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La vittima colpevole

Creato il 14 marzo 2016 da Athenae Noctua @AthenaeNoctua
La scorsa settimana, mentre si festeggiava la Giornata internazionale della donna, nel web si faceva largo un post di sfogo cui i media nazionali non hanno ritenuto di dover dare spazio e che comincia a trapelare solo in questi giorni, e solo - verrebbe da dire - perché diventato virale grazie ad un hashtag.
Grazie alla studentessa paraguayana Guadalupe Acosta siamo venuti a conoscenza della morte di due giovani donne argentine, Maria Coni e Martina Menegazzo, uccise durante un viaggio in Ecuador da due uomini che, trovandole sole, avevano offerto loro un passaggio. Sembrerebbe uno dei tanti fatti tragici di cronaca, ma è quello che è seguito che ha fatto emergere per l'ennesima volta l'atteggiamento vergognoso che umilia le donne già vittime di violenza.
 La vittima colpevoleGuadalupe Acosta, infatti, ha affidato a Facebook un intervento scatenato dall'indignazione di fronte al modo in cui certa stampa sudamericana ha presentato la notizia, dando voce ad un modo di pensare diffuso fra la gente di tutto il mondo. Maria e Martina «sono andate a cercarsela, perché viaggiavano da sole». Queste le argomentazioni che hanno portato la studentessa a scrivere alla rete. Guadalupe si presenta nel suo post come una ragazza uccisa bombardata da un interrogatorio umiliante: «Perché eri sola? Come eri vestita? Perché sei andata in quel posto, sapendo che non era adatto ad una ragazza?». Domande che riflettono le osservazioni spietate della gente che, quando si tratta di donne, è più incline a giustificare la violenza che a condannarne i colpevoli: «Nessuno si chiedeva dove fosse il figlio di puttana che ha ucciso i miei sogni, le mie speranze, la mia vita. No, tutti pensavano solo a queste domande inutili».
La Acosta, sempre immaginandosi vittima, continua scrivendo che, se la stessa sorte fosse toccata ad un ragazzo, il mondo avrebbe espresso il proprio cordoglio, ma che, essendo lei una donna, la violenza viene minimizzata e accettata... peggio, scaricata sulla vittima, sciocca perché ha preteso di viaggiare, di poter rifiutare un rapporto, di essersi opposta alle botte, di essere indipendente e di sentirsi sicura. La donna vittima di violenza viene colpevolizzata per aver cercato di vivere dignitosamente e liberamente, e si giustifica così la brutalità di chi le ha semplicemente dato una lezione di realismo, come a dire che lo stupratore o l'assassino hanno avuto la correttezza di educare la loro vittima allo stare al mondo, peggio per lei se non ha imparato ed è finita in un sacco della spazzatura.
E mentre qui piovevano mimose e stucchevoli servizi sulla festa della donna, alla donna veniva fatta l'ennesima festa. Il mondo, grazie a Guadalupe, ha fatto i conti con l'ignoranza di chi colpevolizza una donna che viene picchiata dal compagno «perché sa benissimo che facendo così lo potrebbe irritare» o che viene accusata di essersi vestita e comportata come una prostituta se qualcuno ha pensato di poterla violentare.Sembra la vecchia maledizione di Era, che puniva le giovani vittime della libidine di Zeus tormentandole e inseguendole per il mondo con la sua ira anziché prendersela col marito incontenibile. Sì perché spesso queste accuse vergognose vengono da altre donne, che in questo hanno ben raggiunto la parità con certi uomini.
La vittima colpevoleLa mobilitazione #ViajoSola seguita al coraggioso e importantissimo intervento di Guadalupe - c'è da scommetterlo - si esaurirà in pochi giorni (anche se per certi media non è nemmeno iniziata), costringendoci a fare i conti con una realtà che non è per nulla cambiata. Una realtà in cui stupri e violenze domestiche non vengono denunciati perché si teme l'umiliazione descritta dalla studentessa paraguayana, perché la società è sempre disposta a vedere nella donna l'Eva che provoca l'uomo, la creatura peccaminosa che risveglia la sua sessualità e che, dopo averlo fatto, non può negarne il soddisfacimento. Le migliaia di condivisioni del post di Guadalupe, purtroppo, non produrranno che un'ondata di indignazione che servirà da sapone per la coscienza di tutti coloro che chiudono gli occhi ogni giorno, accontentandosi di applaudire ai festeggiamenti dell'8 marzo o delle quote rosa per tutto il resto dell'anno.
L'uguaglianza e il rispetto della dignità di ogni essere umano si raggiungono soltanto con una massiccia opera di educazione, perché il «se l'è andato a cercare» è l'atteggiamento dell'ignorante pieno di pregiudizi e del vile che non è disposto a riconoscere e sanzionare le responsabilità reali. Nessuno giustificherebbe il prete pedofilo che dichiarò le proprie colpe definendole la naturale conseguenza della ricerca di affetto da parte dei bambini. Allora perché dire che una donna deve aspettarsi di essere picchiata se va in giro da sola, se indossa una gonna troppo corta o beve un bicchiere di troppo in compagnia?Chiaramente non possiamo pensare di distaccarci dal problema solo perché legato ad un fatto accaduto dall'altra parte del mondo, dato che omicidi, violenze (fisiche e verbali) e stupri sono all'ordine del giorno anche in Italia. Questo dato mi pare tanto più allarmante se penso a certe dichiarazioni rilasciate da diverse persone (anche del mondo dell'informazione) interpellate qualche mese fa in seguito alla grottesca farsa montata per opporsi all'educazione di genere. Nelle interviste di quel periodo abbiamo avuto a che fare con uomini e donne che, pensando si salvaguardare l'integrità psico-fisica dei loro figli, hanno inveito contro le iniziative previste dalla legge 107 per sensibilizzare al rispetto interpersonale nell'ambito della scuola, così da contrastare pratiche offensive, il bullismo e la discriminazione di genere (ma del travisamento dell'unico punto sano di questa legge abbiamo già parlato, con debiti riferimenti agli articoli incriminati). 
La vittima colpevole Fra le opinioni raccolte dai microfoni ci sono state quelle di chi pensa che sia del tutto normale che esista una distribuzione di ruoli fra uomini e donne, senza rendersi conto o ignorando volutamente che ciò significa anche distribuzione di diritti: se un uomo dichiara che «è giusto che la donna rimanga in casa con i figli», il passo verso la condanna della donna che vuole esistere al di là della famiglia, uscendo da sola e ritagliandosi i propri spazi è breve, e tanto più breve è quello verso la condanna della cattiva moglie che va a cena con le amiche o in viaggio di lavoro anziché badare ai figli. Di quanti casi simili di maldicenza è testimone ciascuno di noi? E se una donna stessa è disposta a citare la Bibbia per invocare «la necessità che una donna sia in tutto sottomessa al marito», capiamo perché, assieme a questa cecità (cui i media non dovrebbero dare spazio, se non esplicitando i reati collegati a simili dichiarazioni), si diffonda anche la convinzione che certe violenze le donne le meritino davvero, perché non obbediscono, perché escono di casa, perché prendono un mezzo pubblico da sole.
C.M.Articolo originale di Athenae Noctua. Non è consentito ripubblicare, anche solo in parte, questo articolo senza il consenso del suo autore e senza citare la fonte.

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