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Al Cinema: recensione "Il Regno d'Inverno" (Winter Sleep)

Creato il 10 ottobre 2014 da Giuseppe Armellini
Se dovessimo scrivere a tavolino il paradigma del film mattone per eccellenza scriveremmo questo:
un film
- lungo più di 3 ore
- turco
- in cui non accade nulla
Ecco, Winter Sleep è un film di 3 ore e un quarto, turco in cui non accade nulla.
Eppure, a parte cose che non mi interessano come la vittoria a Cannes etc.., è un film che compiuto il suo percorso rivela una grandezza così evidente, oggettiva e incontestabile che per quanto tu possa aver faticato nella visione, per quanto tu possa, a tratti, esserti perso e annoiato in quel fiume impetuoso di parole, non puoi non riconoscere.
Siamo nell'impressionante, per bellezza, regione della Cappadocia, un paesaggio lunare con case costruite dentro la roccia, rocce di tufo di tutte le possibili forme, quasi un'atmosfera da film di fantascienza dei tempi che furono.
Un posto freddo, inospitale, arido.
E c'è un hotel anch'esso costruito nella roccia, un hotel fuori dal tempo ma ancora nel tempo, non come quel Grand Budapest che poi non fu più.
E in questo hotel c'è Aydin, il proprietario, sua sorella  Necia e la sua bellissima e giovane moglie Nihal.
Nessun altro, se non i due aiuti del tuttofare Hidayet e di una donna di servizio,
Il tempo è fermo.
Arriva qualche cliente, un giapponese che mastica un pò d'inglese e beve un pò di thè insieme al proprietario, un motociclista che viaggia continuamente e che non sa mai dove andrà il giorno dopo perchè "la vita è quella cosa che ti capita mentre fai progetti" e poi nessun altro.
Pochi giorni prima un bambino aveva tirato un sasso sul finestrino del furgone di Aydin.
Quel bambino è figlio di un affittuario di Aydin (che oltre l'albergo ha decine di altre proprietà),un affittuario che non può più pagare e al quale per questo motivo è stata pignorata la casa.
Per almeno 3 ore, prima del bellissimo finale, quel sasso che colpisce violentemente il finestrino sarà l'unica azione di tutto il film, l'unica volta che la pellicola ha uno scatto in avanti con qualcosa che accade e non con qualcosa che viene detto.
Perchè per il resto Winter Sleep sono solo parole.
Un film di interni, teatrale.
Winter Sleep è l'analisi spietata ma al contempo quasi tenera e dolce di 3 esistenze che si stanno svuotando chiuse in un albergo fuori dal mondo.
Winter Sleep ha la sua potenza in due dialoghi che sfidano qualsiasi regola del cinema, due dialoghi di quasi mezz'ora.
Il primo è quello di Aydin con sua sorella, una donna molto intelligente che ha da poco formulato un'interessante teoria sugli uomini:
"Non opporre resistenza al male" dice Necia, ossia il mostrarsi inoffensivi, inermi e accondiscendenti quando qualcuno perpetra una violenza, di qualsiasi tipo, verso di te.
Uccidimi, picchiami, rubami tutto, umiliami, fai quello che vuoi.
Solo così, secondo lei, il male può essere sconfitto, attraverso il pentimento che può derivare dall'inerzia della vittima.
Da una discussione su questo tema si apre una piccola frattura con il fratello che in un solo giorno diventerà voragine. Un fratello che si è accontentato di vivere, a cui basta scrivere i suoi articoli per un giornale di provincia, un fratello che non ha mai rischiato nulla, che dice la sua su tutto ma senza mai realmente prendere una posizione forte. Un uomo che al contempo pare arrogante nel suo sapere e umile nel suo essere inoffensivo. Io ho trovato magnifico il minuto di silenzio successivo alla lite, con lei, che poi, si alza ed esce fuori dalla stanza. E dal film, per sempre.
E poi c'è la lite con la moglie, stavolta dovuta a una punta di orgoglio (ma non era per orgoglio anche l'altra?) e ad un'altra punta di gelosia.
E anche qua viene fuori finalmente la verità.
Ed è una verità molto simile a quella venuta fuori nella lite precedente, ossia quella di un uomo al tempo stesso mecenate e castratore, intelligente ma stupidamente attivo, generoso ma sospettoso nell'esserlo. Un uomo probabilmente misantropo che ha trovato nella generosità verso gli altri il modo di esternare la sua misantropia e superiorità .
"Il mio regno è piccolo, ma io sono il re" riassume forse tutto, non solo il sentirsi superiore, ma anche questo suo accontentarsi.
Aydin, poi, è stato grande attore e si sa, gli attori fingono per antonomasia.
Crack, altro rapporto probabilmente rotto per sempre, il secondo su due in poche ore.
Tutto si sta sgretolando, tutti i rapporti che queste tre persone avevano fintamente e faticosamente tenuti incollati tra loro si stanno scollando.
Si sono già scollati.
E ride Aydin durante queste liti, è sempre calmo, tranquillo, educato.
Ma gli occhi stanno cambiando, la corazza ha più di una crepa.
Bisogna andar via dall'albergo, respirare un pò.
E mentre lui prova ad andar via, mentre si riscalda in quella piccola stazione noi ne approfittiamo per parlare di un film coraggiosissimo, una pellicola che ha fondamenta nelle parole, con un cast di paurosa bravura, con delle immagini che si prendono tutto quello che possono dal paesaggio che le circonda e ce lo restituiscono con una bellezza mozzafiato, nel sole e nella neve, nella pioggia e nel gelo. E nel mezzo ci sono quelle due sequenze con i cavalli, secondo me cinematograficamente le più belle. Una è quella del cavallo che non ce la fa ad uscire dal ruscello e l'altra quella in penombra al buio, bellissima, di lui che va a trovare il suo di cavallo, quel cavallo selvatico che alla fine mai uscirà, se non in un finale che diventa metafora.
Aydin non andrà via.
Perchè è vecchio, perchè è stanco, perchè ormai si dimentica sempre le cose, perchè la vita fuori da quell'albergo probabilmente gli fa paura.
E perchè ama lei.
E non importa se lei non lo ama più, lui dipende da lei e non ha la forza di fuggirle per sempre.
Intanto lei in quella che non è solo scena madre del film, in quella che non è solo, dopo 3 ore, dopo il finestrino rotto (alla quale si ricollega magnificamente), l'unica altra sequenza in cui finalmente accade qualcosa ma una delle scene più belle dell'intero anno cinematografico, lei porta i soldi di Aydin alla famiglia del bambino.
I soldi e la dignità.
Poche altre volte si era raccontato meglio questo dualismo.
Sembra di essere in un racconto di Dostoevsky o di Gogol.
C'è una casa fatiscente, due stanze e una stufa accesa.
C'è un uomo che chiamano delinquente che conta quei soldi.
Una parte ripaga la nostra dignità distrutta, una il nostro orgoglio ferito, una il mio ruolo di padre umiliato.
Ecco, torna tutto, siamo pari.
C'è il camino più in là.
E una lacrima che scorre in un viso.
( voto 8,5 )

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