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Al Cinema: recensione: "Arca Russa"

Creato il 21 febbraio 2015 da Giuseppe Armellini
Credo che sull'onestà intellettuale di questo blog (mia sineddoche) ci sia poco da dire, e scusate la supponenza. Ho sempre riconosciuto i miei limiti, a volte anche esagerandoli un pò.
Questo mi ha portato ad un atteggiamento a cui tengo molto, ossia quello di considerare i film che vedo sempre più grandi di me, anche quelli che valgono poco.
Questa breve prefazione per dire che Arca Russa, film enorme, è troppo più grande di me.
Credo in realtà che Sokurov in generale sia troppo più grande di me. E attenzione, a me non fa paura la complessità filmica, anzi, l'adoro (se Synecdoche New York è il mio film preferito un motivo ci sarà) ma ci sono autori che culturalmente mi sovrastano.
Leggendo la filmografia di Sokurov noto come il regista russo sia ossessionato dalla Storia, dalla Politica e da quella strana cosa che unisce questi due mondi, il Potere. Io invece amo l'Uomo. A me poco interessa del contesto storico e politico di un film, io ho bisogno di analizzare l'uomo, i suoi tormenti e i suoi comportamenti.
In Arca Russa invece di prettamente umano c'è pochissimo, questa è un'opera che racconta un intero popolo, un'intera cultura e lo fa attraverso l'arte e la storia, magnificamente concentrati in quella meravigliosa costruzione che è l'Hermitage di San Pietroburgo.
Che poi la cosa buffa è che io in realtà amo i russi, amo San Pietroburgo, ma tutto in virtù della portentosa letteratura che quel popolo ci ha regalato, letteratura che, posso dirlo, credo di conoscere abbastanza bene,
Di storia ed arte invece non so nulla.
E, lo sapete, non mi informo mai sui film che vedo (anche quando, come in questo caso, sarebbe stato importante), racconto solo il mio rapporto nudo e crudo con essi. Ed Arca Russa non è un film che vuol far cultura, ma un'opera che la cultura ce l'ha dentro, è il mezzo, non il fine.
E allora, ben sapendo che questo viaggio in piano sequenza sarebbe stato un viaggio quasi incomprensibile per me, sono partito lo stesso.
A livello cinematografico ci troviamo davanti a qualcosa di portentoso.
Qui l'unico piano sequenza con cui è realizzato il film è vero, non come in Birdman. E quello che sorprende è l'assoluta fluidità del tutto (non c'è un movimento di macchina brusco) e la naturalezza, la semplicità con cui quest'unica ripresa è stata realizzata. Non ci sembra mai di stare "dentro" a un virtuosismo (e il piano sequenza è il virtuosismo per eccellenza) ma è tutto così naturale che rischiamo di dimenticarcene più volte. In alcune sequenze, vuoi quelle in costume di massa, vuoi quelle nei corridoi o quella bellissima esterna sulla neve, c'ho visto dentro tanto Kubrick, un mix tra Shining, Barry Lindon ed Eyes Wide Shut. Anche nell'atmosfera, abbastanza straniante.
La soggettiva (ossia gli occhi della telecamera) è quella di un visitatore russo ma il personaggio principale (quello che la soggettiva/regista segue) è invece un diplomatico francese del 1700 trovatosi senza saperne il motivo dentro L'Hermitage, ai giorni nostri. In realtà, ed è questa la magia del film, è difficile parlare di giorni nostri perchè Arca Russa è un film che collassa temporalmente e unisce in un unico spazio (quello del Museo/Reggia di San Pietroburgo) varie epoche storiche della storia russa. Aggirandoci per le varie stanze il tempo va avanti e indietro e noi ripercorriamo eventi storici (bellissimo quello delle scuse Persiane), incontriamo personaggi famosi (quasi tutti i più importanti zar e zarine), oppure semplicemente stiamo ad osservare le meravigliose opere d'arte presenti.
Già, l'Arte...
In realtà Arca Russa, e il personaggio del diplomatico francese -nostro Cicerone- ce lo ricorda spesso, se dal punto di vista prettamente storico ci racconta soltanto della Russia, per quanto riguarda quello artistico ci ricorda come di russo là dentro non ci sia veramente nulla. E' come se attraverso quadri e sculture la Russia avesse voluto portare la cultura europea "dentro" di sè (tantissima Italia ovviamente). Forte nazionalismo e identità dal punto di vista storico quindi, forte apertura e spersonalizzazione da quello artistico. Il diplomatico francese, in questo, è molto duro con il popolo russo, un popolo artisticamente privo di identità che ha avuto bisogno di copiare o importare per possedere anch'esso una propria arte.
E non è un caso, credo, che nel finale il diplomatico non voglia uscire insieme agli altri, come a dire che il viaggio insieme all'Europa (e alle sue opere) finiva là, dove finisce l'Hermitage, e adesso sta al popolo russo camminare con le proprie gambe, nazione in balia delle onde del mare (l'Arca).
E mi resta un'ultima sensazione.
Quella che in un film così pregno di storia e cultura le più intense tracce d'umanità le abbia trovate non negli uomini ma nelle opere d'arte.
In quei corpi perfetti de Le Tre Grazie del Canova, nei magnifici volti di Pietro e Paolo dipinti da El Greco, nell'infantile vitalità degli angioletti ne La Venere delle Pernici di Van Dijck.
A volte l'uomo non ha bisogno di carne, sangue e ossa per manifestarsi.
Basta un pennello.

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