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Al Cinema (9): recensione "El Club"

Creato il 01 marzo 2016 da Giuseppe Armellini
Cinema (9): recensione Club
L'ennesima conferma di Larrain.
Quattro preti esiliati per punizione in un paesino.
Un suicidio.
Un'inchiesta interna.
Una storia di lupi ed agnelli.
presenti spoiler molto piccoli, più grandi nel finale di rece
La sensazione, fortissima, è che il non ancora 40enne Pablo Larrain sia uno di quei registi da inserire
con tutte le scarpe nella schiera, peraltro nemmeno troppo poco numerosa, dei grandi registi contemporanei.
Cinque film in un decennio ad una cadenza quasi perfetta di uno ogni due anni.
Ne ho visto solo uno dei precedenti, il bellissimo e "importante" Post Mortem ma sono anni che ho riscontri positivissimi anche su "Tony Manero" e "No".
La sensazione, dicevo, è che questo regista non sbagli un colpo e, soprattutto, abbia molto da dire.
E se è vero che i suoi film sono impegnatissimi sia politicamente che socialmente, è anche vero che Larrain riesce (tranne, credo, in No) a parlare di certe tematiche sempre in modo molto originale.
L'uomo ossessionato da John Travolta in Tony Manero, il dattilografo di autopsie in Post Mortem e adesso il gruppetto di preti spretati de El Club.
Tre modi intimi, privati, circoscritti per affrontare invece tematiche umanamente e socialmente gigantesche.
Al Cinema (9): recensione
Se il corpo sul tavolo mortuario di Post Mortem, ad esempio, rappresentava in un certo senso una scusa per permettere a Larrain di fare l'autopsia ad un intero paese, anche il El Club le piccole vicende di questi 4 preti sono in realtà l'occasione per uno sguardo ampissimo sul mondo Chiesa.
Talmente ampio che Larrain, forse in maniera anche troppo semplicistica, "attacca" ad ogni prete una storia di Chiesa diversa, così, per poter parlare di tutto, dalla pedofilia alla corruzione, dai segreti militari inconfessabili allo smercio di bambini senza madre.
E' come se i quattro preti di El Club rappresentassero le quattro teste di un'Idra potentissima.
Siamo in un paesino cileno. In una casa vivono 4 uomini ed una donna. La loro vita è fatta di gesti rituali, i pasti, l'orto, l'allenamento del loro levriero, le corse clandestine dello stesso, poco altro.
Scopriamo quasi subito, però, che quella casa in realtà è una comunità di "esilio" per preti a cui, per vari motivi, è stato tolto il sacerdozio. Un giorno ne arriva un altro, un quinto. Non fa nemmeno in tempo ad arrivare che un suo ex chierichetto pluriabusato in passato scopre l'esistenza della casa (nessuno in paese sa chi vive là dentro e gli stessi preti non possono avere contatti con chicchessia).
Si mette ad accusarlo di tutto quello che ha subito. Il prete appena arrivato, non riuscendo a reggere psicologicamente, si spara un colpo in testa.
Arriva un sacerdote psicologo per capire cosa è successo in quel luogo. I quattro preti coprono l'accaduto (se si sapesse che avevano una pistola, ad esempio, li manderebbero via). Tutto il film racconta della convivenza tra questo nuovo giovane, affascinante prete psicologo e i quattro sacerdoti esiliati.
Chi sono realmente? Che cosa è successo?
Al Cinema (9): recensione
Larrain costruisce una drammaturgia quasi perfetta. Rischia il film a tesi, dimostrativo, ma in realtà le zone d'ombra e confuse che lo allontanano da questo tipo di operazione sono tante.
Gli stessi quattro preti, ad esempio, per gran parte del film ci sembrano completamente innocui. E anche quello che hanno fatto in passato (viene fuori piano piano da delle specie di "interviste dello psicologo) in alcuni casi non sembra così grave. Uno ha preso bambini di madri che l'avrebbero "buttati" e li ha "dati" ad altre madri che invece non potevano averne, uno ha "soltanto" omesso dei segreti militari, uno non parla, vecchio e quasi catatonico, e l'unico che sembra aver avuto a che fare con la pedofilia ha una storia confusa alle spalle. Insomma, Larrain non ci dà alcuna certezza sul lato "mostruoso" dei quattro. E anche in casa li racconta in maniera molto semplice, nessuna scena ambigua, nessuna sensazione di qualche lato oscuro.
Eppure se questi sono stati esiliati i motivi ci saranno, eccome. E solo vedere come trattano la vicenda del suicidio del nuovo arrivato ci aiuta a capire quanto siano bravi a non dire la verità delle cose.
Poi c'è lei, l'ex suora che li segue, fa loro da mangiare e li aiuta a seguire le regole. Ed è questo forse il personaggio più straordinario e riuscito del film. Una donna apparentemente semplice e "nascosta" che in realtà, a mio parere, muove i fili di tutto. Ecco, come in The Master di P.T.Anderson io ho avuto la sensazione che la vera mente di tutto sia lei. Tra l'altro l'attrice che la interpreta, Antonia Zegers, offre una prova straordinaria, secondo me di gran lunga la migliore del lotto, addirittura superiore al superbo Alfredo Castro (Post Mortem, E' stato il figlio, Desde Allà). l'attore feticcio di Larrain (ma quasi tutti gli attori di El Club sono presenti in tutti i film del regista).
Al Cinema (9): recensione
A proposito, ad un certo punto Padre Vidal (Alfredo Castro, appunto) si definisce "il re della repressione". Che buffo, potremmo affibbiare la definizione al suo personaggio in Desde Allà in maniera perfetta.
Tornando a lei, quel suo sguardo tra il tenero e il demoniaco, quel suo saper gestire tutto, quel suo mentire ancora più radicale degli altri. E la scena nel finale con Alfredo Castro...
Sì, se c'è un Diavolo in questa enclave di chiesa nascosta tra le mura di un paesino, è lei.
E perfetto è anche il personaggio del vagabondo, l'ex chierichetto abusato.
Completamente devastato nella mente, si lancia sempre in lunghissimi monologhi dove alterna minuziose descrizioni degli abusi a frasi e precetti religiosi che gli sono stati incul(c)ati, molto spesso durante gli stessi abusi. Quell'uomo è rimasto a 30 anni prima, imprigionato in un inferno da dove non uscirà più. Ed è incredibile che più volte lo spettatore si troverà addirittura a ridere delle cose che dice, di come racconti in maniera così naturale, forbita e dettagliata gli abusi. Cose terribili come il sentire che lo sperma che doveva ingoiare (scusate) era il seme del Signore diventano quasi momenti comici irresistibili, incredibile. Sembra un istrione, uno che sta prendendo in giro tutti, un comico. In realtà è un uomo finito che si trascina la vita come un pesantissimo fagotto.
Il film è tremendamente affascinante ma ad un certo punto sembra girare troppo su sè stesso. Sempre le solite cose, sempre i soliti interrogatori, nessuna svolta, nessuna evoluzione.
Al Cinema (9): recensione
Poi arriva quella notte di impressionante violenza che porta a 25 minuti finali meravigliosi, da vivere quasi in apnea (mi ha ricordato un pò Luton in questo).
E il film svolta del tutto. Ecco che le vere facce vengono fuori, ecco che i lati oscuri emergono.
Un triplo montaggio parallelo di superba enfasi (epperò che brutta, forzata e gratuita la vicenda con i surfisti... Larrain voleva solo togliere di mezzo Padre Vidal mentre gli altri facevano quello che facevano, ma scrive la cosa in maniera raffazzonatissima), il paese di notte, un pestaggio che mi ha ricordato tremendamente quello de La Zona.
Ho una sensazione molto forte.
Ed è quella che questo sia un film ancora più grande di come l'ho vissuto e percepito io.
Del resto la stessa cosa mi accadde proprio con The Master.
In questa piccola vicenda paesana, in questi personaggi, si potrebbe nascondere lo scheletro di un mostro gigantesco. Forse persino un archetipo, un modello, una base, un paradigma sul quale poter declinare mille discorsi sulla chiesa, i suoi segreti, i suoi metodi, i suoi uomini.
El Club, già.
E la sensazione che il titolo non si riferisca soltanto al piccolo club dei quattro preti ma a qualcosa di molto più grande e con molti più iscritti è forte.
Al Cinema (9): recensione
In un finale di perfezione assoluta lo psicologo va via.
Lascia ai lupi un agnello sacrificale, una tentazione, un lascito che porterà per forza a qualcosa.
Se i lupi mangeranno l'agnello saranno condannati per sempre.
Se lo lasceranno vivere e lo accudiranno, forse, la via verso la redenzione e il pentimento sarà finalmente intrapresa.
Ma come in una storia che parlava di una rana ed uno scorpione la sensazione è che la propria natura, alla fine, viene sempre fuori.
E un lupo è un lupo.
E non basta una suadente voce femminile, non basta un canto, non bastano parole di amore e pietà per togliergli dal naso l'odore della preda.
 (voto 8)

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