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E che strana questa scelta di Garrone, regista meraviglioso che ho amato sempre ed ovunque.
Poi c'ho pensato e in effetti, forse per un caso o per una banalissima e insulsa mia intuizione, c'era qualcosa che poteva lasciar presagire tutto questo.
Ed era un continuo "allargarsi" dei suoi film, una necessità di un respiro sempre più ampio.
Dai primi due film da camera (il "mio" Garrone, quello che conosco, comincia con L'Imbalsamatore), dove in maniera sublime il regista romano nel chiuso di poche stanze e in storie intensamente circoscritte seppe parlare di ossessioni, tensioni e drammi, passò poi a Gomorra, iniziando a raccontare anche il fuori, la gente, ma sempre con un certo taglio abbastanza essenziale, claustrofobico, l'unico che poteva restituire al meglio la forza della morsa camorristica. Poi con Reality ci si allarga ancora di più, e lo fa la stessa regia, diventando più libera, più "cinematografica", in una vicenda che partiva anch'essa "solo" da Napoli sì, ma aveva la forza e la necessità di mostrarsi universale. E adesso si cresce ancora di più, aumentano gli attori, aumentano le concessioni di regia, aumentano gli spazi, e tutto questo aumentare forse aveva bisogno, per starci dentro, del genere illimitato per definizione, quello del fantasy.
E io faccio fatica a capire chi massacra il film, che già la vita è tanto difficile e piena di pensieri sul cosa è giusto e cosa è sbagliato, cosa fare e cosa non fare, e quando abbiamo delle piccole certezze tendiamo sempre a complicarci la vita. Paradossalmente la critica la capisco più con Sorrentino, regista sì oggettivamene superiore alla media (parlo proprio di mise en scene) ma che a causa di una diffusa invidia del pene (non freudiana, letterale) rende l'attacco personale alla fine abbastanza comprensibile.
Invece qui abbiamo un italiano che ha il coraggio di fare un fantasy, genere sconosciuto alle nostre latitudini, di farlo anche compiendo un'operazione culturale in fondo (recuperando fiabe seicentesche), non solo, fare un fantasy quasi privo di effetti speciali e con location vere, italiane (seconda operazione culturale) come fece in modo impressionante quel gioiello di The Fall, e noi gli diamo contro lo stesso.
Ragazzi, questo è amore per il cinema, per il racconto, per i luoghi, per la fascinazione.
E riconosciamolo cavolo perchè è una certezza, non qualcosa di opinabile.
Ecco, però, riconosciuto questo, ossia la grandezza, originalità, importanza e coraggio dell'operazione poi è anche giusto andare più nel merito, ci mancherebbe.
E, a mio parere, questo, per quanto possa essermi piaciuto, è il Garrone minore.
Credo che ci sia di base anche una mia avversione per il genere ma sta di fatto che io resto più coinvolto dalle due stanze di cui sopra che da 3 regni con tanto di boschi, strapiombi, fiumi, castelli e grotte.
Ora, come al solito, non ho ancora letto recensioni nè altro sul film, ma i rumors uno li sente e li vede anche non volendo e chi ha parlato di difetto nella frammentarietà del tutto mah, secondo me ha detto una cosa priva di senso.
Se di 50 fiabe ne prendi 3 (credo anche rimaneggiandole un pò o prendendo spunto anche da altre) come fai poi a realizzare un film perfettamente coeso e narrativamente lineare? Non lo è proprio il progetto... Anzi, secondo me Garrone riesce anche a darla questa omogeneità, intanto scegliendo tre storie
ambientate negli stessi luoghi (non è un caso che ci siano due scene di raccordo tra i tre episodi, il funerale e l'incoronazione, perfettamente plausibili) e in più lavorando su tematiche molto simili, tanto che, se volessimo, potremmo parlare di tematiche uniche per tutto il film.
Il problema semmai è alla base, ossia l'essenzialità delle storie, il loro essere tutt'altro che complesse, niente più che discrete novelle piene di passaggi molto discutibili, concessioni al non reale molto marcate e plot abbastanza basici. Incantesimi a cazzo, figli gemelli, principesse che vanno via,
qualche mostro e via dicendo, niente di trascendentale. Eppure c'è la sensazione che queste storie così poco elaborate (o elaborate in modo troppo libero, tipo il gigante che cade nello strapiombo ma non more, poi torna su e more accoltellato) nascondano una certa potenza sotto.
A me più di tutte ha colpito quella delle due sorelle perchè c'ho visto tantissimo del mondo attuale, cosa sorprendente per un testo seicentesco. La dannazione e la tenerezza del sentirsi brutti, la ricerca della bellezza, l'improvviso cambiamento psicologico che il successo estetico regala, ma anche la caducità del tutto. Ecco, sinceramente il film emozionalmente non mi ha mai coinvolto ma se l'ha fatto una volta l'ha fatto nelle tenerissima difficoltà delle due sorelle nel sentirsi brutte, il non volere farsi vedere, il loro stare nascoste sicure che il mondo fuori resterebbe orripilato, ma anche il desiderio di essere amate ed accettate.
Ed è forse proprio nel loro episodio che viene fuori prepotentemente quello che a me è sembrato il trait d'union più evidente tra i vari episodi, ossia il tema della pelle.
La pelle di lei raggrinzita, quella poi "cambiata", la pelle da scorticare della sorella, ma anche la pelle dei due gemelli albini, quella del mostro marino aperto, quella della pulce da indovinare (nella scena forse più godibile dell'intero film), quelle appese nella grotta dell'orco, c'è poco da fare, è un elemento onnipresente. Come quello del doppio o delle coppie (i gemelli, le due sorelle, ma anche la principessa e il padre, la regina e il figlio, Cassel e la sposa), il film procede quasi sempre due a due. Ovviamente ci saranno dietro letture che affonderanno nel mito ma, con me, lo sapete, non aspettatevi mai pillole culturali, solo impressioni viscerali.
Mi è piaciuta molto anche la scelta di Garrone di girare scene al confine con l'horror, perchè ho sempre pensato che questo, nelle fiabe, sia un aspetto sempre troppo poco accentuato.
In realtà registicamente Il Racconto dei Racconti non è un gioiello, ma nemmeno vuole esserlo. La forza maggiore la trae dalle straordinarie location (reali) utilizzate e dalla cura nel cercare di ottimizzarle al meglio.
Ho amato, lo ammetto, l'opaca e visivamente bellissima sequenza del palombaro e del mostro marino e tutta quella fuga dall'orco, con quei circensi che attraverso la loro arte, la fune, il fuoco, cercavano di salvare la ragazza.
Ho trovato un pò pacchiana la storia della pulce, almeno nella sua prima parte.
E questo film, che è anche un film di ritorni (il ritorno della principessa rapita dall'orco, quello della vecchia diventata giovane, quella del principe albino), un film di morte, un film di sangue e destino e un film di umanità repressa dal potere (molti personaggi non possono vivere le emozioni perchè imprigionati in un ruolo), questo film dicevamo, finisce con qualcuno lassù, più in alto possibile, in un perfetto equilibrio, al centro della corda da un lato e dell'inquadratura dall'altro.
Ancora una volta, dopo Reality, Garrone finisce un film guardando su, nel cielo.
E sotto c'è sempre qualcosa che ha a che fare con l'illusione.
Che sia una casa o un castello poco cambia.
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