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“Al di là dell’infinito”, esordio letterario di Marina Lovato – recensione di Cristina Biolcati

Creato il 18 agosto 2013 da Alessiamocci

Molti riconoscimenti, menzioni d’onore e poesie pubblicate in diverse antologie caratterizzano l’excursus artistico di Marina Lovato, giovane poetessa nata nel 1986 ad Arzignano, in provincia di Vicenza. “Al Di Là dell’Infinito“ però, pubblicato nel maggio del 2013 da Ego Edizioni rappresenta il suo esordio letterario.

“Al di là dell’infinito”, esordio letterario di Marina Lovato – recensione di Cristina BiolcatiL’opera che la giovane autrice dedica alla madre, si compone di 41 liriche che toccano varie tematiche. Una breve ed intensa raccolta di momenti esistenziali che vede un filo conduttore nell’idea dell’amore percepito come assenza, come ricordo, che porta inevitabilmente ad interrogarsi su ciò che va oltre, l’infinito, appunto.

Commovente la dedica alla madre, dove Marina, una giovane donna non più bambina, dichiara: “Ho guardato, per la prima volta, oltre lo scuro ombretto / e quelle labbra fine sporche di rossetto…”.  È ciò che accade ai figli. Si cresce pensando che tutto sia dovuto, sia normale, finché non ci si sofferma ad analizzare la figura dei propri genitori, e lì li vorremmo ringraziare per tutto quello che hanno sempre fatto per noi e a cui non abbiamo mai dato merito. Ne esce un ritratto di una donna che ha saputo superare le sofferenze della vita e che ha combattuto per tenere unita la sua famiglia.

Per Marina scrivere è una necessità, “È far l’amore con le parole / e desiderare l’ultimo punto, / l’orgasmo finale”, sono i suoi versi nella poesia Amore segreto. L’amore segreto dell’autrice è la scrittura, la poesia, in particolare, vista come modo per esorcizzare la paura di fallire e ritrovarsi sempre a dover ricominciare.

L’autrice parla spesso dell’autunno, associato a malinconia, a nebbia che dà angoscia, cielo grigio, portatore di solitudine sconosciuta, di stagioni che cambiano come l’amore. Perché amore e felicità non sono mai duraturi, bensì anelati, agognati e infine, ritrovati. Si avverte speranza nelle poesie della Lovato, una speranza che salva dal dolore.

“Al di là dell’infinito”, esordio letterario di Marina Lovato – recensione di Cristina BiolcatiLa poetessa parla spesso di Dio, concepito anch’esso in una visione di morte che accompagna le cantiche. In Avvicinarsi a Dio si legge: “Sistemo un fiore in cimitero / nasce, in me, un dolce pensiero / simile quasi a un desio / questo è il luogo più vicino a Dio”.
Anche la forma non conta, l’importante è il concetto, il messaggio, anzi, a volte i versi sono volontariamente “disordinati” e ribelli, come accade in Denuncia Italiana; oppure in Albero di Natale, dove le parole della poesia lentamente compongono la figura di un abete natalizio.

Suoni onomatopeici di tocchi di campane sono spesso citati nelle liriche, un’ossessione per l’ora che cambia, muore e tutto diventa buio, come in È mezzanotte, dove Marina dice: “Tutto è chiuso, tutto è soffocante / di tante cose care nulla è più rassicurante”. Anche la figura della neve torna spesso, una neve che appare leggera, bianca, che va a coprire ogni cosa. Un gelo esterno che sembra scaldare il cuore.

Le foto appaiono ormai sbiadite, l’immagine di se stessa sembra alienata, il tempo passa. La poetessa si lascia cullare dai suoi pensieri, dalle paure, dalle passioni, ma ecco che la speranza ritorna, sempre. Torna nelle liriche dedicate ai bambini, come in Fiore: “La mamma lo abbraccia e gli sussurra parole d’amore / lui è la vita, è il suo fiore”. O ancora ne La poesia dei Bambini: “Buongiorno bambini! / Rulli, trombe e suon di violini! / Oggi siete assieme per fare un gioco / e non è mica cosa dappoco”.

Il poeta è un’anima incompresa, un essere solitario, condannato a vivere della sua passione, come si evince ne Il segreto del poeta: “Solo con il corvino come meta / è la figura del maledetto poeta”. Marina s’interroga su questa meta. Esiste una meta? Ci arriveremo mai? Oppure dobbiamo accontentarci di ciò che abbiamo e godere di questo?

L’autrice descrive il dolore perché la felicità la vive. Ne La condanna essa ci spiega che ascolta ma non parla. Comunica con la penna, creando mondi irreali su istanti reali. Sono tutti attimi infiniti nel tempo e se riuscissimo ad andare al di là di questo infinito, a coglierne il senso, avremmo trovato la chiave, riusciremmo a dire addio a questi momenti che invece rimangono.

La paura blocca l’autrice, il suo è un “tormento color corvino”. Tutto confluisce nel ricordo nostalgico della mente, perno attorno al quale ruota l’intera silloge. Nella poesia la Lovato si sente al sicuro, come se nel ricordo trovasse il suo intimo senso di pace.

La penna del poeta compie un viaggio inaspettato nell’infinito” si legge in Solo di notte.
Paura di essere incompresi, di non comprendere, che si placa nella scrittura, perché si ama ciò che si scrive e le parole non muoiono mai. Vanno al di là dell’infinito, appunto.

E con la figura di Ulisse, viaggiatore per eccellenza, termina la silloge di Marina Lovato. Anche lei ha dovuto compiere un lungo viaggio per ritrovare se stessa. Sola e timorosa ha “scandagliato” i meandri della sua anima.

Written by Cristina Biolcati


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