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Al Cinema: recensione "Noi siamo infinito"

Creato il 18 febbraio 2013 da Giuseppe Armellini
C'era qualcosa nel trailer che mi aveva fatto pensare che non fosse il solito film per adolescenti in crescita pieni di problemi e pulsioni. Vedendo quel trailer non sapevo nemmeno che la vicenda fosse ambientata nei tardi anni 70 (e non ai nostri giorni), come a dire "siamo ancora più distanti dai teen movie di adesso". Non sbagliavo, questa pellicola ha qualcosa di speciale.
Solo apparentemente romanzo di formazione, Noi siamo infinito è più che altro un film sul desiderio di guarigione, sul superamento di un trauma, sul disperato tentativo di riuscire finalmente a provare a star bene con sè stesso stando bene con gli altri. E questi altri non per forza devono essere diversi e migliori di te, possono essere anch'essi "ragazzi da parete" (come il titolo originale richiama) perchè a volte l'importante non è l'aspirazione a, ma la magia e la comprensione del riconoscersi uguali.
C'è qualcosa di speciale perchè il film riesce a raccontare una bellissima storia di amore ed amicizia, difficoltà e gioie, complessi e vanità senza mai eccedere, mantenendo una pacatezza, una dolcezza e un basso profilo da premiare senza se e senza ma. Arrivando poi a quel bellissimo monologo finale sull'importanza della felicità anche se soltanto passeggera, sull'importanza di ogni nostro momento passato di vita anche se tale momento con il tempo rischia di diventare storia o venir dimenticato. Ogni nostra felicità in vita deve invece esser ricordata per l'importanza che aveva al momento, per l'emozione vissuta, inutile o decisiva per la nostra vita futura che sia. Tutto questo monologo in voice off  mentre Charlie si alza in piedi nel tunnel sulle note di Heroes (siamo nel 77, sarà anche per questo che sono ancora più legato al film...). Sequenza magnifica, forse un pò telefonata visto il testo del brano ma chissenefrega. Charlie in quel momento era forse per la prima volta (o seconda...) pienamente felice, senza pensieri e restrizioni, infinito.
Il capolavoro del film sta nell'aver fatto affiorare poco a poco il demone di Charlie. Non solo, per tre quarti di pellicola le sequenze della zia nel passato ci avevano fatto credere in un rapporto magnifico, sostitutivo a quello dei genitori. Sembrava che il trauma di Charlie fosse la perdita della zia e non quello che la zia facesse o il senso di colpa per l'incidente. Il montaggio parallelo (e rivelatore) tra la casta mano di Sam che tocca la gamba di Charlie e quei flash back regalano 3 minuti straordinari, tutti i nodi vengono al pettine, Charlie finalmente esce dal suo guscio e si manifesta a tutti gridandoci a bocca chiusa il suo dolore.
Tutti i personaggi principali sono raccontati con una dolcezza e tenerezza uniche, il film riesce davvero a raccontare e guardare nelle palle degli occhi quella cosa così magnifica che è l'amicizia. Nessun sensazionalismo, nessuna vicenda troppo retorica, nessuna voglia di colpire lo spettatore o divertirlo volgarmente, il tatto alla regia è ammirevole. Credo che sia uno dei rarissimi casi in cui scrittore originario, sceneggiatore e regista siano la stessa persona, non un caso perchè un film a tematiche così delicate come l'emarginazione, il lutto, la malattia e le prime pulsioni sessuali  non poteva e doveva finire in mani grossolane.
Curioso come mi sia capitato di vedere 3 film di Ezra Miller e tutti sempre legati, bene o male, alll'ambiente scolastico. Per fortuna è uscito dai terribili panni di Kevin o del ragazzo di Afterschool per vestire quelli di un ragazzo dal cuore d'oro, puro e senza sovrastrutture come pochi, capace di amare e dare anche senza ricevere. Bravissimo anche il protagonista, leggermente sotto la Watson ma anche il suo personaggio è davvero scritto benissimo.
Non è un film sulla necessaria e improvvisa maturazione di un gruppo di adolescenti,come ad esempio in Stand by me o in Mean Creek, ma sulle infinite possibilità che l'amicizia a quell'età può regalarti.
Ti può far guarire, ti può rendere felice, ti può far innamorare, ti può non far sentire quello che ogni adolescente almeno una volta si è sentito in vita sua: solo, terribilmente solo.
E sbagliato, profondamente sbagliato.
Sono quelle amicizie che ancora non devono necessariamente fare a botte con la vita di ognuno, quelle amicizie che anche quando hanno a che fare con difficoltà terribili si basano su cose leggere come una piuma, quelle cose chiamate emozioni.
Poi nella vita arriveranno le cose dure e spigolose e l'amicizia diventerà un rapporto magari ancora più forte e saldo ma annacquato, a volte stanco, a volte dovuto, a volte soltanto un ipocrita simulacro di qualcosa che nemmeno esiste più.

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