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Akira di Katsuhiro Otomo: storia di un capolavoro, dalla carta alla pellicola

Creato il 26 maggio 2013 da Lospaziobianco.it @lospaziobianco

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, uno dei manga più famosi di tutti i tempi, compare per la prima volta nel 1982 sulla rivista Yangu Magajin, trascrizione giapponese di Young Magazine, edita dalla Kodansha.
L’opera consacra il suo autore, , come uno dei più influenti fumettisti non solo del Giappone, ma del mondo intero. Egli nasce nel 1954 e la sua prima e più grande passione è il cinema, che assorbe gran parte del suo tempo libero da giovane, approfondendo soprattutto la conoscenza del cinema europeo e americano, che influenzeranno molto la sua produzione artistica successiva. Apprezza particolarmente Easy Rider di Dennis Hooper, Blade Runner di Ridley Scott e 2001: Space Odissey di Stanley Kubrick, opere che, nei suoi manga,

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saranno oggetto di ripetuti rimandi nel corso degli anni. Contemporaneamente matura un interesse anche per la scrittura e il disegno, così dopo il diploma decide di trasferirsi a Tokyo e provare a diventare un mangaka. Debutta con delle storie brevi per l’editrice Futabasha, svaria tra più generi ma la sua cifra stilistica è presto riconoscibile, sia per il tratto che per l’accurata introspezione psicologica che l’autore tiene a dare dei personaggi, sempre e comunque.

La vicenda di Akira racconta di una banda di giovani motociclisti che si aggirano nella Tokyo di un prossimo futuro post-atomico. Il gruppo di sbandati finisce casualmente al centro di una contesa fra dei terroristi e il governo, il quale a sua volta sta conducendo esperimenti segretissimi su delle persone dotate di poteri extrasensoriali. Otomo crea una realtà virtuale dove il linguaggio del cinema occidentale rincorre lo stile del manga. La finezza nella rappresentazione dello spazio è sostenuta da un solido tratto che si sofferma a descrivere minuziosamente le prospettive, le ombre e i riflessi.
Le inquadrature e il ritmo della narrazione ricordano il più classico cinema di fantascienza americano, tuttavia l’immaginario di riferimento è pur sempre nipponico, dalla realtà postnucleare fino al rapporto simbiotico fra uomo e macchina. Quest’ultimo aspetto, pur presente anche nell’universo fantastico occidentale, trova una sua più specifica connotazione nella cultura nipponica, nel manga a partire da Tetsuwan Atom di Osamu Tezuka e i robot giganti ideati da Go Nagai, fino al cinema con il film Tetsuo: the Iron Man di Shinya Tsukamoto. Un filone questo che si inserisce perfettamente nel discorso sull’ibridismo proposto dal postmoderno.

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La trasposizione di Akira a lungometraggio cinematografico di animazione avviene nel 1988, ad opera dello stesso Otomo. Il lavoro che svolge l’autore è una vera e propria rielaborazione più che una riduzione per il grande schermo. Partendo dal manga deve, per forza di cose, ridurre e togliere alcuni elementi allo scopo di rendere più saldi gli altri. Ad esempio la caratterizzazione dei personaggi che si ha nel manga, composto da più di mille tavole, non può essere riproposta appieno nel film.
Allo stesso tempo la vicenda deve,

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ridsempre per necessità, raggiungere una sua coerente conclusione. Senza trascurare che Akira è un’opera corale, ricca di sottotrame e di personaggi, in queste condizioni non è affatto semplice decidere cosa mantenere e cosa togliere. Otomo stesso cura lo storyboard che è lungo più di 700 pagine, e il film che ne risulta è lungo circa due ore. La tecnica con la quale viene realizzato Akira è a sua volta, per rimanere in tema, ibrida. Le canoniche tecniche di animazione manuale giapponese si confrontano con gli ultimi ritrovati americani, come la preregistrazione, una tecnica che consente ai doppiatori di sincronizzare il movimento delle loro labbra con quello del personaggio, conferendo una maggiore dose di realismo all’opera.

Sulla scia del manga, anche il film ottiene un buon successo in giro per il mondo. Suscita entusiasmo soprattutto fra i critici e gli appassionati del genere, in quanto Otomo è senza dubbio uno dei meno “giapponesi” tra gli autori di manga. Così come nel suo fumetto si possono riscontrare influenze occidentali, da Moebius a Giardino, senza per questo abbandonare le tecniche tipiche del manga, si può dire che attraverso l’animazione egli riesca a trasmettere tutte le sensazioni e le influenze del cinema occidentale subite in gioventù, da Fellini a Kubrick.

Oltre alla ormai sempre più evidente commistione fra linguaggi e generi, manga, cinema, fumetto occidentale, fantascienza, spionaggio, love story e road movie, il ragionamento che si propone è di come, paradossalmente, il progetto di Akira, comprensivo di manga e film, abbia conseguito il successo sperato grazie ai gusti “occidentali” del suo autore, facilmente riscontrabili sia nella forma che nel contenuto. Akira ha goduto da un lato di una buona trasposizione sul grande schermo, dall’altro di un merchandising preparato ad arte per invadere i mercati occidentali.

Questa ultima riflessione induce a considerare molto labile il confine non solo fra cinema e fumetto, ma anche fra arte e mercato. è impossibile stabilire dove inizia l’intenzione comunicativa e dove finisce la trovata commerciale.
Le produzioni giapponesi, da questo punto di vista, hanno evidentemente precorso i tempi.

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Abbiamo parlato di:
Akira Collection (6 voll.)
Katsuhiro Otomo
Panini Comics, 2012
304 pagine, brossurato, bianco e nero – 8,00€ cada.

Akira, il film
Regia di Katsuhiro Otomo
Dynit, 2010
124 minuti, colori – 16,89€

Riferimenti:
Sito ufficiale (in giapponese): www.bandaivisual.co.jp
Voce sul manga di wikipedia in inglese: Akira (manga)
Voce sull’anime di wikipedia in inglese: Akira (film)

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