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Ai no uzu (愛の渦, Love's Whirlpool). Regia, soggetto e sceneggiatura: Miura Daisuke. Fotografia: Hayasaka Shin. Interpreti: Ikematsu Sōsuke (Katō Isamu, il disoccupato), Kadowagi Mugi (Suzuki Satomi, la studentessa), Takitō Ken’ichi (il commesso del negozio di alimentari), Nakamura Eriko (la maestra d’asilo), Hirofumi Arai (il ‘freeter’), Mitsuya Yoko (la commessa del negozio di cosmetici), Komakine Ryūsuke (l’obeso vergine), Azakawa Mick (la bionda), Kubozuka Ysuke (l’impiegato del club), Tanaka Tetsushi (il direttore del club). Produzione: Makoto Fujimoto, Okada Makoto, Kimura Toshiki. Prima uscita nelle sale giapponesi: 1 marzo 2014. Durata 123’.
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Punteggio ★★★
A suo modo un dramma da camera, una sorta di kammerspiel ‘simil-erotico’ che si svolge in un club di Roppongi, a Tokyo, dove un gruppo di giovani uomini e donne che non si conoscono – e anagraficamente non possono farlo – si incontrano con un unico scopo: fare sesso. La storia si svolge dalle undici di sera alle sei del mattino, scandita da una serie di didascalie che indicano il passare del tempo. Il film è tratto da un romanzo e da uno spettacolo teatrale del suo stesso regista, Miura Daisuke, già autore di Boys on the Run (2010) e sceneggiatore di Be My Baby (Koi no uzu, 2013), altro convincente dramma da camera sul modello, quanto Ai no uzu, dei reality show.
Pur essendo il sesso, una componente fondamentale del film, che tuttavia non si può davvero definire erotico, né tantomeno pornografico, ciò che più interessa Miura sono le dinamiche che vengono a crearsi fra un gruppo di sconosciuti che trascorrono insieme alcune ore in un luogo chiuso. Ai no uzu può, infatti, essere visto come un piccolo spaccato di antropologia giapponese, fatto di inchini, parole di scusa, sguardi bassi e richieste di permessi. Comportamenti e gesti tipici di quella cultura del riserbo e della discrezione che è propria di quel paese ma, che, ai nostri occhi, stridono nel particolare contesto di sesso libero in cui sono qui collocati, contesto che lascerebbe presupporre una maggiore disinvoltura. Sesso o non sesso, le dinamiche di gruppo sono comunque sempre le stesse. Gli imbarazzi iniziali, le divisioni di genere (le donne parlano fra loro e così fanno gli uomini), le domande scontate (“È la prima volta che vieni qui?”, “È stato facile trovare la sede del club?”), sino a che qualcuno non si fa più intraprendente e le coppie iniziano a formarsi. Nella prima parte del film il sesso è trattato con franchezza, di là da ogni moralismo e pregiudizio. Anche con qualche situazione abbastanza ‘cruda’ ma indubbiamente vera (la donna che facendosi la doccia dopo il primo atto sessuale si estrae dalla bocca un pelo pubico maschile). Nella seconda parte, tuttavia, alcuni stereotipi e/o facili colpi di scena banalizzano in po’ la storia: il giovane obeso che si confessa vergine, la bionda cinica che si rivela essere la moglie del manager, la coppia che si presenta a ora tarda solo per testare la propria fedeltà, e, soprattutto, l’avviarsi di una possibile relazione sentimentale fra il giovane disoccupato (Isamu) e la timida studentessa (Satomi) – i primi due personaggi ad entrare in scena nel film e gli unici di cui alla fine sapremo il nome – . Nessuno stupore quindi quando l’armonia del gruppo si incrina – ma giàmolti altri segni andavano in quella direzione – nel momento in cui Isamu tenta di impedire che Satomi finisca a letto con un altro uomo (come la logica del luogo invece presupporrebbe). Ancor più scontato il gioco di montaggio che mette in scena tale situazione: quando l’altro giovane chiede a Isamu “Non dirmi che ti sei innamorato di lei?”, e questi risponde “No, come potrei”, segue uno stacco sullo sguardo addolorato che Satomi rivolge a Isamu. Un gioco di sguardi poi ripreso quando i due si ritroveranno nei letti vicini a fare sesso con due diversi partner. Più originale – a questo riguardo – la chiusa del film, con i due, che, alle sei del mattino, si ritrovano fuori dal club in una caffetteria. L’incontro lascia presumere la concreta possibilità di una ‘Love Story’ possibilità però subito negata dalle parole della donna che chiede all’uomo di cancellare dal cellulare il suo numero. Efficace, duro e senza speranza anche il conclusivo scambio di battute, con Satomi che dice: “Questa notte io non ero io” e Isamu che replica “Questa notte, invece, io ero davvero io”. Nel complesso – di là da una certa inverosimiglianza: perché questi giovani quasi tutti belli e aitanti devono pagare e agire di nascosto per fare del sesso – l’aspetto più interessante del film è il coraggio di esibire tutto ciò che noi siamo ma che nello stesso tempo nascondiamo.
In conclusione, vale la pena di citare l’immagine che di fatto dà il titolo al film: l’inquadratura a picco dall’alto costruita su un movimento di macchina circolare via via sempre più veloce delle quattro coppie che al massimo del coinvolgimento fanno l’amore nel loro letti. [Dario Tomasi]
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