Agorà:congiunzione tra cielo e terra nel dovere di indagine di Ipazia .
-Il silenzio di fronte all'assassinio barbaro di un essere umano-una donna-empio perché non crede nel dio di un sanguinario vescovo cristiano e negli antichi emuli pagani,bensì nella Filosofia, sarebbe forse un atto di dovuta Pietà.Per la nuova pellicola di Alejandro Amenàbar,finalmente visibile in Italia,dopo il rischio di feroce censura,la condanna al totale mutismo,all'inanità,ad una non-vita prospettata da Cirillo come parola di Dio riservata alle donne e leggibile nelle sacre scritture,si è detto già troppo ricorrendo a devianti paragoni con altri film storici.
La contemplazione con occhi puri,impregnati soltanto di un fecondo desiderio di verità potrebbe essere la strada più adeguata da percorrere per esperire un testo filmico che nasce, inevitabilmente, come atto di denuncia universale contro ogni fanatismo e violenza sul proprio simile ed ogni creatura: la precarietà della biografia della scienziata nata ad Alessandria d'Egitto intorno al 370 d.C. essendo evidente quanto incolmabile nella sinossi necessita di un generoso abbandono all'ingenuità ,alla naïveté di un Ciaula quando scopre la luna,dell'uomo che in “Amico fragile” assumerebbe un cannibale al giorno per farsi insegnare la sua distanza dalle stelle,o del Romano il cui intercalare rilevato ,acutamente, da Pier Paolo Pasolini,malgrado i millenni di dominazione, rimane invariato -se stupito-:”anvedi”.
Per civismo in “Agorà” prevarichi la “fabula” giacché il banale confinamento all'etichetta di “genere storico” manifesta ,inequivocabilmente ,pigrizia nell'analisi ridotta ben presto alle puerili definizioni di “peplum”o”kolossal” .
Fortunatamente, la cromia non discende da un'imitazione ritrita delle tele di Thomas Cole con l'effetto di una patinata locandina anni '60 nell'ennesimo tentativo di remake di inimitabili capolavori coevi aventi per tema l'Impero Romano e il monoteismo cristiano alle porte,ma attinge al rigore con cui l'artista tout court si interroga sul dramma dell'uomo e nel dolore del dubbio,dell'incapacità di reperire una soluzione esprime innanzitutto la verità del suo animo.
Nella pellicola si possono rilevare due fili conduttori perfettamente paralleli ossia la vicenda di Ipazia e l'estetica impregnata delle opere di due pilastri nella storia dell'arte : Andre Mantegna e Michelangelo,la cui incidenza si verifica in tale ordine di apparizione ,quasi in concomitanza alle progressive scoperte della scienziata che, nel giungere alla formulazione del sistema solare, (sovvertendo il geocentrismo tolemaico attraverso il recupero di antichissime ipotesi di Aristarco) introduce oltre alla figura geometrica -simbolo della perfezione-,il cerchio,la sua versione allungata in una direzione,l'ellisse . Se Ipazia inizialmente concordava nel sostenere che la Terra era al centro dell'universo-la scelta registica nelle inquadrature trascrive, costantemente ,ripete ,letteralmente, il motivo circolare e dunque traduce nella scala dei campi e dei piani l'idea di spazio che Mantegna riserva sfondando la volta con un oculo a pozzo in prospettiva al soffitto della Camera degli Sposi presso il Palazzo Ducale di Mantova-al termine della sua esistenza ribaltando ruoli e figure fa del nostro pianeta una “stella errante”la cui orbita è un 'ellisse con il Sole in uno dei due fuochi :il focus,il climax figurativo del film è raggiunto nella scena finale in cui la donna ( il suo corpo è stato denudato con violenza )uccisa per soffocamento dallo schiavo Davo si abbandona di spalle sostenuta dalle braccia del ragazzo in un'immagine degna, per estrema attenzione ai dettagli riprodotti, della scultura/testamento spirituale di Michelangelo nota come ”Pietà Rondanini”.
Il transito attraverso la “sensata esperienza” con “certa dimostrazione” di un peso lanciato dall'albero maestro di una nave in movimento caduto non obliquamente,ma come se quest'ultima fosse ferma si fa soluzione scientifica esplicandosi nel riconcepimento della perfezione del cerchio allungato in ellisse: a ben osservare le due versioni più note della “Pietà” michelangiolesca evidenziano il medesimo percorso.
La “Pietà” presente a Roma nella Basilica di San Pietro, poiché il suo creatore non prova interesse per la funzione narrativa dell'arte, bensì speculativa ,non mostra soltanto il dolore della madre o lo strazio del corpo di Cristo appena deposto dalla croce,ma entrambi in una congiuntura di vita e morte ottenuta ,visibilmente, nell'intersezione dei due corpi all'altezza del ventre di Maria. Quest'ultimo per le esatte proporzioni diventa il centro di una circonferenza di cui diametri umani sono proprio i due corpi così disposti raggiungendo la perfezione divina .La sublimazione del loro sacrificio resa dalla perfezione del volto , estremamente, giovane della Madonna e dalla finezza alessandrina del cadavere del figlio enuncia il superamento delle fattezze terrene e il raggiungimento di una bellezza ideale:l'uomo è sì soggetto per natura all'invecchiamento,ma in senso morale attraverso la verginità di Maria,la purezza della concezione divina,l'incorruttibilità spirituale trova il suo omologo in quella della carne.
La giovinezza è sinonimo di purezza e l'imperfezione ha la sua origine nel peccato perpetuato nel trascorrere del tempo come un lento e logorante decadimento.
Nell'altra “Pietà”, custodita nel Museo del Castello Sforzesco, sembra di poter leggere quasi una pagina del diario segreto dell'artista il cui pensiero, testimoniato anche nelle lettere e nelle poesie, pone al vertice le idee di morte corporale e vita eterna :madre e figlio sono nuovamente soli nel momento supremo precipitando ambedue verso il basso .Come affermano Adorno e Mastrangelo:«In un primo momento Cristo doveva essere rappresentato con la testa reclinata da un lato : è dimostrato non soltanto dal braccio pendente che resta isolato a sinistra,ma anche da un frammento marmoreo, recuperato recentemente che contiene la testa e che si adatta con esattezza alla statua .Poi ,modificando completamente l'idea iniziale ,Michelangelo ha cambiato le pose per ottenere una maggiore unità fra i due corpi ,stretti nell'ultimo abbraccio ,scarnificati ,privi ormai di ogni peso fisico ,forme spiritualizzate congiunte dall'amore .Quel processo per cui Michelangelo è venuto via via abbandonando ogni elemento classico ( proporzione,ponderazione ,bellezza ideale),ha raggiunto il suo momento culminante. Come Donatello nella Maddalena del Battistero fiorentino,così Michelangelo nella Pietà Rondanini rinnova totalmente la tradizione ,chiude definitivamente un'epoca ,il rinascimento , e getta un ponte con l'avvenire : per l'abbandono completo di ogni rapporto con la realtà visibile ,sia pure idealizzata ,e per la totale espressione del proprio mondo interiore ,non vi è forse opera che abbia, ancora oggi,tanta attualità. ».
Parallelamente alle valutazioni di Ipazia,che suonerebbero come antesignane della rivoluzione copernicana generate da un elogio del dubbio costante,ritenuto unica fonte inesauribile di prospettivismo e virtuosa conoscenza, la risoluzione del cerchio nell'ellisse, umanamente ,realizza l'ammissione della possibilità ontologica di un elemento,dell' opposto e del suo simile ossia il diritto all'esistenza della posa e dello scorcio,della perfezione-canone- e dell'imperfezione,dell'affermazione e della contraddizione della stessa.
Nel film è messa in luce l'essenza di Ipazia,il suo specimen che, contro ogni banale intellettualismo , consiste in una vitale messa in discussione dei numerosi ipse dixit limitanti la ricerca,la speculazione ,la filosofia ossia l'amore per(del) il sapere e assimilabili ad universali forme di violento fanatismo. Rivolgendosi al cristiano Sinesio,la scienziata precorre Kant :«Voi non mettete in discussione quello in cui credete .Non potete .Ma io devo» . Tra i contrari Ipazia trova la naturale armonia senza smentirsi mai. E’ un segno di coerenza sul piano dell'atteggiamento seguito dall'assunzione di responsabilità fattiva. Se ex abrupto una linea retta si fa contorta senza alcun segno o volontà di evoluzione tutto vacilla ,mentre la tensione tra gli opposti ,una loro sintesi opportuna,ma non l’eliminazione spietata di ciò che si è ugualmente stati,in un caparbio rovello senza soluzione di continuità re -alizza il conatus ,lo Streben verso la verità ,la divinità nell'uomo sempre belle perché autentiche.
Profetica risulta l'aspirazione di Ipazia alla comprensione dell'ordine cosmico che, se ottenuta anche “soltanto un po'”, potrebbe felicemente lasciare il posto alla morte:il suo martirio non meno esecrabile dell'analoga uccisione di un santo cristiano, segue immediatamente la formulazione dell'ipotesi di un sistema eliocentrico .
Il capo leggermente reclinato in avanti , segno del guizzo del pensiero in movimento,l'acconciatura
delineante il volto dai tratti nobili ,alti ,leggermente aguzzi ed i movimenti delicati ,ma decisi,consapevoli dell'attrice protagonista Rachel Weisz conferiscono dignità al ruolo interpretato nel dosaggio di dolcezza ,disciplina,candore,rispetto ,amore per il prossimo (non di marca cristiana,ma “umana”) che fanno pendant con la forza ,il potere della mente, l'autorevolezza del rigore metodologico nel tentativo di far emergere il senso stesso dell'attività pedagogica da lei svolta con i suoi allievi composti da pagani e molti convertiti alla nuova fede del re dei Giudei.
Soltanto in lei si legge l'acquisizione, paradossalmente ,per portato genetico in senso storico ed antropologico della Pietas romana termine che impera nella pellicola tra i politeisti dimenticandone tuttavia la definizione di virgiliana memoria tanto da gerere bellum contro invasati guidati dal vescovo Cirillo distruttori della biblioteca d'Alessandria e carnefici di Ipazia ben presto perseguitata poiché empia, prostituta del prefetto Oreste e come nel futuro medioevo “strega” .
Le scarse informazioni biografiche,probabilmente, hanno penalizzato la sostanza dei dialoghi giacché della donna Ipazia si è dovuto costruire un eloquio corrispondente alla modalità espositiva della più nota scienziata,interpretando un quotidiano inafferrabile perché spesso coincidente con l'insegnamento o lo studio e visibile in parte nel rapporto con il padre che pur di non sacrificare la sua libertà vieta di darla in sposa ad uno dei numerosi pretendenti .
(La difficoltà rilevata non deriva da incapacità mostrate in fase di sceneggiatura,ma è oggettiva essendo in gioco problematiche artistiche ,scientifiche e più in generale poietiche legate alla storia di un personaggio realmente vissuto; ad esempio in “Un viaggio chiamato Amore” gli sceneggiatori Heidrun Schleeff e Michele Placido ,regista dell'opera,si trovarono a creare il linguaggio”comune” di due poeti del calibro di Sibilla Aleramo e Dino Campana...)
Ecco pertanto che la dottrina astronomica pervade l'etica di Ipazia che,attraverso similitudini, enuncia il suo pensiero predicando la virtù ,il rispetto per la diversità come fonte di ricchezza: applica così la relazione transitiva (se a = b e b = c, allora a = c) al rapporto paritario da consolidare con i suoi studenti ribadendo, perentoriamente, la fratellanza come valore universale,motore dell'evoluzione intellettuale umana .
Le risse invece si addicono alla marmaglia e agli schiavi.
La magnanimità di Ipazia si nutre e si feconda continuamente con la professione svolta , vera metafora della sua vita fino ad accogliere tra i suoi studenti anche lo schiavo Davo, segretamente innamorato di lei e neofita della confessione cristiana perché (vagamente )convinto dal miracolo (camminare sul fuoco) compiuto da un “parabolano”(definizione dei primi predicatori dell'insegnamento del Messia)che pur se esperto tiratore di pietre contro i pagani sarà consacrato santo e martire da Cirillo.
L'introduzione di una vicenda privata:l'invaghimento progressivo di Davo che ad un rifiuto risponde con un tentativo di stupro,e soprattutto di un punto di vista di un individuo estremamente giovane ed inesperto della fitta ed intricata trama del mondo in cui conoscere diviene l'unica arma di difesa razionale possibile, mina l'evoluzione del film deviante sulle pene d'amor perdute,sulle preghiere rivolte ad un ipotetico dio convocato soltanto nel momento del bisogno culminanti in un definitivo abbandono dell'amata con adesione alla “fazione” a lei avversa.
La circostanza perde in efficacia biografica per smascherarsi come ripicca per una delusione del cuore e ritorna in un inadeguato quanto sentimentale,da tono romance , flashback finale dei momenti vissuti dal ragazzo accanto alla filosofa: si privilegia dunque il ricordo del primo a discapito del vero ruolo primario e si illustra, velocemente, un percorso di formazione avente il solo pregio,poiché negativo, di indicare la retta via come un exemplum da non seguire.
La fruizione della pellicola come testo filmico e della biografia presentata penalizzata da scelte di montaggio risultanti ingenue quanto banali,poco talentuose stando alle precedenti prove da regista di Amenàbar produce un conflitto nel definire il genere della pellicola,troppo “recitata”e didascalica. Indubbiamente è un “biopic” che affronta però ben poco l'urgenza ,la carica emotiva,il pathos respirato nell'Agorà di Ipazia e riserva maggiore importanza ad effetti speciali di penetrazione nell'hic et nunc attraverso immagini della Terra vista dallo spazio e viceversa,cartine geografiche tracciate direttamente su di un gigantesco mappamondo ecc...
L'equilibrio e l'assenza di polemica gratuita e controproducente che ha impedito ad esempio in Italia l'immediata circolazione di “Agorà” si esplica nella mostrazione dei cristiani e del fanatismo dei parabolani : la realtà non è edulcorata da un anelito sincero nella misericordia divina ,ma da fanatismo, xenofobia ( dopo i Romani , vittime della furia cristiana sono gli Ebrei ,rei di aver ucciso Cristo)misoginia e profonda ignoranza visibili quali “fatti” oggettivi ,senza alcuna esagerazione. Molti pagani si convertirono al cristianesimo per convenienza, per ragioni legate a circostanze più favorevoli socialmente e politicamente dando vita a spedizioni punitive ed atti persecutori contro i cosiddetti “empi” fino a demolire l'enorme patrimonio librario custodito nella biblioteca .
Le inquadrature non sembrano concordare con la statura etica di Ipazia : ne catturano gli occhi volti a fissare il cielo a cui chiede conferme o smentite sulle sue ipotesi ,ma non il significato del gesto e ciò si verifica allo stesso tempo quando “dona” ad Oreste il fazzoletto con il sangue del suo ciclo mestruale per rifiutare la sua proposta di matrimonio volendo redarguirlo sulla natura femminile dietro cui si cela estrema sofferenza e nell'ultimo discorso con il prefetto davanti alla Lupa Capitolina,simbolo della storia dell'Urbe proprio mentre Cirillo “ha già vinto” leggendo durante la messa ed in presenza degli alti funzionari romani il brano tratto dalla Prima lettera a Timoteo (capitolo 2):
9 Allo stesso modo, le donne si vestano in modo decoroso, con pudore e modestia: non di trecce e d'oro o di perle o di vesti lussuose, 10 ma di opere buone, come si addice a donne che fanno professione di pietà. 11 La donna impari in silenzio con ogni sottomissione. 12 Poiché non permetto alla donna d'insegnare, né di usare autorità sul marito, ma stia in silenzio.
Per consacrare la “santità” di Ipazia ,si ritorni al silenzio da cui si era partiti: la sua esistenza romanzata produce un eroismo di cui certamente la scienziata non sarebbe stata fiera. Prima di essere catturata dai cristiani rifiuta la protezione dell'esercito romano ,ossia della moderna scorta ,per camminare libera tra le strade della sua città natale. Ha avvertito che è giunta la sua ora?Come si pone davanti al suo assassinio?Ipazia è esclusa dalla sua stessa storia,per scelta registica:il passo al ralenti ,la tunica le cui pieghe aumentano in volume perché attraversate dal vento,il profilo con sguardo impaurito non rendono omaggio all'unico impulso interiore del suo atto di resistenza civile.
La libertà .
Mariangela Imbrenda