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Al Cinema: recensione "The Lobster"

Creato il 17 ottobre 2015 da Giuseppe Armellini
Al Cinema: recensione
L'ennesimo grande film di Lanthimos.
Un mondo senza più amore e affetto che ha però bisogno di dimostrare il contrario.
Lo scotto da pagare, altrimenti, è il non esser più uomini.
vado a ruota libera, consiglio la lettura post visione
Ho sempre pensato che in registi non banali ma dalla forte impronta 3 film fossero sufficienti per dare
giudizi (quasi) definitivi.
Nel caso poi di Lanthimos l'impronta è così grande, roba da Yeti, che c'è ormai veramente poco altro da capire o aspettare.
Magari ne riparleremo qui a breve ma credo che ognuno di noi abbia sì i suoi registi preferiti, ma divisi per sensazioni. C'è il regista visivamente incredibile, quello del cuore e quello della testa.
Lanthimos, e l'accendiamo come risposta, è il mio regista della testa, quello che con i suoi film (ne ho visti 3 su 4) mi dà più stimoli al cervello.
Non è un caso, e Lobster lo dimostra ancora una volta di più, che Lanthimos sia il regista che mi richiama più Saramago al mondo (anche se lo scrittore portoghese sa(peva) emozionarmi moltissimo, cosa che il cineasta greco non fa o vuole fare).
I suoi film, come i romanzi del Nobel portoghese, partono da situazioni assurde, a metà tra il grottesco e l'inverosimile.
Ma, e qui si somigliano moltissimo, questi scenari non sono o vengono visti come incredibili e non hanno nemmeno bisogno di essere evidenziati, "esaltati" (come un film di genere farebbe) o spiegati. No, sono punti di partenza che gli autori danno per naturali, uno status quo che così è se vi pare. E lo spettatore/lettore è catapultato dentro queste opere accettandone l'inverosimiglianza, dimenticandosene pure dopo poche righe o frames.
Cinema: recensione
Il mondo dentro una casa di Dogtooth, gli attori che interpretano i morti in Alps e ora la distopia del single fuorilegge che diventa bestia di Lobster (attenzione, avviso per gli animalisti, il film pone l'accento in questo abbrutimento uomo-animale, va accettato anche questo assunto) non sono altro che la cecità improvvisa, la penisola iberica che si stacca o gli uomini duplicati di Saramago.
Stavolta, se possibile, Lanthimos supera anche i confini dell'inverosimile entrando in quelli dell'irreale, con quelle metamorfosi ovidiane che sanno tanto di allegoria.
Ma del resto Lobster allegoria o metafora lo è in ogni frame.
Come giudicare altrimenti un film così?
Io credo che l'assunto iniziale non sia tanto quello dei single da bandire, educare e semmai trasformare, quella è solo l'applicazione di qualcosa di molto più profondo.
E in questo caso la "regola" iniziale che dobbiamo accettare è quella di un mondo in cui non esiste il vero amore e, forse ,nemmeno il vero affetto.
E accettando questo vi offro le mie strampalate interpretazioni.
Al Cinema: recensione
Il film ha uno schematismo pazzesco che, ma dopo forse ne parleremo, è anche uno dei suoi pochi difetti. E lo schematismo c'è anche, anzi soprattutto, in senso spaziale.
Tre luoghi, l'Albergo, il Bosco e la Città. Per una volta perdonerete l'uso della maiuscole, ci stanno.
Io credo che l'Albergo rappresenti il luogo della ricerca della propria strada, non dico di sè perchè quello di Lanthimos è un mondo dove le individualità sono annullate e tutti i personaggi, ma lo erano anche in Dogtooth e Alps, paiono automi, stupidi uomini incapaci di avere idee forti, slanci di vita o intelligenze acute.
Nell'Albergo, luogo pieno di regole (come del resto lo sono tutti e 3 i luoghi del film, a sottolineare questo ruolo di stupidi burattini umani), o accetti di diventar coppia (in quello che è del tutto e per tutto un compromesso sociale) o decidi di restare, con tutti i rischi del caso, un Solitario.
Oppure muori o diventi bestia.
E da questo luogo di mezzo, questo spartiacque che è l'Albergo, puoi andare quindi in due direzioni. O nel Bosco, simbolo dello stato naturale raccontato da Lobster, quello ossia dell'uomo visto come essere solitario, individualista e incapace di provare emozioni, oppure nella città, luogo dell'apparenza e del falso.
La città è molto simile ai social network moderni, un posto dove mostrarsi sempre felici e, soprattutto, felici in coppia.
Il mondo dell'ipocrisia, mondo nel quale però anche i ribelli del bosco ogni tanto devono andare per fingersi altro da sè.
Luoghi del dubbio, del vero e del falso quindi.
Ma nessuno è un luogo felice, nessuno un luogo autentico, sono tre piccole enclavi dove la libertà alla fine non esiste mai.
Cinema: recensione
Quelli del bosco in questa lettura rappresentano anche una specie di virus, un agente contaminante che ha come obbiettivo quello di far capire agli altri uomini quanto quello che stanno vivendo sia assolutamente falso, uno stato civile ipocrita e salvachiappe (perchè esser single è fuorilegge) che nel loro stato di natura non può esistere. A tal proposito è da leggere così la scena dello yacht e quella della pistola a salve. Piccoli gesti che mineranno per sempre la stabilità della coppia (ricorda molto Forza Maggiore in questo).
Quella di Lobster è una critica fortissima contro l'uomo.
Non esistono esseri umani buoni e giusti, o fingono oppure sono esseri individualisti completamente anaffettivi.
Anche la faccenda della "cosa in comune" (a tratti un pò deboluccia invero) è la dimostrazione di quanto poco serva per fingersi anima gemella e potersi permettere una vita "normale" in un mondo che di normale non ha nulla.
Un mondo dove la violenza è all'ordine del giorno, una violenza che, come in tutti i film lanthimosiani (e greci in generale) pare come fredda, meccanica, incapace di stupire, naturale.
Come meccanico, spento e privo di qualsiasi lato positivo è, ancora una volta, il sesso.
Ma quante cose ancora tornano del regista greco, anche piccole come lo stampo teatrale dei dialoghi, come i balli grotteschi (quello nel bosco), come la sensazione che l'uomo, nei suoi film, non abbia mai niente di autentico e vitale.
La prima mezz'ora sembrava il miglior Trier, copiato nel ritmo, nella voice off e in alcune sequenze notevolissime come la prima caccia bel bosco.
In realtà, insieme allo schematismo che fa di Lobster un film a tratti prevedibile, uguale e sè stesso e, per un bel pò, privo di intuizioni, anche e soprattutto la voce fuori campo l'ho trovata del tutto sbagliata.
E' didascalica, inutile e appartenente ad un personaggio molto importante sì, ma non di quelli che avremmo mai preso come testimone o aedo.
Colonna sonora ossessiva e disturbante, regia, come solito, fredda come quello che racconta, attori tutti in parte.
E se è vero che questo è il primo film di Lanthimos fuori Grecia (ma, attenzione, sempre in Europa siamo) e quello che per la prima volta presenta grandi nomi come Farrell (ottimo), la Weisz e la Seydoux è anche vero che ancora una volta a far macchia secondo me è la fantastica Papoulia, attrice feticcio di Lanthimos.
Senza dimenticare la bellissima Labed di Attenberg ed Alps.
Ma c'è anche Reilly, o il Whishaw di Profumo o quello che ormai sta diventando uno dei miei piccoli attori preferiti, Smiley.
Al Cinema: recensione
Tra cammelli e pavoni che un giorno furono uomini, fratelli cani barbaramente assassinati, persone che vogliono vedere Stand By Me come ultimo desiderio umano, gesti in codice nel bosco per raccontare quello che forse è l'unico vero accenno di amore, affetto o condivisione umana (ma, come la locandina che ho messo dimostra, questo affetto è quasi impossibile da vivere, negato), riferimenti a quel capolavoro che è 1984, tra la sensazione di stare vedendo un'opera a tratti quasi monumentale ma incapace di provocarti la minima emozione -a meno che non sia il disgusto per la violenza- Lobster arriva al suo finale.
L'ultimo omaggio a quel capolavoro imprescindibile che è Dogtooth.
Ancora un quadro fermo, ancora un'attesa, ancora l'andare via un attimo prima di scoprire la verità.
E se un giorno ci fu una portabagagli chiuso dove, forse, stava dentro qualcuno che per la prima volta avrebbe scoperto la vita vera adesso è un tavolo di ristorante dove forse qualcuno tornerà.
Perchè l'unica cosa in comune per stare insieme in questo mondo è l'esser ciechi.
La sapeva anche qualcun altro questa cosa, uno di cui abbiamo già parlato tante volte, anche oggi.
Si chiamava Josè.

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