La questione dell'educazione gender ha alimentato una serie di rivolte imbarazzanti, che partono dall'errata attribuzione del nome. Ma andiamo per gradi, cercando di capire di cosa si tratti, tenendo presente che il putiferio si è scatenato a partire da poche righe normative del tutto neutrali e delineando la degenerazione dell'opinione pubblica in merito.Innanzitutto l'etichetta. Non esiste, nella legge 107 approvata il 13 luglio 2015 (più nota, grottescamente, come La buona scuola, ma noi vogliamo essere tecnici e non propagandistici) alcuna menzione dell'educazione di genere, tanto meno dell'educazione gender, formula che ha attinto ad un sistema ideologico fortemente connotato nell'ambito delle attività dei gruppi che manifestano per i diritti di omosessuali e transessuali. Non mi stancherò mai di mettere in guardia sulla pericolosità e l'importanza delle parole, che, in barba agli studi sull'arbitrarietà del linguaggio, attivano in molti contesti ricettori comuni. L'entrata del termine gender nel dibattito sulla legge 107 ha attivato un'associazione fra il mondo dei gay-pride e quello della scuola, dando adito a manifestazioni a difesa della famiglia, del candore puerile e dell'amore coniugale dagli esiti incommentabili. L'esercito di puristi sta sprecando le sue energie, e basterebbe un'occhiata all'articolo 1, comma 16 della legge per capirlo. Perciò leggiamolo insieme:
16. Il piano triennale dell'offerta formativa assicura l'attuazione dei principi di pari opportunità promuovendo nelle scuole di ogni ordine e grado l'educazione alla parità tra i sessi, la prevenzione della violenza di genere e di tutte le discriminazioni, al fine di informare e di sensibilizzare gli studenti, i docenti e i genitori sulle tematiche indicate dall'articolo 5, comma 2, del decreto-legge 14 agosto 2013, n. 93, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 ottobre 2013, n. 119, nel rispetto dei limiti di spesa di cui all'articolo 5-bis, comma 1, primo periodo, del predetto decreto-legge n. 93 del 2013.Amando la chiarezza, andiamo anche a leggerci quali sono le tematiche del DL 93/2013, articolo 5, comma 2, a proposito del Piano d'azione straordinario contro la violenza sessuale e di genere (questa sì definizione ufficiale):
2. Il Piano, con l'obiettivo di garantire azioni omogenee nel territorio nazionale, persegue le seguenti finalità: a) prevenire il fenomeno della violenza contro le donne attraverso l'informazione e la sensibilizzazione della collettività, rafforzando la consapevolezza degli uomini e dei ragazzi nel processo di eliminazione della violenza contro le donne e nella soluzione dei conflitti nei rapporti interpersonali; b) sensibilizzare gli operatori dei settori dei media per la realizzazione di una comunicazione e informazione, anche commerciale, rispettosa della rappresentazione di genere e, in particolare, della figura femminile anche attraverso l'adozione di codici di autoregolamentazione da parte degli operatori medesimi; c) promuovere un'adeguata formazione del personale della scuola alla relazione e contro la violenza e la discriminazione di genere e promuovere, nell'ambito delle indicazioni nazionali per il curricolo della scuola dell'infanzia e del primo ciclo di istruzione, delle indicazioni nazionali per i licei e delle linee guida per gli istituti tecnici e professionali, nella programmazione didattica curricolare ed extracurricolare delle scuole di ogni ordine e grado, la sensibilizzazione, l'informazione e la formazione degli studenti al fine di prevenire la violenza nei confronti delle donne e la discriminazione di genere, anche attraverso un'adeguata valorizzazione della tematica nei libri di testo.
Il testo è molto più ampio, ne ho selezionato solo le battute iniziali, ma, seguendo il link, potete consultarlo interamente. Credo che già da questo estratto, comunque, appaia chiaro che la legge 107, conformandosi al citato decreto, miri semplicemente a destrutturare quell'apparato di pregiudizi e stereotipi che determinano e aggravano le discriminazioni, fino alle forme di violenza, fra le quali vengono spesso citate quelle di cui sono vittime le donne, ovviamente originate dalla convinzione, ahinoi ancora molto radicata, che un individuo maschile abbia maggiori diritti e facoltà rispetto a quello femminile, che dovrebbe adattarsi a soddisfare un compagno. Alcune operazioni per fronteggiare ed erodere tali preconcetti, secondo la cosiddetta teoria gender (che, comunque, non è affatto citata dal testo i legge), risiedono nel superamento della dicotomia consuetudinaria fra ruoli maschili e ruoli femminili, che vanno dalla divisone dei compiti domestici alle differenti opporunità lavorative. Ci sono state ovviamente letture estreme di questo pensiero, ma il principio basilare è quello di sradicare dalla mente delle nuove geerazioni l'idea che vi siano strade prestabilite per soli uomini e sentieri vincolanti per sole donne, la deviazione dai quali comporta il diritto all'offesa e al maltrattamento liberi. Ricordiamo, infatti, che dalla convinzione che certe questioni siano riservate agli uomini e certi atteggiamenti devono appartenere alle donne generano il disequilibrio fra la percezione di un'assoluta autorità maschile e la sudditanza femminile che sta alla base di violenze e disagi familiari.
Che si inneggi all'abolizione dell'educazione di genere (se così la si vuol ostinatamente chiamare), essendo tali misure volte al contrasto di vere e proprie piaghe sociali, è a dir poco incivile. Facciamo la controprova, negando ciò che recita l'articolo 1.16: «Io sottoscritto xy rifiuto che nell'istituto scolastico di mio figlio si educhi alla parità tra i sessi, alla prevenzione della violenza di genere e di tutte le discriminazioni, e che si informino e sensibilizzino gli studenti, i docenti e i genitori sulle tematiche della violenza sulle donne e delle discriminazioni ecc».Siamo ancora così convinti, leggendola in questo modo, che la negazione degli insegnamenti cladeggiati dalla legge 107 sia una buona scelta? Siamo davvero pronti ad augurarci che la scuola, quale organo educativo spesso costretto anche a sopperire alle mancanze della formazione familiare, rinunci ad educare al rispetto interpersonale e all'uguaglianza fra uomini e donne? Non è forse auspicabile una sensibilizzazione che porti a superare una visione duale di compiti e ruoli cui si acompagna inevitabilmente la sanzone di obblighi su base sessuale? Ebbene, chi grida a squarciagola contro il provvedimento di legge sta sostenendo che tutto ciò è sbagliato o immorale, forse senza saperlo.
Le strutture informative e di supporto che molti prendono a riferimento (come gli organi ecclesiastici) non hanno fatto che incoraggiare la stortura, sicché siamo arrivati al punto che nel web si rincorrono allarmismi, sfilate e cortei che fanno invidia alla caccia agli untori di manzoniana memoria.Si è così diffusa la credenza, del tutto infondata, che l'educazione di genere sia un corso di avviamento alle pratiche erotiche o, addirittura, un percorso di formazione dell'omosessuale perfetto: secondo gli anti-articolo 1.16 si sta preparando un apocalittico piano di creazione di un esercito di pervertiti e gay pronti a sovvertire dalle fondamenta la società del buon costume e l'etica. Il che è come dire che sia immorale educare gli alunni, laddove non lo facciano le famiglie (il che è già di per sé molto grave) a considerare su uno stesso piano l'uomo e la donna, oltre che a rispettare qualsiasi differenza fra gli individui, ivi compresi i loro orientamenti sessuali.Ora, come dovrebbe avvenire l'educazione di genere? La legge non dice nulla più di quanto citato, motivo per cui gli allarmismi sono del tutto infondati, ma la scuola è da anni impegnata a fornire agli allievi dei corsi di educazione alla sessualità che sono cautamente regolamentati da uno standard fornito dall'OMS (che non è esattamente il primo allocco che passa per strada) che tutela la privacy, la sensibilità dei singoli e le scelte delle famiglie. Nessuno è costretto a fare alcunché. In questi corsi non si effettua alcuna iniziazione alle pratiche sessuali, all'autoerotismo o ad altre tendenze che hanno fatto circolare la voce di studenti traumatizzati e svenuti in classe: queste sono solo enormi montature di lingue lunghe e media un po'troppo facili al megafono. Come ha giustamente rilevato Dario Accolla su Il fatto quotidiano, il fraintendimento nasce dall'incapacità di distinguere l'educazione alla sessualità dalla pratica sessuale: «In altri termini: se mi spieghi come funziona l’energia atomica, non significa che poi andrò a bombardare qualche città giapponese con un ordigno nucleare». Il paragone è perfetto.
Se ciascun individuo rinuncia ad esaminare con la propria testa questioni di simile importanza ed è pronto a scatenare dies irae in nome di presunte infrazioni valoriali anziché usare lo stesso tempo che impiega per indignarsi nell'informarsi e scavare fino alla radice dei problemi, gli effetti sono devastanti: si creano inevitabilmente discriminazioni fra individui di serie A e serie B, si giustificano violenze, si mettono al bando i libri, come nell'odioso caso del neoeletto sindaco di Venezia, che ha ordinato, senza averne l'autorità, il ritiro dei libri rei, secondo lui, di ammiccare all'ideologia gender. Tutti questi comportamenti sono sintomi già visti, in passato e non certo nelle età d'oro della cosiddetta civiltà. Ricordiamoci anche a cosa hanno portato e, forse, capiremo l'importanza di coltivare un pensiero scevro di pregiudizi, facendo un favore a noi stessi e alla nostra capacità di ragionare.
C.M.