Lo vedo rotolarsi di nuovo Jack.E di nuovo quel viso.Magari è lo stesso viso che abbiamo tutti alla nascita ma che poi nessuno fa mai in tempo a vedere.Ché, appena arrivati, abbiamo troppa fretta di piangere.
Me la ricordo come fosse ieri Natascha.
Prima arrivò l'eco dell'abominio che aveva passato, poi un giorno arrivò proprio lei, in tv.Quella bandana viola, quel viso bello e quasi rilassato, un viso ormai pronto a raccontare l'inferno e, forse, il paradiso che ne può scaturire.3096 giorni.Gran parte dell'infanzia e tutta l'adolescenza passate in una cella.Forse ne sarebbero bastati 20 di giorni passati in quella maniera per perdere definitivamente l'infanzia e l'adolescenza, che mica son periodi temporali quelli, ma stati d'animo.Rivedo l'intervista della Joy di Room (cui presta il volto una grandissima rivelazione, Brie Larson, una specie di nuovo viso alla Holly Hunter) rivedo l'intervista e la testa mi va al volto di Natascha e alla sua bandana.Alla sua storia.
Eh, però qua, nel film, c'è Jack (di Tremblay nemmeno riesco a dir nulla, forse meriterà un post a parte).E non è una piccola differenza, ma abissale, quella, ad esempio, che passa tra ciò che poteva essere Room e quello che in realtà è.Quando sento di queste vicende ripenso che se c'è un dono sbagliato che dio onnipotente ha fatto agli uomini è proprio quello che lo contraddistingue.L'onnipotenza, appunto.C'è sempre l'onnipotenza dietro al male, sempre.Poi si unisce a cose diverse, alla pazzia, alla brama di potere, alla cattiveria, alla vendetta.Ma l'uomo che compie del male è un uomo che crede di essere onnipotente.C'è onnipotenza nel rapire una bambina di 10 anni e nel tenerla segregata in una cella privandola di tutto e violentandola.C'è onnipotenza nel comprare 1500 euro di droga in una notte (quello che guadagno in due mesi di fabbrica, e non è retorica e populismo, ma fredda e spietata realtà matematica), farsi fino a perdersi, chiamare qualcuno da uccidere per vedere che effetto può fare. E poi ucciderlo davvero, a pugnalate e martellate, travestiti persino (e se sia da donna, spazzino o super eroe poco conta). Travestiti, dettaglio non da poco conto, solo il beffardo vestito dell'onnipotenza, del menefreghismo, dell'amoralità.
Ma ci sono anche onnipotenze diverse.Ad esempio quelle che si possono creare nel rapporto tra una madre ed il proprio figlio.Delle forze titaniche, gigantesche.L'onnipotenza cattiva è quella che ti fa credere che tu puoi fare ogni cosa, senza regole.L'onnipotenza buona è quella per cui credi che non sei te che puoi fare ogni cosa, ma che sono le stesse cose che possono far tutto.E al di là di come sarebbe andata a finire la vicenda, che non viviamo in un mondo di favole, ma in quello reale dove tante cose poi finiscono male, al di là di tutto l'onnipotenza dell'amore tra Joy e Jack avrebbe battuto quella personale ed inumana del loro rapitore.Avevo già conosciuto Lenny Abrahamson nel minuscolo e tenero Garage, me lo ritrovo adesso, in un film ancora piccolo per fattezze ma gigantesco per ambizione.E trovo un'opera che sfiora la perfezione, specie per costruzione psicologica (e il merito va per forza alla Donoghue -una donna, e chi se no?- autrice del romanzo e della sceneggiatura derivatavi.Per trattare un soggetto così c'erano tre possibili strade.La drammatica, secca, fredda, alla Haneke.Quella thriller, quasi di genere.Quella lirica.Room decide di percorrerle, a fasi alterne, tutte e tre, e non sbaglia nulla in armonia e ritmo.Se c'è un difetto, ma ne parleremo poi, è nella terza via, in quella lirica.Ho già scritto tanto, perchè ci tenevo a dire due cose su contesti, episodi e tematiche più generali.Ma in realtà non ho scritto la cosa più importante, ovvero quello che in realtà è Room.E Room non è un film sulla prigionia, sul rapimento (non a caso lui, il mostro, è puro espediente narrativo da eliminare prima possibile, forse pure troppo presto). Room è il film di Jack e dei suoi mondi. Di quello che conosceva, di quello che immaginava, di quello, reale, che troverà poi.Quello che conosceva era in 9 metri quadrati, era fatto di una decina di oggetti, trattati dal bambino alla stregua di esseri umani.Quello che immaginava era un mondo magico, un mondo che esisteva solo sulla tv, non realmente fuori da quella stanza.Il cosmo fuori. E quell'uomo che ogni sera veniva dal cosmo era un uomo buono, magico appunto, uno che creava cose e le portava nel microcosmo di Jack e di sua madre.Il mondo che troverà, invece, quello reale, è il nostro.Joy dovrà prepararlo a quel mondo, le serve sia per scappare sia per non dare un trauma troppo grosso al bambino.Vero e falso, questo è vero, questo è falso, questo è vero che gioca al falso, sembra che il mondo alla fine sia tutto in questa divisione manichea. E, forse, in effetti, lo è.
Un passo indietro prima.Perchè almeno una scena mi si è conficcata nel cuore. Ed è quella di un bambino che sussurra "cinque" da dentro la sua casettina nella casettina, un armadio matrioska che gli deve celare la vista di lui. E che lo deve celare alla vista di lui."Cinque" sussurra quando quell'uomo crede che in realtà siano quattro.Con orgoglio e dolcezza lo sussurra, prima di stendersi e perdersi nell'immaginazione, una specie di labirinto del fauno, breve e bello, che dura il tempo di qualche cigolio di letto.Arriviamo ai dieci minuti centrali di Room.Qualcosa di talmente bello da fare male.Il bambino che fa le prove nel tappeto, la madre che con forza, cattiveria e fermezza deve spiegargli perfettamente cosa fare. Le urla di lui, urla di un bambino che si sta rendendo conto che questo è un gioco che a 5 anni non è giusto fare.E il tappeto che esce fuori nelle braccia di lui, e i primi spiragli di mondo, e quella musica.E quel tappeto che poi si apre.E poi niente, e poi questo.
E questa non è una scena da descrivere, non è un volto da descrivere.Lo vivi e basta, al massimo sussurri un "grazie" come lui sussurrò quel "cinque"Comincia il secondo film, quello che avrei giurato fosse tremendamente più debole di quello della prima parte.Non lo è.Trovo che in Room ci siano degli esempi di quelli che io chiamo "adulti notevoli" straordinari.Lo è la prima poliziotta, quella che con passione, amore, competenza e ben celata tensione fa le prime domande a quel bambino nato due volte.Lo è il compagno della nonna, un uomo che sa quando parlare, sa quando non parlare, sa quello che fare.C'è una sua scena che passa sottotraccia ma è di devastante importanza.Lui si accorge di Jack, usa quello che con i bambini bisognerebbe usare, il gioco.E lo porta a sè.E quei cornflakes mangiati insieme sono il ballo delle debuttanti di una nuova vita, sono il primo momento realmente voluto e vissuto senza la madre, sono la prima crepa di una corazza che non si rompeva mai.E poi c'è lei, la nonna, una donna straordinaria (interpretata in modo impressionante dalla Allen) che deve tenere tutti i pezzi insieme. E sono pezzi di un puzzle difficilissimo, fatto d'amore, rabbia, dolore, tempo, pazienza, affetto.Nemmeno l'accusa di essere stata lei la causa di tutto rompe quel puzzle che deve tenere assieme.Gli occhi di quella donna, lucidi ma fermi, rattristati ma coscienti, sono gli occhi di un mondo intero.Di un mondo buono.Poi ci sono anche gli adulti che di notevole hanno poco, il padre che non accetta un nipote generato da un mostro, un'intervistatrice che di vita capisce nulla e chissà chi altro.
Ha un difetto Room, un difetto evidente.Lo accennavo prima.Ed è un ridondante eccesso di lirismo quasi assassino.Mi riferisco alle 3,4 scene raccontate in voice off dal bambino, mezzuccio non solo sbagliato, ma inutile.Chiedo a tutti voi una cosa.C'è più bellezza e meraviglia in tutte le cose che racconta a voce off il bambino del nuovo mondo o in quei 3,4 secondi in cui, senza dir niente, vediamo il suo volto uscire dal tappeto?Non c'è nemmeno paragone.Uno di quei casi in cui il togliere dà immensamente più del dare.In questa recensione che forse pare studiata e organizzata ma che come al solito non lo è voglio rifare un altro passo indietro.E il mio ricordo va ad una madre che esce dalla stanza prigione e corre piangendo verso suo figlio.Quel figlio che con coraggio e senza fargli notare alcuna angoscia aveva consegnato nella braccia del mostro con il rischio, concretissimo, di non vederlo mai più.Non riesco a capire se possa esistere un caso nella vita in cui l'amore e l'orgoglio verso un'altra persona possano raggiungere contemporaneamente un mix tanto grande.Quel suo figlio, a 5 anni, l'ha salvata, ha salvato entrambi.Stavo arrivando al finale e mi chiedevo quale potesse essere. E mi sono stupito che quello scelto nel film fosse il migliore possibile, perfetto, l'ultimo tratto di una scrittura circolare che non avevo assolutamente immaginato.Rivedere adesso quella stanza, quel 3 metri per 3, rivederla dall'esterno e spoglia mette i brividi.E anche a livello tecnico fa pensare quanto la prima parte sia stata perfetta a muoversi in quegli spazi e a mostrarcela più grande.Il bambino saluta tutti gli oggetti, come nella prima scena.Che scrittura.
Potrei finire qua, come loro.E invece torno ancora indietro.Dopo soli 5 minuti di film mi è rimbalzato sulla testa un titolo.Dogtooth.Anche là figli cresciuti in un mondo altro, senza possibilità di conoscere quello reale.Anche lì la televisione come unico portale.Due educazioni diverse, certo, forse pure opposte.Ma due film quasi sovrapponibili in certe cose.E il regista, o chi per lui, lo sa bene, lo conosce.Ed è talmente lampante un riferimento al film di Lanthimos che quando ho visto questa scena mi è mancato il respiro, come se me l'aspettassi.Un dente staccato anche qua.E quel dente diventa simbolo di libertà, di mondo al di fuori da quello in cui qualcuno ci ha costretto a vivere.E quel fuori da raggiungere dentro un'automobile.Là un cofano che rimane chiuso, chissà fino a quando.Qua non c'è nessun cofano. solo un cassone di un pick up.C'è solo un tappeto che ci occlude la vista del mondo, del mondo vero, del mondo nuovo.Lo vedo rotolarsi di nuovo Jack.E di nuovo quel viso.Magari è lo stesso viso che abbiamo tutti alla nascita ma che poi nessuno fa mai in tempo a vedere.Ché, appena arrivati, abbiamo troppa fretta di piangere.