di Giuseppe Pesare
Non sono propriamente culturali le resistenze che negano il riscaldamento globale
AL GORE – Il mondo che viene. Sei sfide per il nostro futuro (Rizzoli, Milano 2013;
«Quali sono i motori del cambiamento globale?». Il Premio Nobel per la pace Al Gore, con Il mondo che viene. Sei sfide per il nostro futuro (Rizzoli, Milano 2013; The Future il titolo originale), offre un’analisi di sei grandi trasformazioni globali, sei “sfide” che attendono scelte decisive: l’emergere di un’economia globale sempre più interconnessa; l’intensificarsi delle comunicazioni digitali; la ridefinizione degli equilibri politici, economici e militari; la crescita sempre più insostenibile della popolazione e del consumo di risorse; lo sviluppo della genomica, delle biotecnologie e della scienza dei materiali; gli effetti dell’attività umana sui sistemi naturali, con particolar riferimento al cambiamento climatico e alle sue conseguenze.
Il libro è incentrato più sulla descrizione dei mutamenti – ricca di esempi e di riferimenti a dati e ricerche – che sulla definizione puntuale di “ricette” (sebbene non manchino principi e indicazioni generali). Naturalmente, in linea con la sensibilità più volte dimostrata da Gore per il tema del cambiamento climatico, alle questioni ambientali è riservata un’attenzione particolare.
Gore descrive accuratamente i meccanismi che sono alla base del riscaldamento globale e delinea, con numerosi esempi, il quadro delle conseguenze dell’aumento della temperatura: dai fenomeni meteorologici estremi ai danni alla produzione agricola, dallo scioglimento dei ghiacci artici all’innalzamento delle acque, dalla desertificazione alla scomparsa di molte specie animali e vegetali.
Gli scenari mostrati da Gore sono a dir poco inquietanti, ma l’autore mostra di riporre fiducia nell’uomo, nelle scelte per mezzo delle quali disegnerà il suo futuro. Non è ancora troppo tardi per compiere le scelte più sagge: «abbiamo la capacità di iniziare a risolvere la crisi climatica, ma solo se apriamo gli occhi davanti alla realtà delle circostanze e decidiamo che salvare il futuro della civiltà umana è una priorità assoluta» (p. 388).
La crescita di consapevolezza da parte del pubblico e degli attori politici deve però fare i conti con il fenomeno del “negazionismo climatico”, con l’atteggiamento di chi mette in dubbio che vi sia un nesso tra attività umana e riscaldamento globale, nonostante il consenso ormai assoluto della comunità scientifica internazionale sulla responsabilità umana del cambiamento climatico. Quello del negazionismo è un fenomeno che alcuni, forse con troppo ottimismo, ritengono ormai debellato[1], ma che per Gore è ancora forte e pericoloso per la sua influenza sull’opinione pubblica e sui decisori politici: «l’assalto dei negatori al futuro del nostro mondo continua» (p. 436).
La capacità del movimento negazionista di rallentare le politiche ambientali spinge Gore a studiare analiticamente cause e caratteristiche di quest’atteggiamento, il cui fondamento viene individuato nell’interesse economico delle grandi multinazionali del petrolio, del carbone e del gas, minacciato da ogni azione finalizzata alla riduzione delle emissioni nocive: «potenti corporation che hanno interesse a ritardare qualunque tipo di intervento hanno sperperato soldi in una campagna cinica e disonesta per distorcere l’opinione pubblica, seminando falsi dubbi sulla realtà della crisi climatica» (p. 429). Si tratta di una massiccia e sofisticata “campagna di inganni” che si avvale di esperti finanziati ad hoc, “bugiardi a noleggio” (p. 440) incaricati di diffondere ipotesi alternative prive di base scientifica (per cui, ad esempio, il riscaldamento globale sarebbe il risultato di un ciclo naturale, oppure sarebbe già stato fermato da diversi anni, ecc.). Questa campagna si propone anzitutto di manipolare la percezione pubblica del problema, anche attraverso l’accesso agli organi di informazione: i quali, versando in difficili condizioni economiche, ricevono finanziamenti da parte delle compagnie di combustibili fossili, accettando di veicolare messaggi negazionisti. In secondo luogo, le stesse compagnie incidono sui processi decisionali attraverso l’attività di lobbying e finanziando le campagne di candidati di ogni parte politica.
È proprio lo stallo della politica, indotto da potenti portatori di interessi, il principale problema da affrontare per evitare le disastrose conseguenze del cambiamento climatico. Le possibili soluzioni per mitigare la crisi climatica, infatti, sono già note, e su di esse Gore non si sofferma (l’autore indica soltanto alcune misure di spesa pubblica e prelievo fiscale per rendere più conveniente la riduzione delle emissioni), ma la politica è lenta nell’adottarle. Solo una ristrutturazione radicale tanto della democrazia quanto dell’economia di mercato, maggiormente improntate a più profondi valori umani, consentirà all’uomo di “vincere” la sfida del cambiamento climatico, come le altre sfide di cui si occupa Gore in questo suo lavoro.
3 novembre 2014
[1] Si veda, ad es., Caserini S., “A qualcuno piace caldo? Scienza contro negazionismo”, in Ecoscienza, n. 2, 2012, pp. 20-21.