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Al Cinema: Recensione "Alaska" (2015)

Creato il 12 novembre 2015 da Giuseppe Armellini
Cinema: Recensione
L'ultimo film di Cupellini è un'opera a tratti bellissima ma anche piena di scelte, snodi narrativi e dinamiche che facciamo fatica a comprendere fino in fondo.
In ogni caso un film da vedere.
Buffo come uno che abita a Perugia e lavora (molto saltuariamente) alla Perugina abbia visto tutti i
film di Cupellini (sì, anche 4-4-2 di cui però ricordo pochissimo) tranne quello che proprio a Perugia e alla Perugina è ambientato, ovvero Lezioni di cioccolato.
Ma non è certo a 4-4-2 o a Lezioni di cioccolato che si rifà questo stranissimo nuovo film del regista veneto, Alaska, quanto, semmai, al notevole Una Vita tranquilla, anno 2010 e penultimo film del regista.
Curioso intanto come anche qua ci sia la scelta dell'italiano all'estero, come fu Servillo ristoratore in Germania adesso abbiamo Germano cameriere in un hotel di lusso a Parigi.
Ma, vedremo poi -sempre che mi ricordi di scriverle- non sono certo queste le uniche analogie tra i due film.
L'incipit è ottimo, notevole la scena del casting in cui ci viene presentata la bellissima Astrid Berges-Frisbey (d'ora in poi abbreviata in "lei"), una ragazza che per tutto il film faremo fatica ad inquadrare, dolcissima, tenerissima, romantica, la classica vittima designata della vita, una che sembra vivere con il dolore dentro e con un passato oscuro che non ci viene dato sapere. Ecco, il passato inconoscibile od oscuro dei personaggi è un altro punto in comune con il film precedente (avete detto anche Le Conseguenze dell'amore? ecco, quella tecnica).
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Lo è, inconoscibile, anche il passato di Fausto (un sempre ottimo Germano), cameriere dal pugno facile che incontra lei, Nadine, nel terrazzo del super albergo dove lavora. Ed iniziano 5 minuti di marpionaggio molto particolare e, alla fine, incisivo. Curioso come questo incipit sia praticamente identico a quello del bellissimo Hungry Hearts di Costanzo. Due persone, una del luogo e una straniera, (Parigi come fu Londra) che si incontrano per caso, in una situazione particolare e imbarazzante (il bagno di là, la terrazza con lei mezza nuda di qua) e solo parlandosi 5 minuti in qualche modo si troveranno legati per sempre.
Comincia così con questo particolare ma anche drammatico incontro (vedrete perchè) Alaska, un film che a tratti pare anche bellissimo ma così strano nelle sue dinamiche e nei suoi snodi narrativi che più di una volta ce ne stiamo lì, confusi, incapaci di comprendere del tutto quelle stesse dinamiche o le scelte che hanno portato a crearle.
Sì perchè questa è una sceneggiatura apparentemente molto lineare, semplice, ma in realtà troppo piena di cose, troppo piena di avvenimenti e troppo piena di andate, ritorni, assurdi ripensamenti, comportamenti insensati ed iperboli emotive di cui non riusciamo a capire la genesi.
Anche gli stessi personaggi ci paiono poco coesi, troppo variabili, inafferrabili per questo.
Per tutto il film ho creduto Fausto come uomo squallido, immorale, approfittatore. E poi in un paio di scene sembra l'opposto, così. senza sfumature.
Già all'inizio questo amore nato in 10 minuti in una terrazza e in una suite ci sembra un pò forzato, una ragazza meravigliosa che aspetta lui per 2 anni, anni in cui sin presume abbia avuto centinaia di approcci, così, forse solo per senso di colpa.
E lui che avanza su di lei pretese assurde, forse per farle acuire quel senso di colpa.
E si va avanti, con allontanamenti e ritorni, tradimenti e drammi, in una storia che ci sembra sempre verosimile sì, ma anche quasi incomprensibile a tratti.
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Alaska, come già accadde col bellissimo Nebraska. è il nome di uno stato americano che in realtà è metafora di altro. Qui è anche il nome di una discoteca sì, ma da intendere come simbolo e luccicante insegna di un possibile successo, di una possibilità, di una svolta di vita uguale a quella dell'eschimese che divenne re dopo che cadde la neve in Polinesia.
Ma la neve in Polinesia è un caso, un momento, e quando poi comincia ad esserci di nuovo sempre e solo un abbacinante sole il re è destinato a cadere.
Una storia che ha dentro tanto destino, (il loro primo casuale incontro, l'incidente, lui che conosce Sandro e la riccona, l'omicidio finale riconciliante) e che ha comunque all'interno della sceneggiatura dei piccoli passaggi notevoli, come quel sogno di maitre iniziale che dopo un percorso completamente diverso a quello previsto riuscirà a realizzarsi, come quella frase di lei "io sto bene quando tu stai male e viceversa" che diventerà vero e proprio leitmotiv di tutto il film (e forse chiave di lettura di tutto, un amore in cui non si riesce a star bene insieme o soffrire insieme è perennemente in pericolo) e con personaggi secondari, Sandro su tutti, umanamente scritti benissimo.
Una di quelle storie d'amore allo stesso tempo completamente sbagliate e distruttive ma anche indispensabili e salvifiche.
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Cupellini è bravo, la regia è attenta, la direzione degli attori ottima (tutti, veramente) e ottima è anche la sua capacità di crear tensione pure col niente, sensazione che mi aveva dato anche ne Una vita tranquilla. Il problema è che tutto il coinvolgimento intellettuale ed emotivo che il film più di una volta ti dà molto spesso scema con questa, ormai detta e ridetta, incapacità di comprendere fino in fondo quello che stai vedendo.
Per arrivare ad un finale poi che è la summa di tutti questi possibili difetti, un "turning point umano" che sembra troppo netto, troppo affrettato, in un film che fa della fretta dei cambiamenti, acuiti forse da molte ellissi narrative, un suo marchio di fabbrica.
Resta un film da vedere, e subito, qualcosa di particolare ed inconsueto.
Anche perchè è un film che, forse, potrebbe racchiudere gran parte della sua particolarità e della sua forza proprio nelle incomprensioni che ha dentro, nelle zone oscure.

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