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Air Doll (Hirokazu Koreeda) ★★★/4

Creato il 07 febbraio 2011 da Eda

Air Doll (Hirokazu Koreeda) ★★★/4Kuki ningyo, Giappone, 2009, 116 min.

Koreeda è un regista intenso che sa trattare temi universali e particolari dosando sapientemente malinconia e leggerezza, riflettendo soprattutto sulla rappresentazione del lutto e della memoria, dell’assenza e della sospensione. Accanto a queste tematiche si aggiunge con forza in Air Doll anche quella della solitudine e alienazione metropolitana, molto presente nell’ultimo ventennio di cinema nipponico.

In una non meglio precisata metropoli un uomo medio torna ogni sera dal suo lavoro e si trastulla in casa con una bambola gonfiabile, facile rimpiazzo per una donna vera. Un giorno, mentre il padrone è via, la bambola “trova un cuore” e, novella Pinocchio, si fa carne al contatto con una goccia di rugiada. Nozomi, questo il suo nome,  inizierà quindi a esplorare il mondo degli umani, arrivando a trovare lavoro in un videonoleggio (per questo la pellicola è piena di rimandi cinefili) e innamorarsi, per poi tornare di sera a soddisfare passivamente il suo padrone, fingendo.

Attraverso l’espediente dello sguardo “vergine” della protagonista (ironico se la si pensa come oggetto sessuale) Koreeda ci mostra le piccole meraviglie del mondo con la sua consueta leggerezza e riesce a creare una serie di immagini, simboliche e non, di una bellezza raffinata e struggente, confermando di essere il regista che più di tutti, probabilmente insieme a Kawase Naomi, riesce a cogliere quel lirismo del quotidiano tanto caro ai giapponesi (esempi lampanti ne sono Taniguchi Jiro nei manga e Nagai Kafu in letteratura). Qui il punto di vista è sicuramente facilitato, poiché corrisponde a quello ingenuo e curioso di un essere per il quale tutto è una “prima volta”.

Air Doll (Hirokazu Koreeda) ★★★/4
La riuscita della pellicola è debitrice anche di un comparto tecnico molto curato e organico: la regia di Koreeda si muove tra morbidissimi movimenti di macchina, contemplativi piani-sequenza e attenzione ai dettagli, la fotografia di Mark Lee Ping-bin, collaboratore, tra l’altro, di Wong Kar-wai per In the mood for love, fa risaltare con i suoi toni tenui l’impalpabilità dell’ambiente urbano e della vita della protagonista stessa (anche letteralmente: essendo “vuota” quando si guarda in controluce traspare). Infine il sonoro, curato dai World’s End Girlfriend, i quali, con un azzeccatissimo misto di classica, elettronica e post-rock, contribuiscono a rendere ancora più sognante l’atmosfera del racconto. A questi fa da valore aggiunto la straordinaria prova dell’attrice coreana Bae Doona, già protagonista di Linda Linda Linda, che è brava a rendere l’innocenza e lo stupore che contraddistinguono il suo personaggio.

Air Doll è una parabola surreale (un tono caro a Koreeda, basti pensare a After Life, interamente ambientato in una sorta di “limbo” ultraterreno), una fiaba moderna senza lieto fine, la cui morale, come in tutte le fiabe, è tanto banale quanto necessaria e universale: nessuno uomo è fatto per vivere da solo. La grandezza di un regista sta nell’enunciare questi concetti in una forma personale e originale, e non si può dire che Koreeda non lo faccia, con la felicissima intuizione della bambola che ha bisogno di essere riempita d’aria per vivere. Un aspetto che raggiunge il suo picco drammaturgico nella straordinaria sequenza di “sesso” tra Nozomi e il ragazzo di cui è innamorata.

Air Doll (Hirokazu Koreeda) ★★★/4
Il regista tratteggia così l’ennesima riflessione sull’assenza, l’assenza di qualcuno che ci riempia, proprio come l’aria fa con la protagonista, altrimenti ci si affloscerà inesorabilmente fino a scomparire. E’ qui che entrano in gioco i tanti personaggi di contorno che sfiorano la vita di Nozomi e sui quali il regista passa velocemente durante la pellicola per creare delle piccole istantanee della solitudine prodotta dalla metropoli (il vecchio abbandonato, l’hikikomori, la donna che non accetta il passare del tempo, ecc…), per riunirle poi collettivamente in un vibrante e significativo montaggio finale; non per mostrare quello che sarebbe un poco realistico cambiamento, ma per donare uno squarcio di luce a queste esistenze che si credevano abbandonate. 

Questa apertura solare, ma mai consolatoria, attenua quindi la piega drammatica che prende la pellicola nella seconda parte, riuscendo a far emergere l’unicità insita in ciascuno di noi: siamo tutti “pezzi unici” pur essendo nati uguali allo stesso modo. Un concetto palesato, in maniera forse anche troppo evidente, nell’incontro di Nozomi con il suo creatore (uno degli attori nipponici in circolazione preferiti dal sottoscritto, Joe Odagiri). Se si vuole trovare un difetto alla pellicola qui lo si può riscontrare: la tentazione alla quale un regista non dovrebbe mai cedere di voler spiegare le sue immagini. Così come potrà fare storcere il naso a qualcuno la ricerca quasi ossessiva di soluzioni stilistiche raffinate che potrebbero essere percepite come “costruite” o poco sincere, oltre a una sceneggiatura non di ferro. Ma è un film (come spesso accade con le opere giapponesi) nel quale non bisogna rispondere alla logica a tutti i costi, piuttosto ci si dovrebbe abbandonare al flusso delle immagini; gli altri sono peccati veniali che si perdonano facilmente se si è abituati allo stile di Koreeda. 

Air Doll rimane comunque un gran film, nel quale la parabola triste di una bambola gonfiabile diventa inno alla vita, degna di essere vissuta in ogni sua forma.

 EDA


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