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Il secondo viaggio di Medici Senza Frontiere nei nostri centri per migranti
“Fino al 1992 a Milano c’era uno zoo. Qualcuno ha poi detto, giustamente, che gli animali non potevano essere trattati in quel modo. E lo zoo è stato chiuso. Nel 1999, in gennaio, sette anni dopo, lo zoo è stato riaperto. Nella stessa città. Non conteneva più animali. La legge lo vietava. Conteneva uomini e donne, ragazze indifese e perfino vecchi malati. Una grande gabbia all’aperto….” Si apre così la prefazione del giornalista Fabrizio Gatti al secondo rapporto di Medici Senza Frontiere (MSF) sui centri per migranti, presentato nei mesi scorsi. Un secondo viaggio attraverso tutto il territorio italiano all’interno dei CIE (Centri d’identificazione ed espulsione), i CARA (Centri d’Accoglienza per Richiedenti Asilo) e i CDA (Centri d’Accoglienza). Un’indagine nata dalla necessità di seguire e raccontare il destino di una popolazione purtroppo invisibile e spesso non rispettata. Già nel corso del 2008 e poi nell’estate del 2009 due equipe di MSF composte da dottori, infermieri, operatori sociali e mediatori culturali hanno visitato un vasto campione di centri per verificarne le condizioni e gli eventuali miglioramenti effettuati a seguito dell’estensione da 2 a 6 mesi del periodo massimo di trattenimento all’interno dei CIE e la feroce interruzione degli arrivi di migranti via mare, seguita agli accordi tra il governo italiano e quello libico. Il bilancio parla chiaro. Mancanza di protocolli d’intesa tra i centri e il Sistema Sanitario nazionale, insufficiente assistenza sanitaria, legale, sociale e psicologica, diffusi episodi di malessere tra i trattenuti spesso destinati a sfociare in atti estremi di autolesionismo, risse e ribellioni. Non da ultimo, sono stati ripetutamente denunciati episodi di violenza sessuale, su alcune donne presenti all’interno del CIE di Milano. “Il sistema di questi centri per migranti, appare in larga parte inefficiente e al contempo inefficace – ha spiegato Antonio Virgilio, capo missione MSF-Missione Italia – i servizi erogati sono spesso scadenti e non si riesce a garantire una effettiva identificazione, protezione e assistenza dei soggetti vulnerabili, parte consistente della popolazione ospitata. A tutto questo vanno aggiunti episodi di violenze e abusi, avvenuti all’interno dei centri, riportati da organi di stampa.” Ancora oggi la gestione di queste strutture, nonostante siano state istituite ormai da più di un decennio, segue un approccio emergenziale, in vasta parte lasciato alla discrezionalità degli enti gestori, situazione ancor più aggravata dalla mancanza di trasparenza verso l’esterno. E’ sufficiente l’autocertificazione a simulare garantite condizioni che rispettino la salute e la dignità di queste persone. Stranieri, esseri umani spesso in fuga da realtà di guerra, povertà estrema, dittature, conflitti e costretti a diventare invisibili, sfruttati ed emarginati in un paese democratico, il nostro. Nel 2010.
©Alessia Arcolaci
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