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Al Cinema (6): recensione "A most violent year" (1981:Indagine a New York)

Creato il 16 febbraio 2016 da Giuseppe Armellini
Cinema (6): recensione most violent yearUno strano film che è tanti generi e nessun genere.Rigoroso, onesto e impeccabile come il suo protagonista.Un tipo di cinema come lo si vede raramente.Ambientato negli esplosivi anni 80 anche se pare di trovarci, semmai, in un'epoca austera e smorta fatta di interni, tristissimi camion che trasportano carburante e gangster con la pistola nella penombra.presenti spoiler
Ma che strana cosa questo A most violent year, film incatalogabile, diverso da tutti, quasi unico nel cinema moderno.Ha dentro tutti i generi e nessun genere.Un noir dalle tinte non così fosche per esserlo davvero del tutto.Un drammatico ma con troppe concessioni alle dinamiche di genere.Un thriller che non vuole mai far vibrare troppo il "thrill".E un pò d'azione, un pò investigativo, un pò cinema di uomini e morale.Ambientato nel 1981, quello che, come il bellissimo titolo originale testimonia, è stato considerato uno degli anni più violenti di New York ( e tutto questo lo sappiamo solo dalle radio che trasmettono continuamente notizie di violenza), questo film ci catapulta, appunto, negli anni 80 dandoci un'immagine molto diversa da quella che solitamente abbiamo di quel periodo.C'è un rigore, un ingrigimento, una decolorazione di quegli anni vorticosi di videoclip, luci al neon, tecnologia esplodente.
Sembra di trovarci semmai in un'epoca austera e smorta fatta di interni, tristissimi camion che trasportano carburante e gangster con la pistola nella penombra.Pensare, ad esempio, che siamo negli stessi anni e nella stessa nazione di Joy è incredibile.Abel è un immigrato ispanico, uno che ha saputo farsi un nome nel settore del petrolio e del carburante.
Cinema (6): recensione most violent year
Una persona retta, rigorosa, onesta.E con un sogno da inseguire, quello dell'acquisto di un deposito vicino al fiume Hudson, un luogo strategico (appartenente agli ebrei) che gli permetterebbe di diventare definitivamente una potenza nel settore.Solo che tra le sue ruote non ci sono bastoni, ma tronchi di sequoia.I suoi camion vengono sistematicamente assaltati e letteralmente rubati da dei delinquenti.Gli autisti iniziano a sentirsi sempre più impauriti e sotto minaccia.La sua stessa famiglia, moglie e due bambini, riceve minacce, pure armate.La polizia non lo lascia respirare accusandolo di mille reati.Gli ebrei vogliono un milione e mezzo di dollari entro un mese per vendergli il deposito.Abel è spalle al muro, le possibilità di uscire fuori da tutte queste situazioni sono limitatissime.A meno che non inizi a giocare sporco, sporchissimo, anche lui.E invece no, e invece è proprio nell'assoluto rigore e nitore morale del protagonista che risiede la forza principale del film. Più accadono intorno a lui accadimenti da suicidio o resa incondizionata più lui prosegue dritto e lucido verso il suo sogno.Nello splendido dialogo finale lo dirà lui stesso, l'obbiettivo che aveva non è mai stato in discussione, l'unica cosa che lui doveva capire era quello di trovare la via più corretta, most right, per raggiungerlo.Quel "most right" finale è un pò la chiave di lettura di tutto in effetti.
Cinema (6): recensione most violent year
E quel most right, la via più corretta, sembra essere quella che segue anche lo stesso regista (e autore del soggetto e della sceneggiatura, notevolissima per un film che in tutto e per tutto sembra avere struttura romanzesca) che racconta questo film spogliandolo di ogni possibile orpello, con un rigore, appunto, pari a quello del suo protagonista.Regia mai invasiva, dialoghi mai troppo carichi, una ricostruzione dell'epoca, come detto, molto sul tono del grigio, sequenze d'azione perfette (straordinario l'inseguimento al camion) ma comunque sempre più verosimili che spettacolari, scrittura dei personaggi calibrata e mai macchiettistica, ritmo quasi mai frenetico.Non c'è alcuna concessione al cinema dello spettacolo in un film che invece come ambientazione e soggetto avrebbe potuto avere un ritmo cento volte più travolgente.Questo è anche, se vogliamo, il possibile limite di un film che fa di tutto per non coinvolgerti pienamente. O, se lo fa, lo fa nella maniera most right possibile.Isaac è mostruoso, talmente grande da mandare in un angolino quel fenomeno della Chastain.Sguardo fermo e risoluto, occhi e phisique du role da gangster in un personaggio però che rifugge ogni possibile mezzo illecito. La sua compostezza (contrapposta alle numerose scene di corsa) sia "fisica" che morale è così incrollabile che a volte crediamo di trovarci davanti ad un personaggio incosciente, spaesato, pazzo. I 3 giorni in più concessi dagli ebrei per trovare un milione e mezzo e quel suo ringraziarli ci sembrano lì per lì una scena da cinema, o solo un ipocrita inizio di un lungo addio senza speranza.E invece, alla fine ci accorgiamo della lucidità di Abel in ogni singola situazione, del suo essere consapevole di ogni cosa che faceva, del suo saper tenere sotto controllo tutto.Il massimo che si concede è un "non sto molto bene" risposto alla moglie dopo una giornata che avrebbe fatto impazzire o mandato in depressione qualsiasi altro essere umano.Ed è composto quando Julian scappa da casa sua e quando scappa di nuovo dai poliziotti.Ed è composto anche quando gli entra un malvivente in casa. O quando deve trattare con dei boss pericolosissimi.A me ha ricordato il personaggio di Tom Hardy nel bellissimo Locke.
Cinema (6): recensione most violent year
Ho nominato Julien, già.Probabilmente il personaggio più bello e tragico del film (e che straordinario attore il ragazzo che lo interpreta). Quasi un film nel film il suo.E Chandor lo sa benissimo, tanto da regalargli più di una scena "in solitaria", parallela alle vicende di Abel.Il primo agguato, il secondo, la sua fuga, l'ospedale, quella mente buona ed impaurita che ormai ha perso tutto e non sa più come difendersi.Un buono, come Abel (nome a caso? non credo) ma senza la forza di Abel.E allora una mente devastata e senza più speranze nel corpo di un ragazzo che faceva soltanto il suo lavoro non può reggere a quest'urto.Non può reggere il paradosso di esser stato la vittima più grande e al tempo stesso essere considerato da tutti come il colpevole.Ste cose uccidono.O se non ti uccidono da sole fanno di tutto perchè lo faccia te per loro.E nel luogo che è stato coronamento del sogno di un uomo avviene contemporaneamente l'ultimo atto della tragedia di un altro.Quando la morte arriva non è reversibile.Mica come quel piccolo foro nel silos che basta un fazzoletto per chiuderlo.Sangue e petrolio, in un finale magnifico.Gli occhi di Abel restano impassibili lo stesso.Forse perchè anche nella via più corretta le cose brutte accadono lo stesso.E' un compromesso.Come la vita del resto.
voto 7.5 - 8

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