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Agli USA Gasparotto, a noi Sgarbi

Creato il 31 agosto 2014 da Athenae Noctua @AthenaeNoctua
In Italia studiare discipline artistiche e umanistiche pare un modo facile per ottenere una laurea e vivacchiare con qualche competenza generica alle spalle qualche ente pubblico. Sicché i professionisti dei beni culturali, probabilmente sbeffeggiati sin da quando hanno dichiarato al mondo che avrebbero studiato storia dell'arte o materie affini con la classica frase «E poi che vai a fare?», se possibile, diventano, per vedersi riconosciuti meriti e competenze, cervelli in fuga.
 

Agli USA Gasparotto, a noi Sgarbi

Davide Gasparotto

L'ultimo caso di abbandono dell'Italia da parte di uno stimato esperto d'arte è quello di Davide Gasparotto, classe 1965, direttore della Galleria Estense di Modena. È infatti di pochi giorni fa la notizia della sua nomina a responsabile della collezione di pittura italiana al Getty Museum di Los Angeles, un'opportunità che Gasparotto ha accettato da un lato con rammarico, dall'altro con l'orgoglio di veder riconosciute le proprie competenze. In un'intervista al Fatto Quotidiano, Gasparotto ha dichiarato che partire «significa lasciare una delle cose più importanti: la possibilità di vivere immersi nel tessuto connettivo che riunisce le opere al territorio, i documenti ai monumenti, i monumenti al paesaggio. [...] A Los Angeles non mi basterà uscire di casa per trovarmi immerso nella mia materia di studio.», ma anche che, nella scelta presa, «è stato fondamentale ciò che in Italia non posso avere: e cioè la possibilità e la certezza di concepire, sviluppare e portare a compimento un progetto. Con tutto il necessario supporto economico, e di professionalità e saperi, da parte dell’istituzione».
Il richiamo di Davide Gasparotto alla necessità di tornare ad investire sulle risorse umane nel campo dei beni culturali e di considerare come reale funzione della cultura quella formativa appare tanto lontano dalla percezione delle istituzioni italiane quanto essenziale all'estero, dove i nostri studiosi ed esperti trovano molte più opportunità di applicazione di competenze e acquisizione di esperienze.
Oggi il ministro Franceschini annuncia il riconoscimento dei professionisti dei beni culturali, ma, a parte il fatto che non sono state chiarite le modalità di tale valorizzazione e che la recente riforma del MIBACT presenta molti punti controversi, siamo ben lontani dal conferire ai beni culturali e a coloro che in tale campo si specializzano il rispetto e la dignità che meritano.
Se a questo si aggiunge il triste spettacolo di un Vittorio Sgarbi che smania per portare all'Expo milanese del 2015 i Bronzi di Riace, l'Ortolano dell'Arcimboldo e la Nascita di Venere del Botticelli solo per esibire un fantasma di valorizzazione dell'arte con l'appoggio di istituzioni e personaggi che vanno a braccetto con i sostenitori del nauseante motto «Con la cultura non si mangia», il quadro si fa a dir poco grottesco (tanto più che il tema della manifestazione è proprio il cibo...).  
Agli USA Gasparotto, a noi Sgarbi
Consideriamo poi che Sgarbi è stato insignito del premio per la comunicazione culturale e soffermiamoci sulla motivazione di tale scelta, in cui si recita: «In una società appiattita su un'omologazione al ribasso, Vittorio Sgarbi conduce da anni, attraverso una molteplice attività di saggista, corsivista, polemista, curatore di mostre, performer televisivo, pubblico amministratore, un'opera corsara di divulgazione e valorizzazione del patrimonio artistico non soltanto italiano che è in grado di farsi comprendere e apprezzare anche da un pubblico non specialista, cui fornisce numerosi spunti di riflessione e approfondimento. Il suo linguaggio spesso provocatorio e paradossale unisce la competenza storico-critica alle suggestioni di un'efficace affabulazione, spaziando dall'arte classica a una contemporaneità smascherata nei suoi falsi avanguardismi, ribaltando luoghi comuni ed etichette di comodo, ed operando una salutare messa in discussione delle certezze di chi lo ascolta».
Evidentemente in Italia gode di maggior autorevolezza un critico d'arte accampato nel salotto della D'Urso per dare della capra a tutto il resto del mondo e intervenire su questioni morbose di attualità che un direttore di museo interessato a portare avanti progetti nell'interesse della struttura per cui lavora e, di conseguenza, di tutti coloro che vogliano visitarla per un arricchimento culturale. A mio avviso sono proprio questi paradossi che creano l'appiattimento sull'omologazione al ribasso di cui parla la giuria del premio Alassio, evidentemente invertendo cause ed effetti.
C.M.

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