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Al di là dei sogni (1998, tit. or. What Dreams May Come) di Vincent Ward è una storia d'amore toccante e piena di magia che affronta temi molto delicati: gli affetti familiari, la morte, la ricerca di un equilibrio - e soprattutto la speranza. Protagonista è Chris Nielsen (Robin Williams), un medico che sopravvive alla scomparsa dei suoi due figli, ma muore a sua volta in seguito a un incidente stradale. L'uomo, dopo il decesso, mantiene un certo stato di coscienza, tale almeno da consentirgli di cercare ancora l'amatissima moglie Annie (Annabella Sciorra), ma non la lucidità di vedere il legame che lo teneva stretto alla sua prole, alla bellissima Marie (Jessica Brooks Grant) e a Ian (Josh Paddock), adolescente alto e robusto, di inaspettata fragilità. Accompagnato prima dall'angelo custode Albert Lewis (Cuba Gooding jr.), poi da un severo maestro neuropsichiatra (Max von Sydow), Chris raggiunge l'inferno - novello Orfeo - per riprendersi la moglie e portarla laddove si auguravano entrambi di morire, su un mare di commossa tranquillità:
Volevo soltanto invecchiare insieme a te, come due vecchie tartarughe che ridono contandosi le rughe.
Se da un punto di vista puramente immaginifico, la visione di Al di là dei sogni è davvero magnifica, la sceneggiatura di Ronald Bass sul romanzo omonimo di Richard Matheson, a dire il vero, soffre di qualche incertezza; quasi ridondante nell'affrontare il vissuto emotivo e sentimentale dei singoli personaggi (e in particolare del protagonista), lascia un po' in ombra - e talvolta proprio offusca - i rapporti interpersonali. Questi, più che mancare di perspicuità, difettano in compiutezza, sembrano schizzati in un impeto di gioia da un artista troppo preso a ricreare l'insieme. Quasi a parafrasare La tempesta di Shakespeare, i personaggi sono fatti della stessa sostanza dei sogni, inafferrabili ed eterni.
In più, si affrettano tutti a filosofare, a ricercare verità, a parlare senza dire o dire senza affermare, in un tono quasi profetico che qua e là lascia perplessi: più che suggestivo, Al di là dei sogni è, così, stimolante e tuttavia il suo tono aforistico, troppo concettoso, risulta incapace di definire un'interpretazione organica dell'esistenza. Rimane, dunque, la dimensione figurativa, la superba rievocazione dantesca dell'inferno, di lucidità a tratti "filologica", il tutto in un orizzonte visivo nuovo meritevole (più di tre lustri dopo) delle più belle sale cinematografiche. D'altra parte, accanto a quest'estro di rielaborare il mondo ultraterreno, mi sembra che sia la tenacia dei protagonisti a rimanere nel cuore degli spettatori. È forse la giovanissima Marie a sintetizzare meglio di chiunque altro l'incantevole sfida che sta alla base di questo film: mentre è impegnata ancora una volta in gare notturne con il padre, la ragazzina dice di voler giocare finché non vince.
La paura di esaurirsi, la paura che ha Annie di rimanere sola in un mare di facce sprofonda in questa ricerca della pace, di un porto sicuro dal quale partire: nessuno rincorre qui una fantomatica "felicità", una dimensione ulteriore, meno che mai metafisica. Si lotta e si ama per questo mondo, nei suoi orizzonti più privati. Si insegue ciò che si immagina, si insegue ciò che si crea, si insegue ciò che si è, fino in fondo all'angolo che riserviamo alla nostra segreta, placata, sorridente solitudine.
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