Peter è un quarantenne mercante d’arte sposato con una bella donna, Rebecca, e ha una figlia con la quale non riesce più a instaurare un vero e proprio rapporto (non si capisce bene perché).
Il suo lavoro dovrebbe vertere attorno alla bellezza ma, sebbene gli permetta di vivere agiatamente, Peter sa di non aver ancora trovato l’Artista in senso assoluto: vende quadri e sculture, ma è solo roba “abbastanza” carina, come lui ammette; non è l’Arte come la intende lui.
Finché un giorno arriva Erry – che in realtà si chiama Ethan: Erry= errore – il fratellino sconclusionato della moglie: bello, giovane e inafferrabile, Peter se ne innamora.
E’ la storia di un amore gay?
No, è una storia di aspirazioni deluse, di vite senza batticuori, di mancanze. Insomma, è una storia che gira attorno… all’arte.
L’arte dovrebbe aiutarci a gettare uno sguardo dentro le intimità altrui… invece Peter apprende della propria incapacità in tal senso proprio grazie ad Erry. Perché Erry si prende il gioco di lui. Perché Rebecca non è la donna che lui dava per scontata e che era pronto a lasciare per andarsene con Erry.
Ogni scrittore ha i suoi fantasmi: John Irving ha il padre mai conosciuto; Paul Auster ha il caso; Michael Cunningham ha l’amore omosessuale. Eppure i libri – anche se dello stesso autore – sono sempre così diversi!
Penso allo stile di “Le ore”, molto lontano dal monologo in terza persona di questo romanzo.
Mi è piaciuto? Non particolarmente, ma il tema dell’insondabilità delle persone, anche per chi maneggia arte dalla mattina alla sera… è già sulle mie carte da un anno.