato aggressivo. Ad esempio, la natura ci ha fornito di un sistema di vigilanza rispetto ai pericoli esterni che prescinde dalla nostra coscienza e ci permette di difenderci in maniera istintiva: il sistema limbico e l’amigdala, sede dei meccanismi di “attacco e fuga” e anche per la verità, dei nostri traumi e paure. Li pare abbiano la loro sede le fobie che costellano gli attacchi di panico.
Dicevamo di un impulso vitale, parallelo a quello libidico. Ma forse non è proprio così, già tanti psicoanalisti lo sostenevano, questa separazione avviene più tardi, all’inizio queste due pulsioni sono un tutt’uno. Nel bambino fino ad un anno, questi due impulsi sono sicuramente uniti non fosse altro che il bambino fino ad un anno è solo fisicità. Dobbiamo aspettare i nove, dieci mesi perché si presenti un proto-pensiero e che il mentale si separi dal fisico. Prima è un tutt’uno fisico e l’aggressività si esprime legata ancora alla libido. Pensiamo alla fase orale dove il bambino “morde”, divora il capezzolo della madre e poi si ritrae in uno stato “depressivo”, terrorizzato che la madre risponda “pan per focaccia” come diceva la Klein. Chiaramente questo non avviene e la madre contiene amorevolmente l’aggressività distruttiva del figlio, aiutandolo a conoscerla e a non spaventarsi. E’ questo spavento, paura distruttiva, onnipotente del bambino che poi, in età adulta continua a farsi sentire. L’adulto, sente, teme che ancora la sua aggressività, se liberata espressa possa diventare distruttiva come nel bambino. “E’ meglio che stia zitto, perché se ti dico tutto quello che penso…” Un’espressione comune che rivela due cose: la prima è il pensiero “onnipotente” distruttivo della propria aggressività il secondo, non meno importante, la svalutazione, questa si aggressiva, dell’altro. Non ti considero in grado di sopportare il mio attacco, sei un debole.
Ricordo un episodio che ripeteva il Prof. Bertolini, uomo che non era certo deficitario in questo campo. Egli, Neuropsichiatra infantile e stimato Professore universitario, raccontava che un giorno davanti all’ennesima intemperanza di un suo giovane paziente, 12 anni, rispose con una sberla. Il messaggio, contestabile quanto si vuole, era diretto e facilmente leggibile: Ti stimo e so che non sei debole ma responsabile di quello che fai, per questo ti dico che non accetto la tua aggressività distruttiva. Lui raccontava che dopo quella sberla il ragazzo attivò un transfert positivo che gli permise di crescere. Non lo so, conoscevo il personaggio e so di certo che qualche vittima la fece.
Mi ha sempre affascinato questa storiella. Mi sembra la sintesi di tutte le nostre difficoltà rispetto a questo impulso vitale. Lasciato a se stesso diventa distruttivo o implosivo. Freud pensava fosse l’espressione dell’Istinto di morte. Contenuto, elaborato come fa la mamma nei primi mesi di vita e poi i genitori come seppe leggere e fare Bertolini, diventa lo strumento che ci permette di identificarci nel padre e superare, attivamente l’Edipo. Non sottovaluto il compito difficile e delicato dei genitori che se inizialmente la natura aiuta, vedi la pazienza delle madri, poi, soprattutto in età adolescenziale diventa veramente difficile discernere il giusto comportamento.
Dalla lettera di Francesco si evince un dato certo: questi temi non si concludono nella adolescenza ma, spessissimo ce li portiamo dietro come nuclei nevrotici non risolti fino alla maturità e oltre. Sono nevrosi costosissime che ci fanno vivere male e ad un livello inferiore alle nostre potenzialità. Se ne abbiamo percezione o, una sintomatologia ci avverte, vedi alcuni tipi di depressione o disagi sessuali, diventa un vero investimento cercare di risolverli.
Video: Rabbia e Psicoterapia http://youtu.be/tHeLePN6PbM
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