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Al cinema con Hunter: Porco Rosso (1992)

Creato il 17 gennaio 2014 da Exnovomen

locandina

Porco Rosso è un capolavoro. D’altronde tutto ciò che esce dallo studio Ghibli è un capolavoro o quasi. Eppure abbiamo aspettato quasi vent’anni per poterlo vedere in Italia e non è certamente la prima volta che succede. Il primo film dello studio di Miyazaki e Takahata, Laputa – Castello nel cielo, è uscito in Giappone nel 1986 e sapete quando è arrivato da noi? Nel 2004. In DVD, non al cinema! Sarà poi Lucky Red che deciderà finalmente di portarlo nelle sale, nel 2012. Kiki – Consegne a domicilio, un film del 1989, è stato distribuito per il mercato home video italiano nel 2002. Al cinema ci è arrivato l’anno scorso. Pressoché tutti i film di Miyazaki e co. fanno un enorme fatica per superare la dogana, persino La città Incantata ci ha messo 2 anni, pur vincendo un Oscar. Ma i vari dizionari, le riviste, persino il pubblico danno sempre giudizi positivi. Perché, allora, si aspetta così tanto ad importarli?

Il problema è di origine culturale e, come in ogni arte,  il cinema ne è sempre un riflesso. Noi occidentali – italiani soprattutto – siamo soliti tenere ben separati i vari aspetti della vita: c’è il momento serio e quello per divertirsi, il sacro e il profano, il bene e il male. Invece, nella cultura orientale la tendenza è di considerare ogni cosa parte di un tutto generale. Nel cinema tutto ciò si manifesta con grandi e piccole differenze: ad esempio i personaggi nella tradizione cinematografica occidentale sono sempre molto “tagliati”: quello buono, quello stupido, quello cattivo; invece nel cinema orientale è tipico avere personaggi che non riesci ad “inquadrare”: buoni per certi aspetti, cattivi per altri, stupidi per altri ancora – vedasi I sette samurai di Akira Kurosawa per un esempio pratico – e anche i generi vengono spesso mischiati. Alle volte capita che in mezzo ad un film molto profondo e realistico compaiano elementi del tutto surreali. Prendiamo La tigre e il dragone. È stato un vero e proprio blockbuster anche in Europa, ma spesso si sentiva gente commentare: “il film è bello e commovente, ma quando si mettono a volare sui tetti non lo capisco proprio”. Questo perché il cinema orientale segue regole diverse da quello nostrano.

Possiamo immaginare come sia poi difficile superare questo tipo di diversità in un ambito delicato come il “cosa far vedere ai nostri pargoli”. I film di Miyazaki sono sì diretti a un pubblico giovanissimo, sì fiabeschi in ogni aspetto, ma creati per inserire nella mente dei bambini concetti come la crescita, la metamorfosi, la determinazione e perché no? L’amore e la morte. Il tutto comunicato in modi surreali, che i genitori non capiscono. Così finisce che pochi vogliono prendersi la responsabilità di distribuire un prodotto simile e si preferisce buttarsi su qualche idiozia, di puro intrattenimento, che non ha il rischio di essere incompreso o frainteso.

E dopo la premessa veniamo al film: Porco Rosso è la storia di Marco Pagot un pilota della Regia Aeronautica che durante la prima guerra mondiale viene trasformato in un maiale antropomorfo. Con l’avvento del fascismo decide di disertare e vivere in solitudine in un’isoletta nell’Adriatico, anche se continua a mettere la propria abilità e il suo idrovolante al servizio della gente contrastando famigerate bande di “pirati del cielo”. Questi, stanchi di prendersele, ingaggeranno un pilota americano per batterlo a duello.

Essenzialmente la trama è tutta qui. Chi conosce Miyazaki sa che le sue trame, sotto l’apparenza, nascondono una vera epopea di storie, invece Porco Rosso è semplice e diretto. La sua bellezza va oltre alla storia. Partendo dal protagonista, un personaggio magnifico: rifugge la dittatura e preferisce rimanere emarginato e latitante piuttosto che rinunciare alla libertà. Ciò nonostante non è un reietto. Riesce a guadagnarsi un grande rispetto grazie alla sua bravura, dimostrando che ciò che si è, fosse anche un maiale, non determina il modo di vivere. È così carismatico da poter tenere da solo in piedi il film, ma viene affiancato da altri personaggi fantastici, come Fio, la nipote del meccanico, simbolo della determinazione adolescenziale e della voglia di superare i propri limiti fino alla perfezione.

Inoltre, tutta la pellicola è farcita di scene e siparietti colmi di significati: ricordiamo, ad esempio, quando il meccanico spiega che tutti gli operai sono scappati per cercare fortuna e chi si occuperà della ristrutturazione dell’idrovolante saranno le mogli e le sorelle degli operai, rimaste a lottare con grande forza di volontà. Un inno al femminismo immediato e commovente.

Ma ciò che rende Porco Rosso un’opera d’arte più che un cartone animato sono i disegni, marchio di fabbrica dello studio. Con poche pennellate riesce a dipingere un Italia anni ’20 da cartolina che nemmeno noi italiani siamo mai riusciti a rendere così poetica. Scenari e paesaggi degni di un acquerello di William Turner, sospesi tra sogno e realtà, capaci di dare forza alla narrazione trascinando lo spettatore in un mondo di una dolcezza incredibile. Il tutto sorretto da una colonna sonora perfetta, del grande Joe Hisaishi, che rende ancor più vero e vicino il film.

Dopo una tale presentazione ci si chiede perché non venga trasmesso in TV una sera su due, ma già il fatto che sia arrivato da noi è un segno che stiamo crescendo e che a poco a poco la nostra cultura si stia aprendo ad altri modi di considerare l’educazione e il cinema per bambini. In più qualche mese fa beccai Ponyo sulla scogliera su Rai Yoyo. Una di quelle cose che ridanno un pizzico di fiducia almeno sulla politica televisiva italiana.

Hunter Reed (Fabio Rossato)


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