Magazine Cinema
Sandra viene svegliata da una telefonata.
Risponde, è turbata, va al piano di sotto.
La telecamera la segue mentre si alza, scende e poi risale ancora.
Sì, sono i Dardenne, bastano 3 minuti per capirlo.
Serve un pochino di più invece, forse vedere l'intero film, o forse parlarne anche dopo, per capire che Due giorni, una notte non è un film sulla crisi lavorativa europea o mondiale, non è un film sulla precarietà, non è nemmeno un film sulla depressione susseguente a tutto questo, no, Due giorni, una notte è un film sulla depressione.
Punto e basta.
Sandra non sta bene, è in uno di quei momenti in cui la vita l'avvolge col suo mantello nero, momenti che a volte durano pochissimo e altre volte sono invece lunghi come la vita stessa.
Deve tornare al lavoro dopo un periodo non precisato di congedo per malattia. Ma la ditta di pannelli solari in cui lavora si è accorta che può fare a meno di lei. Quindi, o la licenziano oppure la reintegrano ma a quel punto tutti i suoi colleghi dovranno rinunciare al bonus di 1ooo euro che stanno per avere. Bisogna votare, volete lei o i 1000 euro?
Risultato schiacciante, 14 a 2. Ma forse ci sono state delle pressioni, si può rivotare. Sandra ha 2 giorni per parlare con tutti:
"Lo so che quei soldi vi servono ma, vi prego, se potete lunedì mattina votate per me"
Cominciano così i due giorni e la notte (anche se in teoria di notti ne passano due) in cui Sandra va casa per casa ad elemosinare umanità, a cercare disperatamente, ma al contempo in maniera molto rispettosa e non invasiva, di convincere i colleghi di come lei sia guarita e abbia bisogno di quel lavoro.
I Dardenne si attaccano alla Cotillard (splendida, la vedi ingobbita, spenta e capisci come i grandi attori anche solo fisicamente sanno essere tali) come sempre nella loro carriera si sono attaccati ai loro personaggi.
Sandra è Rosetta, è Lorna, è Sonia, è una ragazza seguita e inseguita dal cinema, un cinema che prova a squarciare la finzione e raccontare spaccati di vita che siano più vita possibile.
Questo è grande cinema, quello della quotidianità che si fa storia, e lo fa a volte in modo universale, a volte metaforico, a volte semplicemente resta piccola storia personale, nulla più.
I Dardenne raccontano dubbi etici e morali, uomini che mettono un loro simile dietro a merdosi eppure innegabilmente importantissimi 1000 euro, uomini che, a volte, non sono malvagi, ma semplicemente vedono quella cifra come una necessità troppo impellente, come una piccola toppa in una vita che è un paio di calzoni pieno di buchi.
E forse, ma probabilmente è solo una mia lettura, i due fratelli belgi riescono a mettere dentro i 16 colleghi di Sandra una loro visione non solo politica, ma anche razziale e di sesso.
Impossibile non notare infatti come quasi tutti i sì, ossia le persone che preferiscono Sandra ai 1000 euro, siano immigrati, gente che viene da paesi con mille problemi sì, con mille difetti sì, ma che ha il concetto di fratellanza e di uguaglianza tra gli uomini enormemente più forte del nostro.
E impossibile non notare poi come le donne dicano tutte di no, e non solo le donne colleghe ma anche le mogli dei colleghi maschi.
I Dardenne, magari sottotraccia, sono spietati in queste distinzioni.
Sarà poi una donna però a perdere praticamente tutto per affetto e vicinanza a Sandra, una vicenda umana forse leggermente esasperata ma bellissima, come bellissima è la storia del giovane africano nero (credo camerunense) che si getta praticamente in pasto a un licenziamento sicuro a costo di salvare Sandra.
Gli altri, quelli del no, quelli del voglio il bonus, non sono mostri no, non sono necessariamente persone egoiste o senza cuore ma semplicemente persone a volte veramente disperate e cui la propria disperazione impedisce di vedere una cosa talmente lampante per quanto semplice, 1000 euro una tantum non varranno mai quanto un gesto di umanità e di possibile salvezza verso un loro simile, mai. Possono essere più importanti adesso ma tra un mese, tre mesi, un anno quella scelta ci perseguiterà, ci sembrerò terribilmente sbagliata.
Ma, lo dicevamo, questo è un film sulla depressione, sul mal di esistere e sul bisogno impellente di segni, di speranze, per poterne uscire.
E così la potenza di Due giorni, una notte non è nell'elemosina umana on the road di Sandra, in quella ricerca di 9 cuori, in quel disperato tentativo di salvare il lavoro, in quel tempo che passa, in quel lunedì mattina che si avvicina.
Anzi, forse questo rende tutto il film troppo ripetitivo e anche un filino prevedile, che lo sappiamo dopo 10 minuti che sarà un 8 pari, un 9 a 7, un thriller.
L'anima del film è altrove, è nel primo sorriso in macchina di Sandra mentre si ritrova a cantare con suo marito, un marito straordinario che ci rende orgogliosi di essere uomini, un sorriso così bello e apparentemente senza senso, ma così inaspettato, nuovo, che vale più di 10.000 lavori; ed è in un'altra canzone cantata nella stessa macchina, stavolta con loro c'è anche un'altra donna, una canzone cantata da tre disperati con la vita appesa a un filo, eppure esce dalle loro bocche a squarciagola, eppure gli sguardi che si incrociano valgono tanto.
E se c'era il minimo dubbio che il lavoro e la sua crisi in questo film fossero soltanto pretesto, i Dardenne ce lo tolgono in un magnifico finale.
Sandra è licenziata.
Ma ha vinto, ha stravinto.
Ha visto 8 uomini aspettarla in saletta ed abbracciarla, ha scoperto un'umanità e un affetto che forse aveva dimenticato.
E, se vogliamo, aveva salvato pure il lavoro.
Ma l'etica è una delle cose che fa più grande l'uomo e la riconoscenza le è parente di primo grado.
Sandra ha vinto su tutti i fronti, ha riscoperto sè stessa, un marito, degli amici, ha dimostrato che anche le battaglie perse in partenza possono essere vinte.
Di questo aveva bisogno, non del lavoro.
Si allontana dalla ditta avendolo perso infatti, di spalle.
E anche se le vediamo solo quelle non è difficile capire che sono le spalle di una donna che, se vuol guarire, può veramente ricominciare da adesso.
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