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Aghora: Mangiare la Morte

Creato il 14 luglio 2014 da Alessandro Manzetti @amanzetti
Aghora: Mangiare la Morte
Dal Naraka della mitologia buddista, che ho trasformato in una prigione spaziale, alle sanguinose crociate e alle immonde pratiche delle orde dei Tafur (e di uno dei loro capi, Vessel, che ho materializzato dal nulla), dall'impero Azteco fottuto da Cortes, che mi sono divertito a raccontare, a modo mio, nel racconto Mictlan, ai lugubri scenari dell'assedio di Stalingrado, che vi aspetta (con pelli umane appese agli alberi) nei miei prossimi titoli in uscita, per non parlare del futuro, di Parigi Sud 5 e delle sue propaggini approfondite in Limbus, della città santa di Shanti e di altre location immaginarie che chi ha letto i miei ebook ha imparato a conoscere (ed evitare). Il progetto narrativo che sto proponendo è un vero e proprio viaggio, tutto è collegato anche se alcune tappe sembrano vivere di vita propria. Si passa velocemente dai bordi del passato, fino a quelli, più taglienti, di un prossimo futuro. Un continuum antropofagico, elemento chiave della triade archetipale Dio-sesso-cibo (che ho scelto di zoomare nelle mie opere), che fonda le sue radici nella storia, schizzando poi fuori, come un razzo, in un distopico futuro. Non può essere altrimenti, se analizziamo la storia, ciò che è già stato.
Aghora: Mangiare la Morte
Scavando nell'argomento, è molto interessante approfondire l'Aghora, una vera e propria collisione di passato e presente, una miscela alchemica che incolla diversi archetipi. Una citazione, prima di entrare nell'argomento: "Il mondo Ti considera infausto, o Distruttore che giochi nello smashan, cosparso delle ceneri delle pire funerarie, che indossi una collana di teschi umani, con demoni che divorano i cadaveri per compagni. Ma per quelli che Ti ricordano con devozione, o Tu elargitore di doni, sei supremamente auspicioso" (Shiva Mahimna Stotra, 24). Bene (anzi, male direte voi), nell'India antica e moderna, come è noto, si è sempre cercata una via giusta per la vita e per la morte, assecondando sensibilità spirituali molti distanti dai nostri concreti cervelli occidentali. Le vie proposte sono infinite, ma vale la pena parlare di una piccola derivazione, un approccio molto originale e meno noto, apparentemente molto estremo, per "mangiare la morte", viverci a braccetto, superarla, dissolverla. Ecco spiegato il titolo di questo post. Svelo l'argomento principe di oggi, l'Aghora e i suoi adepti dalle singolari condotte di vite, alimentazione compresa, ovviamente. Il termine sanscrito Aghora (non ci crederete leggendo più avanti) significa "mancanza di tenebre", tutto il contrario dell'oscurità, insomma, e dell'ignoranza. L'aghori è dunque una sorta di "asceta dell'estremo" (mi piace questo contrasto), ben diverso dai sadhu hindù che conosciamo meglio, anche se la meta finale, per entrambi, è sempre la stessa: la purificazione, o quasi.
Aghora: Mangiare la Morte
Ma cosa combinano questi asceti dell'estremo? Quale è la loro filosofia di vita (si fa per dire)? Potete trovarli, ispirati dall'iconografia della terribile Shiva, vagare tra pire funerarie, cosparsi di cenere e di speciali gioielli ricavati da frammenti umani. Fin qui, niente di troppo strano. Ma gli aghori vanno ben oltre, collegandosi perfettamente all'ipotetico mundus narakiano che ho immaginato. Mangiano carne umana questi tipi, apprezzano in particolare pezzi di cervello estratti dai crani, che fanno parte del loro quotidiano. I teschi umani, come vedete dalle foto, sono usati come ciotola per il cibo o semplici bicchieri, calici dell'altrove. Tutto qui? Certo che no. Inutile citare l'uso di droghe e le abitudini sessuali incestuose, che fanno parte di una certa "normalità". I rituali degli aghori prevedono anche l'assunzione di feci, di liquidi mestruali, di urina e carne in decomposizione, per realizzare dei cocktail davvero originali. I contenitori di questi speciali ingredienti, bisogna specificarlo, non sono più vivi.
Aghora: Mangiare la Morte
Quello che mi ha colpito in particolare dei riti aghori è la raccolta di resti umani nel Gange, e non parlo delle ceneri. Molti non sanno che nel fiume sacro, oltre ai "derivati" delle cremazioni, vengono gettati anche corpi umani interi (come i santi, i bambini sotto i cinque anni, i malati di colera, le donne incinte, le persone morse da un serpente, i suicidi, i poveri ecc.). Non tutti, dunque, vengono trattati col fuoco. Ma al fuoco arrivano comunque, quello per la cottura acceso che sarà acceso, successivamente, dagli aghori. Sul web, per i più curiosi, troverete molte foto (e video, per i più temerari) di asceti aghori che meditano sopra i cadaveri pescati nel fiume, prima di cibarsi della loro carne e dissetarsi del loro sangue ormai immobile, quando c'è ancora, dentro. Ma che senso ha tutto questo? Perchè gli aghori (che in tutto sono un centinaio) mangiano la morte? La risposta è molto complessa, fin troppo per gli angusti spazi di un post sul web, varrebbe la pena approfondire in altra sede. Vi basti sapere, giusto per incuriosire e stimolare le vostre ricerche personali, che la filosofia aghora si propone, nientedimeno, di superare la barriera infrangibile dell'illusione, la visione dualistica dell'esistenza: vita/morte, sacro/profano, bene/male, morale/immorale, e via dicendo. Per questo i folli asceti, oltre a masticare "shakti" (l'energia vitale, cosmica, che non si distrugge) infrangono scientemente tutte le convenzioni umane, le sovrastrutture psicologiche, gli schemi sociali, i tabù, le categorie che tanto ci piacciono. L'orrore che potremmo provare, assistendo ai loro rituali, per gli Aghori sarebbe il chiaro effetto dell'Ego, dal quale siamo manovrati come burattini. Niente male, come obiettivo filosofico, quello di superare, annientare il dualismo "vita/morte" Roba ambiziosa. Rompere il muro che ci separa dall'altro mondo, teorizzare l'inconsistenza degli ultimi confini, poter affermare (niente di più inconsueto e inaspettato) che non esiste alcuna differenza tra la vita e la morte.
Oltre che sul web, sulle rive del Gange o vicini ai fuochi delle cremazioni, troverete gli amici aghori anche in uno dei miei prossimi racconti: saranno immersi anche loro nel mio continuum narakiano. Ci metto nulla a far fluire il Gange tra le mie pagine, con tanta roba che galleggia e affonda.

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