Al cinema con lady m: 'hugo cabret','millennium' , 'com' e' bello far l'amore' e '40 carati'
Creato il 18 febbraio 2012 da Francy
QUATTRO FILM DA SCOPRIRE AL CINEMA QUESTA SETTIMANA!
HUGO CABRET, di Martin Scorsese, con Asa Butterfield, Ben Kingsley, Jude Law
Hugo Cabret, il protagonista, è un orfano dodicenne che vive nascosto nella stazione parigina di Montparnasse, rubacchiando qua e là per vivere. Il ragazzino si occupa segretamente di controllare il buon funzionamento degli orologi della stazione; il padre era un orologiaio provetto e, prima di morire tragicamente, ha trasmesso al figlio la passione e la perizia per questo lavoro, lasciandogli in eredità due soli beni: un piccolo taccuino fitto dei propri disegni e un automa meccanico che Hugo desidera ardentemente riparare.
Un rapido susseguirsi di eventi e vicende intricate lo porteranno a conoscere e, inizialmente, a scontrarsi con l'anziano proprietario del chiosco di giocattoli e dolciumi della stazione, che si rivelerà un personaggio chiave nell'economia del film, cioè Georges Méliès, uno dei pionieri del cinema; ad incontrare una coetanea e ad essere costretto a fuggire da un apparentemente spietato poliziotto. Ovviamente, trattandosi di un film tratto da un libro per ragazzi, alla fine tutto tornerà al proprio posto.
Questo film è una dichiarazione d'amore di Martin Scorsese (occhio, è il fotografo che immortala Georges Méliès e signora all'apice del loro successo) per la più fantastica fabbrica dei sogni che sia mai stata inventata da mente umana: il cinema. È un compendio di citazioni del peculiare linguaggio cinematografico (la lunga carrellata iniziale che saetta tra i passeggeri assiepati sul binario; il primo piano dello scorrere delle pagine del taccuino che riportano, una di seguito all'altra, tanti disegni molto simili dello stesso soggetto, creando così l'effetto "immagine in movimento", l'essenza stessa del cinema; le fughe a rotta di collo di Hugo tra la folla della stazione), di vecchie glorie della settima arte (cito alla rinfusa, come me li ricordo, Louise Brooks, Buster Keaton, Charlie Chaplin, Tom Mix, Harold Lloyd, appeso alla lancetta dell'orologio di un palazzo, che sgambetta nel vuoto in una celeberrima scena di Preferisco l'ascensore) e di sequenze entrate nella storia, non solo del cinema, come L'arrivo di un treno alla stazione di La Ciotat, dei Fratelli Lumière, anno di grazia 1895, l'atto di nascita di quella che diventerà l'arte simbolo del Secolo Breve, nonostante i Lumière stessi non ne avessero comprese le sconfinate possibilità e la considerassero niente più di una moda passeggera che presto sarebbe caduta nell'oblìo. Infatti, se i Fratelli Lumière sono gli inventori, inconsapevoli, del cinema nella sua accezione più realistica, l'altro caposaldo di quest'arte è Georges Méliès, grande cineasta francese dei primordi, che con Le Voyage dans la lune (1902), primo film di fantascienza in assoluto, diventa l'inventore consapevole del cinema fantastico come mezzo per sognare e far sognare, l'eterna scatola magica che non smette di stupirci e di coinvolgerci, diventando sempre più raffinata ed evoluta.
La più recente di queste innumerevoli migliorìe, succedutesi nel secolo e rotti di vita del cinema, è la tecnica in 3D, che qui è utilizzata con cognizione di causa, non più solo un espediente per creare meraviglia, ma un contributo sostanziale alla riuscita del racconto.
Interpreti tutti all'altezza di tanto regista, soprattutto Asa Butterfield, un viso dolce ed espressivo e intensi occhi che parlano.
Un film dal sapore vagamente retrò, che piacerà a tutti coloro, come me, che si emozionano ancora quando si fa buio in sala e attaccano le sigle un tantino roboanti delle case di produzione. GUARDA QUI IL TRAILER.
MILLENIUM - UOMINI CHE ODIANO LE DONNE, di David Fincher, con Daniel Craig, Rooney Mara, Chistopher Plummer
Riassumo brevemente la trama per dovere di cronaca e ad uso di quelle tre o quattro persone in tutto l'universo terracqueo che non abbiano idea di che cosa stiamo parlando. Il film è tratto dal primo romanzo omonimo della trilogia di Millennium, dello scrittore e giornalista svedese Stieg Larsson. Mikael Blomkvist, talentuoso ed onesto reporter di argomenti economici e giornalista investigativo di Stoccolma, si trova momentaneamente in disgrazia a seguito di una causa di diffamazione intentatagli da un faccendiere e controverso uomo d'affari e, un po' per amore un po' per forza, accetta la proposta dell'anziano magnate svedese Henrik Vanger: aiutarlo a far luce sulla misteriosa scomparsa della nipote prediletta, avvenuta durante l'annuale summit familiare, un enigma che lo ha ossessionato lungo gli ultimi quarant'anni della sua vita. L'incarico darà a Mikael l'opportunità di conoscere la quantomeno disfunzionale famiglia Vanger e di incontrare Lisbeth Salander, un'abilissima hacker dalla personalità disturbata e disturbante, che lo aiuterà a risolvere l'arcano rovistando negli armadi pieni zeppi di scheletri di uno dei gruppi familiari ed economici più potenti della Svezia.
Della serie: Parenti serpenti. Ma non serpentelli innocui, così all'acqua di rose, qui si parla di cobra, serpenti a sonagli, mamba neri, una famiglia che si rivela un vero covo di vipere. Ho ritrovato in questo film, con sommo piacere, gli aspetti che più avevo apprezzato nel romanzo da cui è tratto: prima di tutto una tesa trama thriller che si dipana come la tela di un ragno (tanto per rimanere nell'ambito degli animali più rivoltanti che rendono bene l'idea) e che avvolge, lenta ma inesorabile, i due protagonisti durante l'indagine, rivelandosi mortale solo alla fine, quando le prede iniziano a dibattersi disperatamente per liberarsi, rendendosi conto in extremis della trappola che risulterà quasi letale; in secondo luogo una dura critica sociale della realtà svedese, a prima vista idilliaca, il lato in ombra della luna del proprio paese che, evidentemente, Larsson conosceva a menadito.
Una regia nello stile tipico di Fincher, vagamente lugubre ed opprimente (presente Seven e Zodiac?), che rende il film un'opera a sé, fedele al libro nelle intenzioni, ma pur sempre un'interpretazione personale del regista, coadiuvata da una sceneggiatura di ferro (firmata da Steven Zaillian), solida e compatta, depurata da tutte le divagazioni e digressioni varie dello scrittore svedese. Soprattutto il regista è molto efficace nel rendere alla perfezione la medesima atmosfera cupa e vagamente opprimente del libro, quell'ambientazione a prima vista irreprensibile e serena nella sua agiatezza, ma in cui si sente istintivamente che c'è qualcosa che non quadra.
Rooney Mara, dando vita alla "sua" Lisbeth Salander, è stata bravissima a reggere bene il confronto con Noomi Rapace, la precedente ottima interprete dello stesso ruolo nella versione svedese della trilogia e che aveva raccolto tanti consensi. Chiaramente, entrambe le attrici sono dotate di una forte e sicura personalità, perché entrambe hanno saputo interpretare, in maniera unica e propria, la figura dolente e complicata di Lisbeth, che ha colpito così tanto l'immaginario di milioni di lettori e poi spettatori in tutta Europa. Daniel Craig, una faccia da schiaffi che è una garanzia, è un Mikael Blomkvist falsamente superficiale, macho, tenero e protettivo, benché, alla fine, i ruoli si invertano ed è lui a venire salvato dalla conturbante e pericolosa assistente che si è scelto. GUARDA QUI IL TRAILER.
COM'E' BELLO FAR L'AMORE, di Fausto Brizzi, con Claudia Gerini, Fabio De Luigi, Filippo Timi
Roma, Andrea e Giulia sono coppia sui quaranta, o giù di lì, della media borghesia, benestante, affiatata, senza particolari problemi; hanno un figlio adolescente, il classico "bravo ragazzo", afflitto dagli inevitabili problemi dell'età, per il resto niente che non giri per il verso giusto. C'è solo un "ma", piccolo, piccolo: l'attrazione fisica, il coinvolgimento sessuale, quel quid che, in certi momenti, fa dimenticare chi si è e dove si abita, niente, nisba, volatilizzato, missing in action, seppellito sotto la pietra tombale del tran-tran quotidiano. Fino all'arrivo di Max, ex compagno di scuola di Giulia, pornodivo all'apice della carriera, che, in men che non si dica, assume il ruolo di "consulente" sessuale della coppia.
Mmm, insomma, sinceramente mi aspettavo di meglio. Non che Brizzi sia mai stato un regista da urlo, anzi del genere piuttosto furbetto, direi, però alcuni dei suoi film più recenti (Ex, Femmine contro Maschi, Maschi contro Femmine) lasciavano ben sperare, sembrava sulla strada buona per diventare, se non proprio un regista memorabile, almeno un bravo artigiano. Invece, uno dei pochi aspetti positivi che gli riconosco nella regia di questo film, è di aver mantenuto il suo tocco gentile e delicato; in effetti, bisogna riconoscere che ha il pregio di non indulgere in volgarità, nonostante l'argomento si prestasse ad un umorismo un po' pesante e, benché le situazioni siano piuttosto esplicite, lo sono sempre in un'atmosfera di goliardia e leggerezza che rende tutto abbastanza divertente senza essere inutilmente osceno né tantomeno pruriginoso. Il secondo merito che concedo a Brizzi, in genere e non limitatamente a questo film, è di non atteggiarsi a grande regista ispirato, convinto di dirigere sempre capolavori. Per il resto, purtroppo, non ci siamo proprio, soprattutto per quanto riguarda la conduzione degli attori che, lasciati a loro stessi, gigioneggiano in giro per tutto il film senza concludere niente.
Cominciamo dalle signore: Claudia Gerini rifà sempre il suo solito personaggio, anche se con diverse gradazioni e sfumature, cioè la signora romana più o meno burina, ma "de core", con abbigliamento un po' vistoso (ricordate l'epocale «'O famo strano?»); Virginia Raffaele, nella parte della colf sudamericana, è sopra le righe in modo imbarazzante e Giorgia Würth, che interpreta Vanessa, la pornodiva di origine slava (prego notare i luoghi comuni), parla come una caricatura.
Passando alla parte maschile del cast, Fabio De Luigi ormai s'è specializzato in ruoli di fidanzato/marito variamente sfigato e maltrattato (tipo La peggiore settimana della mia vita) e si avvale per tutta la durata del film di un'unica espressione, quella con la faccia da cane bastonato; Filippo Timi sembra stia partecipando alla recita dell'oratorio. Gli altri soprassediamo.
Per amore di onestà, non posso dire che non scappi qualche risata, si ride moderatamente, ma le situazioni sono sempre prevedibili e mal sfruttate, nonostante fossero foriere di buone possibilità comiche.
La nostalgia canaglia picchia come un maglio attraverso i colpi bassi della colonna sonora: scena con lento in perfetto stile anni '80 su Reality (do you remember Il Tempo delle mele? con l'allora divetta Sophie Marceau, oggi "sciura" di livello) e corsa finale in decappottabile al ritmo di Love is in the Air (1978, che il Signore mi aiuti!); d'altronde Brizzi è reo confesso: «Però lo ammetto: questo côté da lacrimuccia è il mio marchio di fabbrica, a cui non posso rinunciare...» (CIAK n.° 2, febbraio 2012, pag. 27).
Ma si sa, tutti i salmi finiscono in gloria, pertanto alla fine l'amore e il sentimento vero riprendono la loro posizione di primato all'interno di un ménage di coppia, di qualsiasi età, ribadendo il loro valore aggiunto. Concludendo, un'ora e mezza di conformismo travestito da trasgressione. GUARDA QUI IL TRAILER.
40 CARATI , di Asger Leth, con Sam Worthington, Elizabeth Banks, Ed Harris
Nick Cassidy, ex sbirro, condannato ad una lunga pena detentiva per il furto di un grosso diamante, che lui giura di non aver commesso, ai danni di uno spregiudicato uomo d'affari, evade di prigione e, con l'aiuto dei familiari, ordisce un audace piano per provare la propria innocenza e, possibilmente, cercare di fregare i responsabili del suo arresto. Un'affascinante poliziotta, specializzata in negoziazioni con aspiranti suicidi, gli offrirà collaborazione e comprensione insperate.
Un discreto thriller d'azione, i caposaldi del genere ci sono tutti, senza fallo. Lo sbirro senza macchia e senza paura incastrato dai colleghi sporchi, gli sbirri corrotti fino al midollo e quelli che invece sono lì in mezzo, qualcosa non quadra, ma non si capisce bene che cosa. La poliziotta bella e brava, invisa ai colleghi maschi e maschilisti che non gliene perdonano una, l'evasione rocambolesca con inseguimento tra auto che saltano e si capovolgono come dotate di vita propria, l'effrazione del caveau superprotetto, il cavo da tagliare che non si sa mai qual è il colore giusto, il deus ex-machina che dirige l'orchestra bastardo dentro e anche fuori, più un assortimento vario di scazzottate, sparatorie, corse sui tetti e battute ciniche. Niente di nuovo su nessun fronte, però si tratta di un film divertente ed appagante per chi ama questo genere ed i suoi rassicuranti canoni.
È vero, la psicologia dei personaggi è tagliata con l'accetta, i buoni sono superbuoni e basta, i cattivi lo sono senza ritegno e senza rimorso e li sgami alla prima occhiata, chi è a metà strada alla fine si riscatta; d'altro canto, non è certo l'approfondimento psicologico il forte di questo genere di film. Si tratta del classico prodotto medio americano d'intrattenimento, di qualità sia gli apporti tecnici che quelli artistici, con qualche punta di eccellenza (Ed Harris dà vita ad una carogna coi fiocchi), senza altre pretese se non quella di regalare un momento consolatorio di relax, perché alla fine, com'è nell'ordine naturale delle cose (nei film, s'intende), i buoni stravincono, con tanto di bevuta finale in compagnia nella migliore tradizione irlandese, e i cattivi, presi in custodia da chi di dovere, si ritirano con la coda tra le gambe.
Da notare un piccolo particolare, segno dei nostri tempi: l'ormai immancabile "indignado" d'ordinanza, con barba tipo novello Messìa, che inneggia alla sacrosanta vittoria finale dei poveri ed innocenti sui ricchi e, per definizione, colpevoli.GUARDA QUI IL TRAILER.
WAR HORSE, di Steven Spielberg, con Emily Watson, Jeremy Irvine
Grande Guerra, un ragazzo, un cavallo ed un'amicizia indissolubile. Capolavoro o fiera delle banalità?
IN TIME, di Andrew Niccol, con Justin Timberlake, Amanda Seyfried
Futuro prossimo: tempo e giovinezza eterna sono le vere ricchezze, per le quali si è disposti a tutto.
ALBERT NOBBS, di Rodrigo Garcia, con Glenn Close, Mia Wasikowska
Irlanda, epoca Vittoriana. Una donna si finge uomo per poter lavorare come maggiordomo.
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