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Al cinema: recensione "Hunger Games"

Creato il 05 maggio 2012 da Giuseppe Armellini
leggeri spoiler
Tanti anni fa vidi un filmetto delizioso, dolcissimo, talmente originale che l'ho tenuto nel cuore da allora.
Si chiamava Pleasantville.
E parlava di due fratelli che entravano per magia dentro il televisore.
Dentro, per l'appunto, Pleasantville, una sit-com degli anni 50.
E piano piano vi portavano la vita, il colore, in un mondo altrimenti tutto in bianco e nero.
Con immensa gioia ritrovo quel regista, Gary Ross, dopo tutti questi anni, ben 14.
Io ne avevo 21 e credevo ancora che il mondo potesse colorarsi sempre di più, piano piano, ma inesorabilmente.
Forse Hunger Games strizza l'occhio a quelli che 21 anni ce l'hanno adesso, ma sarebbe un delitto pensarla così. Io mi sono perso nella storia raccontata, perso negli occhi della Lawrence (giovane attrice straordinaria), perso anche nelle banalità, nella storia d'amore adolescenziale, nelle forzature del plot (i due tributi di colore del distretto povero numero 11, il sapere già chi vinceva, il sapere già chi sarebbe rimasto per ultimo, tutto telefonato).
Mi sono perso perchè ho amato sentirmi raccontare una storia, vedere come tra rimandi e rimandi (Battle Royale su tutti ma anche Truman Show si fa sentire parecchio) c'è ancora chi ama scrivere qualcosa di diverso .
E ho amato la prima ora del film,  la magnifica e gelida scena della Mietitura con quelle giovani vite che camminano in schiera verso un destino forse terribile (forte il richiamo ai campi di concentramento), con quella specie di regina cattiva, così diversa dal suo popolo, che gioca con le loro vite cercando un consenso e un'empatia che mai avrà, con il telefonatissimo ma comunque efficace sacrificio della protagonista.
Hunger Games già, i giochi della fame, perchè il popolo in questo distopico futuro nella sua stragrande maggioranza  la fame la soffre davvero, e più sei lontano dalla capitale peggio stai (identico a In Time in questo).
24 giovani, 2 per distretto, devono partecipare a questo gioco al massacro dove solo uno vince. E' così che lo "Stato" esercita il suo Terrore, riuscendoci in pieno peraltro.
E mi è piaciuta la Parata, l'Addestramento, le Interviste.
Tutto è sfarzo ipocrita, 23 giovani moriranno ma gli abitanti di Capitol City, quegli assurdi, colorati, snob e gelidi abitanti vogliono questo, vedere dal vivo e in tv lo spettacolo della morte ( Live, per parlare di un film che ho odiato profondamente che trattava all'incirca lo stesso tema dovrebbe impallidire a confronto).
La Lawrence è meravigliosa, ha anima, ha mestiere, dà profondità al suo personaggio senza sforzo alcuno.
E il suo personaggio ti prende sin da subito, e probabilmente finirai per amarlo. La scena della dimostrazione agli sponsor in questo senso ti cattura.
Poi cominciano i giochi, per me, credo a differenza di molti, parte più debole del film.
E se avevamo ancora dubbi li dissipiamo subito, quello che poteva essere un gioco al massacro effettivamente quello è: un massacro.
In tutta la seconda parte le scene telefonate abbondano, tutto è già scritto.
Tante ingenuità è vero, ma io mi sono immerso nell'atmosfera sin dal principio e in quella sono rimasto.
Ed ho trovato splendido, forse momento emotivamente più alto del film, il saluto che la protagonista dà al distretto non suo, il distretto che aveva appena assistito alla morte di una sua giovanissima figlia.
Cinema per giovani forse, ma capace di rubare l'occhio, trattare tematiche importanti, avere dolcezza e stile dove molti altri film a lui similari hanno ammiccamenti, belle faccine e volgarità.
E il cast è da pelle d'oca con i grandissimi Stanley Tucci e Woody Harrelson su tutti.
Mi sono divertito, interessato e moderatamente emozionato.
Ho trovato lievi e non fastidiose tutte le ingenuità della trama.
Mi è sembrato un film (un libro) scritto con intelligenza e girato con classe.
Mi accontento di poco forse.
Sarà il viso della Lawrence.
Sarà che ogni tanto mentre lo vedevo ripensavo a due fratelli che coloravano il mondo.
Sarà che 21 anni si possono avere per sempre.
Finchè la vita ci dice di no.
( voto 8 )

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