Febbre da Fieno, un film di Laura Luchetti, con Andrea Bosca, Diane Fleri e Giulia Michelini.
Camilla si innamora di Matteo la prima volta che lo vede, in controluce, mentre si chiudono le porte dell’ambulanza che l’ha soccorsa dopo un incidente in motorino. Matteo, però, pensa ancora a Giovanna, l’ex fidanzata che si è scoperta gay. Insieme, Matteo e Camilla lavorano in un negozio di modernariato e abiti vintage, il Twinkled. Con loro ci sono Stefano, il proprietario, in crisi con la moglie e con i debiti da saldare, e Franki, che scrive lettere d’amore bellissime per un uomo impossibile, perché così se non risponde “fa meno male”.
La voce narrante del film è affidata a Diane Fleri, l’interprete di Camilla, ma è Matteo il protagonista della storia, il testimone letterale (a partire da un certo punto) dell’energia che può mettere in moto il sentimento amoroso quando si fa strada, spinto dal Ponentino romano che riscrive le esistenze di chi vi si abbandona e di chi resiste, perdendo per sempre il giro in giostra.
Prodotto dalla regista, con l’aiuto dei De Angelis e della Disney Italia, Febbre da fieno è un film piccolo piccolo, senza grandi idee o dialoghi indimenticabili, ma in fondo romantico, malinconico e idealista, lontanissimo da Moccia (e basterebbe il confronto tra le colonne sonore a decretare tale distanza), meno lontano da una buona puntata di un buon prodotto televisivo.
Però la voglia di cinema c’è e si sente. Roma dall’alto, Roma dal basso, la sequenza nel museo Maxxi ancora vuoto, le panchine, le tante passeggiate che fanno Nouvelle Vague, e pongono Matteo nella condizione del flâneur ma anche di chi procede a oltranza incapace di fermarsi e vedere ciò che ha a fianco. Non si troveranno “buone cose di pessimo gusto”, né squarci cittadini periferici, tutto è un po’ troppo carino, studiato, colorato e c’è qualche ambiguità riguardo all’età dei personaggi, che talvolta appaiono più grandi e talvolta molto più piccoli di quello che sono, ma è poco disturbo, e si è comunque dentro un film che celebra l’oggetto e il costume d’annata riproponendone la modernità e esaltando il sentimento del ricordo, nel quadro di un riciclo di vita(lità), che è il motivo per cui la cesura drammatica che arriva a ¾ della durata, seppur azzardatissima, trova un senso e un tono accordati.