1 e 2 Marzo 2014
Due date che per me rimarranno indelebili. Sono le date che hanno segnato la svolta sul mio cammino dell’aikido, le date in cui Shimizu Sensei mi ha concesso l’onore e l’onere dello shodan, la blasonata cintura nera, per molti unico obiettivo e punto di arrivo della pratica marziale.
Inutile dire che a livello tecnico è stato uno stage estremamente arricchente iniziato con un’ora di pratica magistralmente condotta da Waka Sensei Kenta Shimizu.
Un’ora che nella sua semplicità è stata molto interessante in cui ho avuto modo oltre che di scoprire alcune curiosità sul mondo dei samurai e sull’etichetta giapponese, anche e soprattutto di lavorare sui principi base delle cadute indietro, sul loro significato e di lavorare su sbilanciamenti e uso del centro come motore dell’azione. Un’ora semplice ma tutt’altro che banale. Ecco poi iniziare la lezione di Shimizu Sensei, indirizzata anch’essa a concentrarsi sull’utilizzo del centro del corpo come fulcro della propria forza. Molte lezioni sono state impartite dal Sensei che trascendono la mera tecnica e sono più importanti della tecnica stessa.
È si importante migliorare sul lato pratico perché ciò ha un riflesso diretto sul lato “umano”, è quindi importante abbandonare la forza fisica in favore della forza vitale, del kokyu, della fluidità e della morbidezza. È necessario liberarsi della forza distruttiva derivante dai muscoli per utilizzare l’immensamente più grande forza derivante dall’amore e dalla gentilezza. È importante usare il centro del corpo, che deve diventare il punto di equilibrio del nostro mondo, dobbiamo essere in grado di trovare la forza dentro di noi, noi stessi dobbiamo essere il nostro punto di equilibrio, il punto centrale da cui partire prima di aprirci al mondo.
Come ho ripetuto spesso e ripete spesso Shimizu Sensei:
non esiste conflitto nell’aikido.
Dal momento che pensiamo di combattere contro qualcuno che non sia noi stessi, abbiamo già perso e abbiamo smesso di fare aikido.
Andare al di la del mero gesto pratico e immergersi anima e corpo nello spirito originario dell’aikido e del budo. Torno quindi all’inizio, all’inizio di questo scritto, all’agognata cintura nera. Ricompensa di un lungo cammino fatto di gioia e di dolore. Un cammino lungo, difficile in cui le lacrime si sono mischiate al sudore. Ma torno anche all’inizio di questo cammino per ricominciare da capo. Perché è questo il significato della cintura nera. Non il traguardo ma il punto di inizio da cui partire per comprendere a fondo il significato della pratica. Il nero è solo un colore, il grado solo uno sterile appellativo.
Ciò che importa è lo spirito con cui si porta l’obi.
Per meritarsi il colore nero è necessario che il proprio spirito rimanga bianco come la neve, approcciarsi alla via con umiltà come l’ultimo dei principianti… rimanere per sempre bambini nel cuore, nella mente e nell’animo.
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