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Al bridge con l’autore

Creato il 14 marzo 2012 da Marvigar4

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   Mercoledì 14 marzo alle 17.00, presso la Casermetta Porta Santa Maria delle Mura Urbane di Lucca, l’Associazione Culturale “Cesare Viviani” organizza un pomeriggio dal titolo “Tra Oriente e Occidente: Berta di Toscana e il suo tempo” a cura di Vincenzo Moneta. Saranno eseguite letture, mostrate immagini, ascoltati brani del progetto-libro che il regista-autore Vincenzo Moneta ha realizzato e proposto in varie sedi. berta

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   Una discendente di Carlo Magno: Berta di Lotaringia Contessa di Arles, Marchesa di Toscana di Vincenzo Moneta

   Berta, nata fra l’860 e l’865, era la figlia di Lotario II re di Lotaringia (825-869) e di una nobile di nome Waldrada (friedelfrau o “sposa di gioventù). Prima dell’880, Berta era stata data in matrimonio al conte lorenese Teobaldo che dopo gli sfortunati tentativi di Ugo, anch’egli figlio naturale di Lotario II e quindi fratello di Berta, per la conquista del regno del padre (880-85), aveva dovuto esulare presso il cugino Bosone di Provenza, divenendo conte di Arles. Da queste nozze nacquero quattro figli, destinati a svolgere ruoli importanti nella tormentata storia italiana di quegli anni. Ugo (nato forse nell’881), fu re d’Italia, Bosone, fu marchese di Toscana, Ermengarda, divenne marchesa di Ivrea, avendo sposato Adalberto e Teutberga che andò sposa a Guarniero di Chalons. Il matrimonio di Berta non durò molto per la prematura morte di Teobaldo (di cui non si ha più notizia dopo l’887). Rimasta vedova, Berta passò a seconde nozze con Adalberto II di Toscana, detto il Ricco, trasferendosi nella città di Lucca, allora sede dei Marchesi di Toscana. Berta svolse un’intensa attività politico-diplomatica oltre il contesto italiano ed europeo spingendosi fino alla corte di Baghdad. I marchesi di Toscana presero parte attiva al “marasma” della vita politica italiana di quegli anni, intervenendo nella disputa per l’assegnazione della corona imperiale. Lucca aveva il controllo delle vie di accesso a Roma in particolare il Passo della Cisa, chiamato allora passo di Monte Bardone, e quindi poteva interferire sull’incoronazione imperiale chiudendo il valico all’aspirante alla corona imperiale (è infatti solo il papa, comunque eletto, che può incoronare l’imperatore).

   SCAMBIO DI AMBASCERIE FRA BERTA DI TOSCANA ED IL CALIFFO DI BAGHDAD AL-MUKTAFI’

   Nell’anno 905 del calendario cristiano e anno 293 dell’Egira, Berta di Toscana scrisse al califfo di Baghdad al-Muktafì, una lettera su seta bianca inviata per mezzo di un eunuco . Nel nome di Dio Clemente e Misericordioso Dio ti guardi, o re eccellente in autorità e potente in signoria, da tutti i tuoi nemici, ti assicuri il regno, ti mantenga in salute nel corpo e nell’anima. Io, Berta figlia di Lotario, regina di tutti i Franchi, ti saluto, mio signore re. Tra me e il re dell’Ifrìquiya vi era amicizia, perché io finora non sospettavo che vi fosse sulla terra un re superiore a lui. Le mie navi essendo uscite presero le navi del re dell’Ifrìquiya[16] il cui comandante era un eunuco chiamato Alì : lo feci prigioniero con centocinquanta uomini che erano con lui su tre navi, e rimasero in mio possesso per sette anni. Lo trovai intelligente e pronto, ed egli m’informò che tu sei re sopra tutti i re, e benché molta gente fosse venuta nel mio regno, nessuno mi aveva detto il vero intorno a te eccetto questo eunuco che ti porta questa mia lettera. Ho mandato con lui dei doni di cose che si trovano nel mio paese per tributarti onore e ottenere il tuo affetto: essi consistono in :cinquanta spade, cinquanta scudi e cinquanta lance, del tipo in uso presso i Franchi,venti vesti tessute d’oro, venti eunuchi slavi e venti schiave slave belle e graziose,dieci grandi cani contro i quali non valgono né fiere né altre bestie,sette falchi e sette sparvieri, un padiglione di seta[con tutto il suo apparato,venti vesti di lana prodotta da una conchiglia estratta dal fondo del mare da queste parti, dai colori cangianti come l’arcobaleno, che cambia colore a ogni ora del giorno, tre uccelli (del paese dei Franchi) i quali se vedono cibi e bevande avvelenate gettano uno strido orrendo e battono le ali, sicché si conosce la cosa, delle perle di vetro che estraggono senza dolore frecce e punte di lancia, anche se la carne vi sia cresciuta intorno. Egli mi ha informata che tra te ed il re dei Bizantini che risiede a Costantinopoli vi è amicizia. Ma io ho signoria più vasta ed eserciti più numerosi: poiché la mia signoria comprende ventiquattro regni, ciascuno dei quali ha un linguaggio diverso da quello del regno che gli è vicino, e nel mio regno sta la città di Roma la Grande. Dio sia lodato. Mi ha detto di te che le tue cose procedono bene, riempiendo il mio cuore di soddisfazione, e io chiedo a Dio di aiutarmi a ottenere la tua amicizia e l’accordo fra noi per quanti anni io rimanga in vita: che ciò avvenga dipende da te. L’accordo è cosa che nessuno della mia famiglia, della mia parentela e della mia stirpe ha mai ricercato, né alcuno mi aveva mai informata intorno ai tuoi eserciti e all’eccellenza in cui ti trovi come mi ha informato questo eunuco che ti ho spedito. Or dunque, o signore, sia su te per l’amor di Dio la salute più grande: scrivimi intorno alla tua salute e a tutto ciò che più abbisogni nel mio regno e nel mio paese per mezzo di questo eunuco ‘Alì: non trattenerlo presso di te, affinché egli possa portarmi la tua risposta: io aspetto il suo arrivo. L’ho anche incaricato di un segreto che egli ti dirà quando vedrà il tuo volto e udrà le tue parole, affinché questo segreto rimanga tra noi, giacché non voglio che ne sia in possesso alcuno tranne te, me, e questo eunuco. La salute di Dio più grande sia su te e sui tuoi e possa Iddio umiliare il tuo nemico e farlo calpestare sotto i tuoi piedi. Salute. Questo cospicuo complesso di doni ci conferma la presenza di grandi ricchezze alla corte di Lucca e del soprannome che ne derivava ad Adalberto II di Toscana: “Il Ricco”. Il motivo per il quale l’ambasciatore Alì si trovava presso la “regina dei Franchi” era che egli, un eunuco di Ibn al-Aglahab, signore dell’Ifriquiya, era stato mandato da costui con le sue navi a compiere una spedizione contro i paesi dei Franchi e le regioni dei Bizantini ed era caduto prigioniero della “regina”, la quale se lo era riservato e lo aveva addetto alla propria persona. Rimase sette anni presso di lei e poi Berta lo mandò a Muktafì con una lettera scritta nella lingua dei Franchi. La spedizione navale contro il paese dei Franchi e le regioni dei Bizantini, considerando che le tre navi saracene erano state catturate sette anni prima dell’invio dell’ambasciatore, potrebbe essere avvenuta nell’898. Una piccola flotta mussulmana, ma di navi non mediocri, se erano armate con almeno cinquanta uomini ciascuna, si era contrapposta alla flotta Toscana. Questa è, forse, la prima menzione precisa di navi toscane in servizio di pattugliamento nel Tirreno, anche se facendo parte la Corsica del ducato di Toscana, si può dedurre che dovesse pur esistere una flotta per i collegamenti fra isola e continente. Probabilmente fra gli scopi dell’ambasceria di Berta di Toscana c’era quello di allearsi con il califfo di Baghdad, sia contro l’emiro di Cordoba, sia contro l’imperatore bizantino, tradizionali nemici di entrambi. Lo schieramento antibizantino, poi, era facilitato anche dallo stato incerto dei rapporti fra Baghdad e Costantinopoli, sempre caratterizzati da una aggressività reciproca intramezzata da qualche tregua. Il controllo politico su Roma, esercitato dal marchesato di Toscana opponeva Berta allo spirito egemonico di Costantinopoli, dato che i basilei non avevano abbandonato le loro pretese su Roma. Altro importante motivo doveva essere quello di indurre il califfo di Baghdad ad ordinare all’emiro di Sicilia, suo vassallo, o di far tregua con la corte di Lucca o comunque di concedere alle navi toscane degli “aman”, salvacondotti, che le assicurassero il viaggio a protezione delle incursione delle navi arabe. Il messaggero Alì, con la lettera di Berta, partì probabilmente dall’Italia verso la fine del 905 e giunse alla corte di Baghdad fra l’estate e l’autunno del 906. Fu un viaggio molto lungo, in quanto attraversare i domini aghlabidi nell’Africa settentrionale e l’Egitto, che si trovava allora in stato di ribellione, dovette presentare molte difficoltà. Si presentò a Muktafì mentre questi era impegnato in una partita di caccia nei dintorni di Samarra . Il governo richiese qualcuno che potesse tradurre la lettera. Vi era nell’amministrazione del guardaroba del califfo, coll’eunuco Bishr, un Franco che sapeva leggere la scrittura di quel popolo; l’eunuco lo fece venire ed egli lesse la lettera e la tradusse in greco, poi fece venire Ishaq ibn Hunain che la tradusse dal greco in arabo. Il califfo affidò la lettera di risposta all’eunuco Alì. La morte, sulla via del ritorno, del messaggero che recava a Berta la risposta di Muktafì, alla quale indubbiamente sarebbero dovuti seguire altri scambi di messaggi, fece cadere nel nulla l’iniziativa della “regina dei Franchi”. Si chiusero così, intuizioni, speranze, progetti.

   ANNI 906 – 907

   Nelle trattative per l’incoronazione imperiale di Berengario la maggiore opposizione venne da Lucca. I marchesi di Toscana temevano che l’elezione di Berengario portasse ad una limitazione dell’autonomia della marca Toscana. Il marchese Adalberto II fece occupare militarmente il Passo di Monte Bardone impedendo il passaggio di Re Berengario diretto a Roma per essere incoronato imperatore.

   Berta fiancheggiò il marito nella lotta contro Berengario mantenendo contatti con le altre donne altolocate e con i personaggi più influenti dell’epoca. Cercò a Ravenna, nella persona del vescovo Giovanni, informazioni sugli spostamenti di re Berengario, probabilmente per prevenirne le mosse. Di tutto questo abbiamo notizia in alcune lettere contenute nel “Rotolo opistografo Pio di Savoia” che raccoglie otto lettere. Dalla quarta lettera veniamo a sapere che vi era stato un forte urto tra l’arcivescovo Giovanni di Ravenna, il futuro papa Giovanni X e Berta di Toscana, superato tramite i buoni uffici di un vescovo Leone. Nella lettera diretta a Berta, il vescovo Giovanni la informa delle consultazioni che stanno avvenendo nel territorio ravennate, fra i potentati locali e i messaggeri del marchese Alberico di Spoleto (marito di Marozia), aventi probabilmente lo scopo di preparare il viaggio a Roma di re Berengario, che in quel momento si trovava a Verona.

   BERTA REGGENTE DEL POTERE MARCHIONALE

   Il 17 agosto 915 moriva il marchese di Toscana Adalberto II ed a Berta veniva affidata la reggenza del figlio Guido La morte di Adalberto II, fiero oppositore di Berengario, facilitò al re il raggiungimento del suo sogno imperiale. La via per Roma era libera. La via Francigena, con il punto nevralgico del Passo di Monte Bardone, non poteva essere sbarrata dall’erede di Adalberto II, Guido, che, anzi, dovette riconoscere ufficialmente il re e fargli atto di vassallaggio (probabilmente nel novembre, quando Berengario sostò a Lucca nel suo viaggio verso Roma, per l’incoronazione imperiale), se voleva ottenere l’investitura del marchesato. Guido accompagnò a Roma Berengario, che, nel diploma del 15 dicembre 915, lo menzionò come “filiolus noster”. Nell’anno 915 Berengario I verrà incoronato imperatore dal Papa Giovanni X.

   PRIMAVERA ANNO 920

   La rappresaglia di Berengario cade sui marchesi di Toscana: Berta ed il figlio Guido vennero tratti in arresto e tradotti in custodia a Mantova.

   Berengario tentò di eliminare, con un colpo di mano, probabilmente nel 920, la sua principale oppositrice, Berta di Toscana, prendendola sotto la sua custodia insieme al figlio Guido e traducendoli a Mantova, anche per garantirsi, una volta per tutte, la sicurezza delle comunicazioni fra le sue due capitali: Pavia e Roma. Ma Berengario non aveva potere sufficiente per continuare nel suo tentativo di esautorare i marchesi toscani. Il gesto non ebbe la forza di scuotere la fedeltà dei vassalli dei marchesi di Toscana, che si rifiutarono di consegnare la città e i castelli. Anche il vescovo di Lucca, Pietro II e i canonici della cattedrale esercitarono forti pressioni su Berengario in favore di Berta, dati gli stretti rapporti che intercorrevano fra la corte comitale ed il potere religioso lucchese. L’imperatore si risolse a rimettere quasi subito in libertà i prigionieri.

   VERONA 7 APRILE 924

   Il re e imperatore Berengario ucciso a tradimento Meno di un mese dopo la distruzione di Pavia, mentre gli Ungari si allontanavano carichi di bottino, Berengario venne trucidato a tradimento mentre, solo e senza scorta, si recava a pregare nel silenzio notturno d’una chiesa veronese. Dopo l’uccisione di Berengario Rodolfo di Borgogna fu incoronato re d’Italia. Berta ed i figli, sempre attivi nella pretesa sulla corona d’Italia per Ugo di Provenza, erano naturalmente contrari a questa incoronazione. Guido di Toscana, figlio di Berta, aveva nel frattempo sposato la patrizia romana Marozia, rimasta da poco vedova di Alberico, marchese di Spoleto. Anche la fazione romana era quindi contraria a Rodolfo di Borgogna, unita alla corte del marchesato lucchese, non solo per l’acquisita e opportuna parentela, ma per gli stessi motivi di potere.

   8 MARZO 925 – MUORE BERTA DI TOSCANA

   Berta morì a Lucca, l’8 marzo 925, senza aver potuto vedere realizzato quello che era stato il suo sogno più grande, vedere il figlio Ugo incoronato Re d’Italia. L’ennesima trama, questa volta contro il re Rodolfo di Borgogna, si andò tessendo alla corte di Lucca in favore di Ugo di Provenza. La sua riuscita portò finalmente Ugo sul trono ambito, ma Berta, la donna che con astuzia, tenacia, ostinazione, aveva più di chiunque altro lavorato a quel progetto, non ne vedrà l’esito, poiché Ugo sarà incoronato nel 926, poco più di un anno dopo la morte della madre. Morì all’età di circa sessantatré anni, pochi mesi prima che scoppiasse la rivolta che lei aveva preparato e che portò Ugo alla corona d’Italia.

   Nella cattedrale di Lucca, si trova la lapide proveniente dalla sua tomba.

   Questa tomba protegge il corpo sepolto della Contessa Berta, inclita progenie, benigna e pia, moglie di Adalberto duca d’Italia, fu anch’essa di stirpe regale e ne fu tutto l’ornamento. Nata nobile dall’eccelsa stirpe dei re Franchi, ebbe per avo proprio il re Carlo pio. Bella d’aspetto, più bella per il bene compiuto, la figlia di Lotario fu ancor più splendida per i meriti. Finché visse in questo mondo fu felice, e nessun avversario riuscì a prevalere su di lei. Con saggezza di pareri guidava molti governamenti, e sempre la grazia grande di Dio era al suo fianco. Da molte regioni venivano molti conti a cercare la sua saggia e dolce conversazione. Fu sempre per gli infelici esuli la madre più cara e sempre aiutò col sussidio i pellegrini. Questa donna risplendente come sapiente e robusta colonna, virtù, gloria, luce di tutta la patria. L’8 marzo emigrò da questa vita; viva col Signore nella pace eterna. La sua morte rattrista molti per il dolore, le genti dell’Oriente e dell’Occidente sono in lutto, ora geme l’Europa, ora piange tutta la Francia, la Corsica, la Sardegna, la Grecia e l’Italia. Voi tutti che leggete questi versi, pregate che il Signore le doni la luce eterna, e così sia. Morì nell’anno 925 dall’incarnazione del Signore.

Vincenzo Moneta


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