9 dicembre 2014 Lascia un commento
Il suo proprietario e’ un tizio di mezza eta’ molto solo, tanto solo da simulare con la bambola un rapporto che va oltre l’uso preposto e imbastendo una convivenza vera e propria con tanto di cenette, passeggiate, bagnetti insieme e romanticherie non proprio normali tra un pezzo di gomma sagomato ed un essere umano. Ad ogni modo la bambola diventa donna e nella nuova nascita, la scoperta del mondo che la circonda e la consapevolezza dei propri sentimenti. Comincia per lei una doppia vita, di giorno essere umano con tanto di lavoro e di sera bambola al servizio di chi l’ha comprata e sara’ proprio sul posto di lavoro che trovera’ l’amore ma anche la dura lezione che avere un cuore significa soffrire.
Fin dall’inizio ho ripensato ad "Her" e non che in fondo abbiano troppo in comune, oltre al definire un rapporto innaturale tra uomo e oggetto ma se il film americano s’ammanta di ridicolo nel comparare le diverse fasi emotive dei protagonisti, quello giapponese non perde contatto con la realta’ lasciando gli uomini tristemente uomini e gli oggetti inevitabilmente oggetti, senza pero’ che questo dia una valenza etica all’esistenza. Ci sono momenti in cui pare di rivedere "Magnolia" quando i personaggi si contemplano e chi guarda, guarda con loro perche’ l’anima si raccoglie in qualunque contenitore ma mica e’ detto che sia da desiderarsi per davvero.
Serve innanzitutto un grande applauso a Bae Donna, per la sua bellezza sfolgorante ma ancor di piu’ per una bravura straordinaria. L’attrice ha lavorato con la crema dei registi coreani tra i quali Park Chan-wook e Bong Joon-ho, e se vi steste domandando dove l’avete gia’ vista, ripensate a Sonmi-451 di "Cloud Atlas" dei Wachowski. L’evoluzione emotiva della bambola e’ una scoperta che coinvolge lo spettatore in un viaggio dolcissimo, a tratti commovente e lentamente il dolce pinocchio coreano, piu’ simile al robottino di "A.I" che al burattino nostrano, cresce con la consapevolezza della sua condizione ma non per questo rassegnata a non evolversi.
E’ il primo film che vedo di Hirokazu Koreeda e la sua regia non mi ‘e dispiaciuta affatto. Malinconico quanta basta per sottolineare la solitudine e l’empieta’ dell’esistenza, incede col pathos senza mai diventare scontato o banale. Esistenzialista all’orientale se cosi’ vogliamo dire, di uno stile imperante su quelle coste, provoca la commozione facile ma funziona. Insomma, un lavoro il suo da approfondire.