Il Guardian pubblica un articolo di due studenti dell’Università di Manchester, fondatori dell’associazione Post-Crash Economics Society. Si invoca una maggiore apertura dei programmi universitari e di dottorato verso altre scuole di pensiero, mentre il mainstream accademico è ancora arroccato sulle posizioni neoclassiche che si sono rivelate incapaci di spiegare la crisi.
I programmi universitari di economia sono bloccati su un modello sorpassato. Ci sono altre scuole di pensiero che meritano di essere insegnate.
di Zach Ward-Perkins e Joe Earle, theguardian.com
Una persona normale vede ciò che si insegna agli studenti di economia come una questione politicamente significativa? Probabilmente no, eppure ciò che gli studenti di economia imparano ha molte più conseguenze sulla società di quanto non si immagini comunemente.
Ogni anno migliaia di laureati in economia trovano lavoro nella City, in thinktanks e nel cuore del settore pubblico. L’economia è altamente tecnica e spesso matematica, e questo eleva gli economisti alla posizione di esperti, posizione dalla quale trasmettono le analisi economiche al pubblico britannico. Sono i guardiani della nostra economia, responsabili del suo mantenimento, e giocano un ruolo importante nel determinare le spiegazioni politiche dei fatti economici. Tuttavia le università britanniche stanno preparando dei laureati in economia che non sono adatti a questo compito.
La crisi finanziaria rappresenta il definitivo fallimento di questo sistema di educazione e della disciplina accademica nel suo insieme. L’istruzione economica è dominata dall’economia neoclassica, che cerca di interpretare l’economia attraverso dei modelli di comportamento di singoli agenti. Imprese, consumatori e politici sarebbero di fronte a chiare opportunità di scelta in condizioni di scarsità, e devono allocare le risorse al fine di soddisfare le proprie preferenze. Diversi agenti si incontrano nel mercato, dove formule matematiche che caratterizzano il loro comportamento interagiscono per produrre un “equilibrio”. La teoria enfatizza la necessità di “micro fondamenti”, termine tecnico per dire che il proprio modello dell’intera economia è basato su estrapolazioni dai comportamenti individuali.
Gli economisti che utilizzano questa teoria economica mainstream sono stati incapaci di prevedere la crisi in modo spettacolare. Perfino la Regina ha chiesto ai professori della LSE perché nessuno avesse visto arrivare la crisi. Ora, dopo cinque anni, dopo un bailout bancario costato centinaia di miliardi, la disoccupazione che raggiunge i 2,7 milioni di persone e il crollo de salari, i programmi di studio di economia rimangono immutati.
La Post-Crash Economics Society è un gruppo di studenti di economia dell’Università di Manchester che credono che le teorie economiche neoclassiche non debbano più avere il monopolio nei nostri corsi di economia. A Cambridge, alla UCL (University College London) e alla LSE (London School of Economics)sono state fondate associazioni per evidenziare questi problemi e speriamo possano diffondersi anche in altre università. Attualmente uno studente universitario, un dottorando o anche un economista professionista può tranquillamente fare la propria carriera senza sapere nulla di sostanzioso sulle altre scuole di pensiero, come quella post-keynesiana, austriaca, istituzionale, marxista, evoluzionista, ecologica o femminista. Tali scuole di pensiero vengono semplicemente considerate inferiori o irrilevanti per le scienze economiche.
Ci viene insegnato a memorizzare e rigurgitare teorie e modelli economici neoclassici. I nostri seminari consistono nel ricopiare dei problem set dalla lavagna e la discussione critica è inesistente. Abbiamo studiato i nostri moduli e abbiamo trovato che solo 11 su 48 menzionano le parole “critico”, “valutare” o “confrontare” nelle guide dei corsi. Diciotto su 50 dei nostri moduli hanno il 50% o più dei voti assegnati tramite esami a scelta multipla e in nove di questi si va oltre il 90%. Questo, combinato con il fatto che gli studenti di economia non hanno l’opportunità di fare una dissertazione, significa che molti accettano l’economia come una verità piuttosto che come una teoria contestabile.
Quando solleviamo queste questioni coi nostri professori di economia, molti di loro sostengono che l’economia mainstream è dominante perché ha un valore accademico superiore. Durante il nostro primo evento, il nostro vecchio rettore di economia suggerì che molte di queste altre scuole di pensiero erano state confutate nello stesso modo in cui il “clistere col fumo di tabacco” non è più accettato nella tecnica medica.
Manchester aveva uno dei dipartimenti di economia più eclettico e pluralista del paese. Questo si rifletteva in una più vasta offerta di programmi di laurea, con moduli come “teoria economica comparata”, resi disponibili agli studenti. Una delle principali spinte alla “pulizia etnica” che ha colpito i dipartimenti di economia di tutto il paese, come spiega un professore di Manchester, è il Research Excellence Framework (il sistema con cui il governo alloca i fondi per la ricerca tra le università). Ogni quattro anni una commissione di accademici di spicco giudica le riviste di economia da 0 a 4 stelle a seconda della loro qualità accademica. Il problema è che in questa commissione non ci sono economisti che sia possibile identificare come non-mainstream, e che le valutazioni vengono fatte a porte chiuse e vengono pubblicati solo i risultati. A causa di ciò, le riviste con i maggiori rating sono tutte neoclassiche e le università devono assumere ricercatori che aderiscano a questa scuola di pensiero.
A dispetto di questo predominio, i pochi che avevano previsto la crisi finanziaria erano economisti di provenienza teorica non-mainstream. Questo mostra chiaramente che ci sono alternative che hanno grossi contributi da dare alla disciplina economica. L’economia neoclassica è il mainstream ed è indispensabile per gli studenti di economia capirla, e ci sono dei motivi per i quali essa si è dimostrata così attraente per tante menti eccellenti. Mentre negli ultimi decenni è stata solitamente usata per sostenere il libero mercato, potrebbe essere usata per argomentare a favore di un’economia socialista, come in effetti fu negli anni ’30. Quindi non ci si deve necessariamente limitare ad un unico punto di vista politico. Comunque, essa non esaurisce l’intera economia – o almeno non dovrebbe. Qui non si tratta di ideologia, si tratta solo di migliorare la nostra istruzione economica.
Noi proponiamo che le teorie neoclassiche siano insegnate a fianco e in abbinamento con una grande varietà di altre scuole di pensiero durante tutto il corso di laurea. In questo modo la disciplina sarà aperta alla discussione critica e alla valutazione. Quanto le diverse scuole di pensiero sono in grado di spiegare i fenomeni? Su quali assunzioni dobbiamo costruire i nostri modelli? Dobbiamo credere che i mercati siano auto-stabilizzanti o ci sono altre scuole di pensiero che spiegano la realtà in modo migliore? Quando agli economisti viene insegnato a ragionare in questo modo, tutta la società ne beneficia e ci saranno più economisti in grado di prevedere l’arrivo della prossima crisi. Il pluralismo critico apre opportunità e immaginazione.
L’ attuale stato di cose non va molto bene. I nostri compagni di corso ci dicono di essere imbarazzati quando le loro famiglie e gli amici gli chiedono di spiegare le cause della crisi attuale e loro non ne sono in grado. A uno dei nostri professori è stato detto che deve seguire il programma di ricerca dominante o altrimenti trasferirsi alla business school o al dipartimento di scienze politiche. A un altro è stato detto che se fosse rimasto sarebbe stato “ignorato”. Questa situazione si ripete nei dipartimenti di economia di tutto il paese – è un problema nazionale. Il mondo accademico dell’economia può e deve essere migliore di così, ed è per questo che chiediamo un cambiamento
Fonte: Voci dall’estero
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